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Democrazia Comunitaria

NASCE FORMAITALIA: SENZA CONFINI "PER TUTTO L'UOMO E PER TUTTI GLI UOMINI"

Il 7 dicembre scorso si è tenuto a Roma, in collaborazione con la Fondazione Internazionale per l’Aiuto all’Anziano, un incontro culturale e formativo sul tema “La politica in Italia: ieri e oggi a confronto per capire le prospettive possibili”.

Dal 22 al 26 gennaio appena trascorsi si è tenuta in Basilicata, in collaborazione con un Istituto Scolastico Superiore, una settimana di formazione e orientamento sul tema Motivazione e autorealizzazione nella scuola”.

Due eventi con i quali si è avviata concretamente e stabilmente l’attività di Formaitalia, la nostra piccola libera “università permanente per la formazione totale”.

Ai due temi citati se ne aggiungeranno via via altri, che verranno puntualmente comunicati; e insieme agli incontri verranno inaugurati anche, per chi sia interessato, veri e propri corsi organici di studio e formazione, della durata cioè di più incontri (fino anche a un anno) ciascuno su una tematica omogenea da affrontare come vera e propria materia di livello universitario.

Incontri e corsi potranno essere svolti sia per singoli partecipanti che lo richiedano sia per gruppi.
E verranno tenuti in qualunque sede esigano di volta in volta le circostanze o le preferenze dei richiedenti: un’aula scolastica o anche semplicemente un bar, un oratorio parrocchiale o anche semplicemente un giardino pubblico, o una sede di associazione professionale disponibile...

Lo studio-formazione, che avrà comunque sempre il connotato dell’alta qualità e organicità di contenuti, non prevede sostanzialmente costi per i partecipanti: viene chiesto semplicemente un simbolico euro a incontro, come valore morale di adesione e consapevolezza e per rispondere a qualche eventuale minima esigenza operativa, come potrebbero essere materiali da fotocopiare o simili.

La docenza vedrà spesso impegnato il sottoscritto ma coinvolgerà via via anche esperti e testimoni in diverse discipline e con diversi approcci, secondo i casi. E i temi verranno via via concertati secondo il criterio dello “scorrimento continuo” in una strategia condivisa e nel quadro di riferimento metodologico e valoriale che molti amici mi hanno sentito definire spesso come “modello monasteriale”.

Nella sostanza si tratta appunto di “formazione alta” ma… proprio perché alta non avrà nulla da spartire, anzi aborrisce esplicitamente, alti titoli e alti linguaggi, alte sponsorizzazioni e alti atteggiamenti accademici… e simili vuotaggini.

E’ formazione alta proprio perché… non va in alto bensì, al contrario, in profondità: costruisce nel profondo delle coscienze per far crescere, integrati, valori e competenze. Per questo anche il risultato sarà “alto”, ma solo nel senso più vero e pregnante.

Il pensiero di questa iniziativa viene in realtà da lontano, come viene da lontano il concetto di “formazione integrale” che lo anima: che ha appartenuto alla vicenda di vita e di crescita mia e di molte altre persone; e il cui merito non va a noi, pur avendoci anche noi messo la indispensabile nostra convinzione e buona volontà: ma va a quei formatori ed a quelle scuole di formazione che avevano (l’imperfetto è malinconico ma inevitabile, in quanto rare sono oggi simili realtà) come riferimento della loro azione proprio il concetto di integralità, cioè la idea che la persona è una creatura appunto integrale, composta di corpo, anima e spirito, e strutturata per essere contemporaneamente individuo e comunità; e che in tale integralità essa deve svilupparsi e realizzarsi positivamente, qualunque sia la materia più specifica di cui si occupa e l’ambiente più specifico in cui vive.

L’Italia ebbe simili scuole di formazione nel primo ventennio del dopoguerra, in campo politico ma anche in campo sindacale, aziendale, religioso, sociale, e la stessa scuola istituzionale dello Stato aveva in sé un nocciolo centrale di riferimento a tale cultura di integralità: uno dei segnali ne era la presenza nei programmi e in pagella della “buona condotta” collegata anche con la educazione civica, che implicava appunto attenzione specifica della funzione educativa alla persona nella sua totalità, e accentuata sensibilità alle dimensioni umanistiche di tutte le materie.

Successivamente tali scuole e tale metodologia sono state incredibilmente abbandonate a un progressivo declino e parte di esse sono addirittura scomparse, come è stato ad esempio per le grandi scuole dei partiti politici storici. La flebile e inadeguata figura dei ministri della pubblica istruzione succedutisi negli ultimi decenni ha sancito e generalizzato tale decadenza.

Molti di noi sono tornati però costantemente a chiedersi come fare a ritrovare la via (per usare le parole di Luigi Sturzo).  

Il nostro paese, peraltro, non ha in realtà bisogno di ritrovare semplicemente “una grande classe dirigente”, come a volte si dice: ha bisogno di ritrovare una più diffusa e profonda coscienza di sé, dalla quale si generi anche una nuova classe dirigente di grande levatura, in tutti i settori della sua vita.

Siamo nel 21° secolo: velocizzazione, mondializzazione, tecnologicizzazione, digitalizzazione, turbocapitalismo, intelligenza artificiale… fanno infatti diventare in parte un sorpassato luogo comune anche il concetto tradizionale di “classe dirigente”.

In realtà siamo tutti classe dirigente nella misura in cui siamo in grado di influenzare intorno a noi altre coscienze. Occorre dunque tornare a formare potentemente e diffusamente persone di alta levatura, più che “dirigenti” in senso formale.

Abbiamo cioè bisogno di costruire alte coscienze da mettere come sentinelle attive dovunque, direi in ciascun angolo di strada e in ciascuna stanza di ufficio o di casa o di fabbrica. Ciascuna di esse strategica per il semplice fatto che ne interseca altre, in tutti i settori della vita. Sentinelle appunto di qualità totale: altrimenti svanisce il sogno di una comunità che migliora nel suo insieme e nelle singole persone che la compongono. Se tali sentinelle sono di qualità… esse sono automaticamente classe dirigente a prescindere dai ruoli formali.

Anche a livello planetario si nota del resto, oggi, una non tranquillizzante tendenza al declino o alla stagnazione qualitativa del vivere individuale e sociale e del livello di sensibilità istituzionale, che comporterebbe una ben diversa e superiore attenzione ai sistemi formativi e al concetto di classe dirigente: dalla grossolanità di Trump alla inconsistenza di Biden, dall’umiliante resa della civiltà e dei diritti umani in Afghanistan o in Iran alla crisi ucraina con le sue vittime innocenti, all’incartamento burocratico-finanziario della realtà europea, alla povertà dell’Africa,  allo strapotere intrasparente della finanza, alla disattenzione complessiva verso il grande valore fondativo della vita, al malinconico fantasma dell’Onu che a oltre settant’anni dalla sua costituzione non riesce a diventare vero parlamento dei popoli, la “classe dirigente” formale, politica e non politica, dà oggi testimonianza prevalente di mediocrità anche, appunto, a livello planetario.

In materia più particolare di economia, ad esempio, mentre osserviamo che il capitalismo ha sconfitto il comunismo, e la tecnologia sta sconfiggendo il capitalismo, non possiamo non chiederci anche: ma… poi? Il futuro? La persona? La comunità? Dove sono? L’umanesimo capace di dominare la tecnologia e la emergente intelligenza artificiale, dove è? Il capitale umano, su cui è steso il più drammatico silenzio, dove è?… Dove sono l’impresa partecipativa e il lavoro di cointeressenza?

Urge insomma porre fine alla sterilità delle parole, delle ideologie, degli schemi e dei titoli formali che ubriacano il parlare quotidiano, e tornare a pensare e agire con pregnanza secondo il binomio “persona e comunità: tutto l’uomo e tutti gli uomini (per dirla con le parole di Paolo VI).

E’ infatti la persona concreta e integrale che ogni giorno “fa” la politica, la scuola, il sindacato, l’economia, l’impresa, la religione… Mentre partiti, istituzioni, classi, categorie, schemi, sono strumenti e non fini. 

Via, dunque, anche dagli insensati schematismi (come sono, ad esempio, in politica l’ottocentesco “destra- centro-sinistra”, nel sociale il retorico giovani-anziani e l’ingannevole uomini-donne, in economia l’eterno poveri-ricchi, etc.); e via anche dalla idiozia di semplificazioni concettuali come élites, classe media, borghesia, ceto intellettuale, etc. Il capitale umano e l’umanesimo, le persone concrete e la loro solidarietà, sono l’unico futuro accettabile per l’economia, per la politica e per tutta la vita sociale!

Ma, a questo punto, voi chiederete più concretamente: che idea più specifica avete e proponete per questa formazione integrale? Rispondiamo in sintesi quanto rispondevamo già anni orsono:

“E’ una idea molto alta.

La formazione infatti è il cammino della persona totale verso il proprio orizzonte infinito, in armonia con la comunità in cui essa vive e cresce.

Tutte le sue potenzialità di sviluppo e miglioramento si mettono in movimento.

Ci si forma perché migliorarsi è vocazione fondativa e irrinunciabile della persona.

E anche perché, se è buona formazione, essa mette insieme armonicamente crescita personale e crescita comunitaria: cioè l’unica crescita che abbia senso compiuto per l’uomo e per la civiltà.

L’uomo è infatti appunto, nella sua pienezza e contemporaneamente, “persona e comunità”.

La formazione non è indottrinamento.

Non è semplice aumento di nozioni nel nostro cervello.

Non sono professori che fanno conferenze.

Non sono esami e promozioni o dichiarazioni di idoneità.

Tanto meno sono bocciature.

Queste ultime, quando ci sono, caso mai bocciano la capacità della scuola di essere utile alla crescita delle persone.

La formazione non è un “master” conquistato in una prestigiosa università

Da esibire stupidamente in un curriculum

O da contemplare narcisisticamente incorniciato a una parete

O da segnalare allusivamente in un discorso pubblico.

La formazione è il tuo cammino di vita nel miglioramento continuo:

Quel cammino della tua anima e di tutto il tuo essere, che non finisce mai

Che non delude mai

Che non inganna mai

Basta che tu sia leale con testesso.

La formazione sei tu sempre più consapevole dei tuoi limiti ma anche delle tue potenzialità

E della loro concretezza

Del tesoro nascosto che possiedi e che… sei un irresponsabile se lo lasci perdere.

La formazione è la tua occasione di tutta la vita:

Qualunque mestiere tu faccia

Basta che faccia il mestiere di esistere

E di essere una persona che si vuol realizzare compiutamente.

Ti trovi a fare la scommessa decisiva della tua vita se ti prendi cura della tua formazione permanente o te ne infischi.

In una comunità che... forse ne è inconsapevole ma si vuol realizzare anch’essa

ed è chiamata a dire a sua volta sì o no a questa sua e tua realizzazione.

Qualunque mestiere tu faccia:

Lavoratore dipendente o disoccupato o studente o imprenditore o dirigente d’azienda o anziano in quiescenza o politico o amministratore locale o studioso o libero professionista o sportivo…

Ed a qualunque gradino tu sia in quella idiota e immorale falsificazione di vita che chiamano scala sociale.

In qualunque ambiente tu viva

Da qualunque punto tu parta

sei dunque chiamato a decidere se ti prendi cura della tua crescita permanente

o se ti infischi del destino della tua vita.

A volte mi chiedono in particolare cosa io pensi della formazione politica

Dato che la politica è dimensione essenziale per la vita comunitaria.

Anche la formazione politica rientra pienamente nei criteri valoriali e risponde alle esigenze di coerenza suddette.

Formarsi in politica, in particolare,

non significa imparare a far comizi efficaci turlupinando la gente

Né apprendere a creare manifesti elettorali più brillanti di quelli dell’avversario di turno

E neanche trovare la battuta efficace per controbattere l’ultima uscita di successo dell’avversario di turno.  

Formarsi in politica

Se davvero hai valori di ispirazione umanistica e tantopiù se si tratta di umanesimo cristiano

Significa imparare ogni giorno a capire più profondamente te stesso e contemporaneamente gli altri

A vedere di te stesso e degli altri un futuro lungo e non solo quello a dieci centimetri dal tuo naso

A saper affrontare tutti i problemi

anche eventualmente sbagliando, ma riconoscendo gli errori e migliorando sempre

Ad acquisire competenze crescenti, anche tecniche, nelle materie che hai scelto come tua specializzazione

Senza mai trascurare il miglioramento delle tue conoscenze più generali

E contemporaneamente a consolidare valori più alti per testimoniarli più fortemente

Mettendo tutto ciò a disposizione attiva della tua comunità

Oltre che di testesso.

E analogamente si può dire per la formazione sindacale, economica, scientifica, giuridica, e simili.

La formazione usa anche le aule ma se occorre sa farne a meno.

La formazione, se è davvero buona, deve costare pochi soldi e molta costanza di impegno

Deve chiedere l’aiuto di pochi professori e di molti maestri di vita

Deve mettere insieme teoria e pratica

Perché la teoria senza la pratica è priva di vita

Ma anche la pratica senza la teoria è un cammino a rischio di dispersione.

Per tutto questo la formazione non ha età

Né cariche sociali né gerarchie che esentino da essa

Né sapienti che possano farne a meno

Né “arrivati” che non ne abbiano più bisogno.

Beh… vi interessa?

Se sì, siete sulla strada giusta.

Se no, riflettete sui pericoli della vostra situazione.

Qualunque cosa pensiate,

la nostra formazione sarà così

o non sarà per nulla, perché, diversa da così, pensiamo che non valga la pena farne.

Solo così essa ha un senso di bene totale

Per noi stessi, per le speranze del nostro paese e anche oltre il nostro paese.

Un sogno?

Se volete, sì: un sogno. E che c’è di più concreto e utile di un sogno di bene, per migliorare davvero la realtà?

In fondo, alla chetichella, abbiamo già cominciato da molto a seminare il terreno:

ci siamo visti con tanti di voi, in diverse occasioni

giusto per cominciare a immaginarla, questa formazione

giusto per cominciare a dirci che puntiamo in alto

puntiamo appunto alla nostra persona totale da sviluppare

ed alla nostra comunità senza esclusioni

per migliorarle davvero entrambe e senza confini”.

                                                                                                                                              Giuseppe Ecca
Roma, 29 gennaio 2024
 
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I contatti, per chi è interessato, possono essere presi per ora direttamente con il sottoscritto, all’indirizzo giuseppe.ecca@gmail.com, o telefonicamente.

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Sono dunque disponibili fin da ora, concretamente:
 
INCONTRI (durata orientativa da due a cinque ore):
  1. La politica in Italia: un confronto fra ieri e oggi per capire le prospettive possibili.
  2. Motivazione e autorealizzazione nella scuola, nel lavoro, nella vita.
  3. La comunicazione fra persone e nella società: scienza e tecniche di base.
  4. Marketing e gestione aziendale.
  5. L’insegnamento della lingua italiana nella scuola come elemento fondativo per una formazione integrale: centralità  e metodi.
  6. Impresa: organizzazione e futuro.
CORSI (consistenza orientativa da dieci a venticinque incontri):
  1. Storia del lavoro e del sindacalismo in Italia e nel mondo.
  2. Un’esperienza lavorista e sindacale di eccezione: il settore elettrico e l’idea partecipativa in sessant’anni di dopoguerra.
  3. Formazione: il sentiero stretto.
  1. La comunicazione: scienza e tecniche nella vita e nel lavoro
  2. Econoimia: l’economia come bene comune.
 
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Democrazia Comunitaria

POLITICA: NOI RIPRENDIAMO LA VIA...

La espressione “ritrovare la via” fu di Luigi Sturzo, con riferimento ai grandi fondamenti necessari per una alta ed organica politica laica di ispirazione cristiana.
Il suo Partito Popolare, e la successiva Democrazia Cristiana che ne assumeva l’ispirazione e ne faceva evolvere  il programma, hanno costituito in questo senso esempi storici luminosi (basterebbe pensare allo stesso Luigi Sturzo e ad Achille Grandi per il primo partito, ad Alcide De Gasperi e ad Aldo Moro per il secondo): anche se, con il passare del tempo, hanno pure consentito, nei loro epigoni ed in un universo di adesioni diventato via via vastissimo e diversificato socialmente e culturalmente, esempi a volte mediocri e negativi. Come in genere capita nelle vicende umane, specialmente a partire dalla morte dei fondatori e dalla transizione della prima generazione. Del resto, ben pochi altri soggetti politici possono dire, nel mondo, di avere fatto meglio di questi due.
La storia di entrambi è ormai morta da tempo, come è morta la storia degli altri che, contestualmente con essi, determinarono la politica italiana per decenni. Ne rimangono oggi sparsi segnali soltanto a livello di singole testimonianze di persone e gruppi, anch’essi di diversificato valore morale e culturale; che manifestano sul piano complessivo caratteristiche comuni facilmente riscontrabili: molta buona volontà ma anche molta frantumazione, grande difficoltà ad autodisciplinarsi intorno a regole alte ed effettivamente vincolanti di comportamento e di metodo, prevalente orientamento alla critica degli altri soggetti politici piuttosto che alla costruzione del proprio, mancanza finale di un lider di sicuro e carismatico riferimento.
In questa situazione non sembra esserci molta e fondata speranza di conclusione positiva, a oggi 2021, del tanto auspicato progetto di ripresa organica del relativo movimento. Eppure non ci sentiamo di concludere neppure con un rassegnato quanto diffuso “non c’è nulla da fare, bisogna soltanto aspettare che qualcosa di meglio succeda”. Non possiamo accettare questo atteggiamento per due ragioni: la prima è morale, dato che ognuno deve comunque assumersi in ogni situazione la responsabilità di quanto dipende da lui, la seconda è politica, dato che è sempre meglio partecipare e sostenere le eventuali altre esperienze in atto nelle quali vi siano elementi di positività condivisibili e sviluppabili, piuttosto che limitarsi ad attendere passivamente “tempi migliori”.
Analizzando gli accadimenti degli ultimi trent’anni, ci sembra in realtà esserci stato un tentativo davvero organico e alto (uno solo) per caratura di impostazione morale, valoriale e programmatica, teso a riedificare un partito forte, nazionale e transnazionale, laico e di ispirazione cristiana: ed è stato quello che ha avuto a riferimento coordinativo Gianni Fontana, già deputato e senatore della Dc storica, ministro dell’agricoltura, studioso e cattolico impegnato. Nel novembre 2012 fu celebrato con il suo coordinamento il 19° congresso della Democrazia Cristiana storica, che avrebbe voluto riprendere giuridicamente, politicamente e culturalmente la eredità del partito già scomparso dalla scena politica italiana da oltre un decennio, adeguarne alle esigenze del ventunesimo secolo statuto e programma, riaffermarne ideali, valori e azione.
Ma fu un tentativo stroncato nel giro di poche settimane da un intervento annullatore della magistratura, sollecitato da controinteressati sulla base di istanze giuridicistiche formali, che rivelarono, a noi pare, l’esistenza marginale ma inquinante di ambigui interessi personali o di gruppo connessi sia al vetusto e disperso ma imponente patrimonio materiale della Dc storica (a partire dai non meno di cinquecento immobili) sia a inesauste speranze di riacquisizioni personalistiche e gruppuscolari di potere, sia infine, e soprattutto,  a una visione più ideologica che valoriale della ispirazione cristiana. Salve, naturalmente, le singole lodevoli eccezioni personali di diversi amici.
Da allora, la diaspora democratico-cristiana e popolare si è accentuata e si è dispersa ulteriormente. Avrebbe peraltro potuto venir ricondotta a sintesi alta e unificante, ancora una volta con il riferimento coordinativo di Gianni Fontana,  se non si fosse acceduto incautamente (la valutazione è nostra ma, riteniamo, ben comprovabile) a una scelta tendenziale di “ecumenismo organizzativo” che puntava ad accogliere in spirito di dialogo e unità di cammino tutte e singole le disparate, troppo disparate, realtà gruppuscolari e personali che aspiravano a partecipare all’impresa:  scelta rivelatasi tanto carica di ottime intenzioni quanto minata da mancanza di realismo.
A partire dall’impedito rilancio del 2012, e dal relativo documento di base di impostazione valoriale e programmatica, che era la relazione politica e programmatica presentata da Gianni Fontana, sono stati elaborati comunque via via documenti ulteriori di approfondimento, che consideriamo di alto valore e che fanno fede della piena e coerente adeguatezza e continuità della idea originaria di rinascita e rivitalizzazione del pensiero e dell’azione politica di ispirazione democratico-cristiana, cui manca, dunque, solo “capacità attuativa coerente”: sono stati elaborati, tali documenti, fino all’appuntamento del mese di ottobre 2018, quando parve che finalmente fossero maturate le condizioni di un pieno risanamento di tutte le questioni anche giuridiche frappostesi sul cammino di ripartenza, e fu indetto un nuovo congresso.
Ma toccò proprio a chi scrive la presente nota prendere formalmente atto finale, con rammarico, della assoluta e definitiva insussistenza delle condizioni statutarie e morali necessarie per tale ripresa, a motivo dello spettacolo avvilente di sotterfugi e forzature e falsificazioni e persino tentativi di violenza e proposte mediatorie fra interessi meno ideali e limpidi. Così dichiarammo definitivamente conclusa, almeno per quanto ci riguardava, la questione della Democrazia Cristiana storica. E tutto ciò che è seguito a tale data dell’ottobre 2018 è considerato da noi privo della caratura che occorre per poter rappresentare una speranza di ripresa strutturale per la qualità alta della politica nel nostro paese partendo da quella che fu la Dc storica-formale.  
E dunque, oggi? Oggi noi, con semplicità, umiltà e fermezza, ponendo fine a un tale tentativo rivelatosi sbagliato, decidiamo, semplicemente e onestamente, di riprendere la via originaria ma senza inquinamenti, la via che, dopo il blocco operato dalla magistratura nei confronti del congresso Dc del 2012, era già da noi sostenuta: dare vita cioè a una associazione e rete del  tutto nuova di cittadini di ispirazione cristiana, e laica di consonanti valori, decisi a riproporre semplicemente al paese, e a vivere essi stessi, la testimonianza di quegli ideali d’origine, convinti come siamo della loro altissima qualità intrinseca e della loro valenza e fertilità durature al di là di tutte le provvisorietà e contingenze della vicenda politica del paese, ma anche al di là di qualsiasi richiamo a un continuismo formale con quell’antica storia dei due partiti-matrice.
Non ci importa pertanto più, fra l’altro, il numero delle adesioni ma la loro qualità; non il successo elettorale ma la credibilità della testimonianza; non il ruolo di governanti ma quello di fertilizzatori di bene comune; non il colore delle possibili alleanze ma il loro orientamento effettuale al bene comune.
Ripartiamo con novità, dunque, Urge ripartire. E il modello più specifico intorno al quale ci organizziamo è quello che più volte abbiamo definito “monasteriale”: centralità della persona e insieme solidarietà comunitaria, statuto snello e insieme inderogabile nei confronti di tutti per la sua valenza etica e formativa ancor prima che organizzativa, formazione permanente e insieme integrata e per tutti, programma a scorrimento continuo ma orientato sempre dai valori e principi del bene comune, linguaggio semplice, chiaro, costruttivo.
I documenti principali di avvio di questo rinnovato impegno intendono essere lo Statuto, compresa la sua Premessa di Valori,  e il Vocabolario di programma, entrambi allegati alla presente nota. Si aderisce all’associazione con contestuali: a. accettazione integrale dello statuto stesso; b. versamento della quota annua di libero ammontare (a partire da un simbolico euro), c. firma personale per adesione. L’autore della presente nota provvederà, come ha già in parte fatto nei mesi trascorsi, a completare e mettere a disposizione di chiunque sia interessato la susseguenza storica degli altri documenti che testimoniano e fondano l’itinerario compiuto della presente iniziativa, a partire dalla già citata relazione introduttiva  congressuale del 2012 presentata dall’amico Fontana, e via via attraverso le successive fasi e analisi sviluppatesi presso la sede di Santa Chiara e fino alla evoluzione verso Democrazia Cooperativa e ora Democrazia Comunitaria, senza trascurare il notevole processo ancora in atto di Politicainsieme, di cui pure siamo stati, con Gianni Fontana, iniziatori e animatori.  
Come ogni corpo sociale vivo che nasce, i punti di partenza di questa nuova ripresa di cammino sono dati e certi attraverso questo documento e gli altri poco sopra citati, mentre la loro evoluzione possibile è affidata ai meccanismi di democrazia associativa, partecipativa e pluralista, ivi contenuti, secondo lo spirito ancora una volta sempre idealmente condiviso con l’amico Gianni Fontana.  
Crediamo soprattutto nella vocazione a sviluppo integrale della persona e della comunità, nel bene comune, nella ispirazione cristiana, nella fraternità universale, nel diritto e dovere al lavoro e alla formazione permanente per tutti, nella impresa partecipativa e nella economia di cointeressenza, nella famiglia e nella vita fin dal suo concepimento, nel ruolo attivamente equitativo dello Stato, nella democrazia personalista e solidale. Siamo “Democrazia Comunitaria”.
                                                                                                                                     (Giuseppe Ecca)
Roma, 10 maggio 2021.
 
                                                                                                       °°°°°

P.S. DemocraziaComunitaria, pur operando già da alcuni anni come libero gruppo di amici che condividono ideali, discutono e propongono, ha avviato dunque la procedura di regolare registrazione giuridica della sua realtà associativa. Comincerà pertanto fin dai prossimi giorni la sua graduale attività anche statutaria.
Chi desidera prendere contatto, ricevere il testo dello statuto o il Vocabolario di programma (già ricco di un certo numero di voci ma destinato naturalmente a crescere con gradualità secondo il metodo citato della democrazia associativa) può rivolgersi fin da ora, oltre che al sottoscritto, all’amico Maurizio Principali (democraziacomunitaria@gmail.com) il quale assume in questa fase di avvio il ruolo di referente operativo e politico insieme con lo stesso sottoscritto, salve le determinazioni che verranno fin dai prossimi giorni assunte e comunicate dagli organi provvisori anche per quanto riguarda tutti gli altri amici che concorrono a questa speranza e a questa impresa.
Mi è intanto gradito preannunciarvi che alla unanimità il gruppo di amici citati ha espresso, su mia doverosa proposta, l’auspicio che Gianni Fontana voglia assumere in tale impresa comune il ruolo di presidente onorario a vita, sancito dalla sua storia e dagli ideali condivisi.
Infine, a quanti leggeranno questo messaggio va la nostra richiesta di una ragionevole comprensione per la gradualità con la quale, in prima fase, saremo in grado di far fronte alle sollecitazioni di informativa e di iniziativa, in quanto l’associazione nasce (e di questo ci vantiamo) in assoluta e francescana povertà di mezzi. Siamo tutti volontari e… disponiamo per ora soltanto della nostra sincera buona volontà e dedizione personale. A tutti voi il nostro grazie per l’attenzione prestata anche soltanto a questo messaggio.
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Democrazia Comunitaria

SCUOLA: NON DIDATTICA A DISTANZA MA PRESENZA DISTANZIATA

Si susseguono i dpcm, strumento leggero per mentalità e impostazioni non profonde. Non inseguiremo l’ultimo in ordine di tempo, appena emanato, in ogni sua giravolta, a cominciare da quella che stabilisce confini regionali per un virus che cammina su frontiere ben più articolate; ma responsabilmente cercheremo di approfondire via via, con critica costruttiva e propositiva, le tematiche toccate da questo tipo di provvedimenti e dalle politiche normative in generale, meritevoli di attenzione e gestione meno superficiali. Per aiutare una maggiore responsabilizzazione concreta di tutti. Cominciamo con la scuola, e con chiarezza.
La “didattica a distanza” non è una didattica efficace, anzi, come didattica che sostituisce la normale presenza a scuola, è pessima. Questa constatazione è tanto più incontrovertibile quanto più l’età degli studenti è bassa. Nei bambini delle elementari la sua efficacia è quasi nulla e ampiamente aleatoria, nei ragazzi del liceo è scarsa ed in ogni caso, per tutti, è discriminatrice perché legata alla disponibilità di attrezzatture, di logistiche familiari e di capacità tecniche, per le quali non c’è stata alcuna preparazione significativa di lunga ed equa gittata negli anni scorsi.
Se poi, invece che di didattica, parliamo di pedagogia, che è il termine più appropriato per affrontare il tema della scuola, la situazione è ancora peggiore: a distanza non si fa pedagogia, per i ragazzi della scuola: la “pedagogia a distanza” non funziona se non per singole evenienze di brevissima portata e durata (un giorno, o al massimo una settimana).
Nello stesso tempo, sospendere la scuola è la peggiore cosa che si possa fare, subito dopo la pessima fra tutte, che è sospendere il lavoro. Come chiudere la vita, come chiudere il paese.
Allora? Allora il lavoro e la scuola vanno tenuti aperti. Ma come si fa? Oggi ci limitiamo a tornare sul tema della scuola (da anni, e ben prima della presente pandemia, andiamo trattando anche di come si fa a non chiudere il lavoro: e riprenderemo presto l’argomento). Come si fa, dunque, a non chiudere la scuola? I “banchi con le rotelle” sono l’emblema della scipitaggine estrema cui la mente priva di esperienza ma ricca di saccenza, priva di cultura ma ricca di superficialità, giunge ormai fra i politici anche più titolati (ma non solo fra i politici). E’ ovvio che non è affatto questa brillantezza superficiale di idee che consente di affrontare la serissima problematica della scuola (a parte la considerazione di costi, sprechi e affari non trasparenti collegati con simili ideuzze).
La scuola va tenuta aperta, dunque; ma perché funzioni bene senza cadere preda del carognavirus, l’orario di ingresso va scaglionato per singole classi e dunque l’orario complessivo di apertura della scuola va allungato; l’orario di presenza della singola classe va ridotto a non oltre due ore (più che adeguate per ogni didattica e per ogni pedagogia anche in tempi ordinari); ogni gruppo classe va a sua volta affidato a un solo insegnante che accompagna i ragazzi nello studio di tutte le materie; e ogni gruppo classe, specialmente nelle classi inferiori, data la istintiva e difficilmente controllabile spinta dei piccoli a non tener conto del necessario distanziamento fisico (fisico, balordini di politici e giornalisti che siete: fisico, non sociale!!), ogni gruppo, dicevo, va ulteriormente diviso non soltanto in sottogruppi più piccoli e controllabili, anche soltanto di cinque o sei persone, ma se occorre anche in tanti individui singoli per altrettanti incontri personalizzati di docenza: dentro la scuola, però, non a casa!
Ed è del tutto inaccettabile che si obietti sulla non preparazione degli insegnanti a guidare un ragazzo in tutte le materie: come si potrà pretendere infatti che il ragazzo diventi sufficientemente bravo in tutte le materie dando per scontato che il medesimo obiettivo è proibitivo per l’insegnante?! Ogni insegnante è particolarmente bravo in una materia ma è sufficientemente bravo in tutte, tanto quanto basti ad essere guida dei ragazzi per questo obiettivo: per definizione, altrimenti non è un insegnante!  
E naturalmente un simile adeguamento della organizzazione pedagogica e didattica esige che gli insegnanti si coordinino fra loro sui singoli ragazzi, e conseguentemente che il capo di istituto (preside o direttore didattico) sia effettivamente un “capo” di istituto, cioè un responsabile che curi effettivamente coordinamento e aggiornamento permanente dei docenti; ed esige che i livelli superiori di regione e di ministero sostengano tutto questo lavoro (sostengano, e smettano di sfornare circolari con la frequenza e la mentalità dei dpcm!). 
La realtà si affronta allontanandocisi il meno possibile da essa e governandola per quello che è, non travisandola e creando realtà diverse.  Solo in questo modo si può avere un anno scolastico eccezionale per difficoltà ma tutto sommato di normale efficacia, e forse anche di accresciuta efficacia formativa sulla coscienza dei ragazzi. Che è obiettivo essenziale, altrimenti si rischia di perdere un anno di formazione per una intera generazione e per il paese, con danni gravi e in qualche misura anche irreparabili. Non è lecito, con la scuola, giocare a rimpiattino né politico né professionale.
                                                                                                         
                                                                                                                                   (Giuseppe Ecca)
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Democrazia Comunitaria

UN DPCM DISTANTE DALLA REALTA'

Pubblichiamo l'ultima nota di DemocraziaComunitaria, rilasciata a immediato ridosso del più recente decreto del presidente del consiglio dei ministri in materia di covid. Nota nettamente critica, che riteniamo utile pubblicare in quanto gli accadimenti reattivi a tale dpcm confermano, con le manifestazioni vandaliche di protesta in corso in diverse città, e nello stesso tempo con le civilissime proteste di cittadini e operatori irrazionalmente impediti di lavorare, il carattere preoccupantemente astratto e inesperto anche di tale provvedimento, e la sostanziale assenza di un reale dibatitto parlamentare su tutta la tematica della lotta antipandemica: suggerendo una riflessione su come riprendere un più misurato e realistico modo di concepire la gestione del paese e il relativo potere normativo.


La chiusura di ristoranti, teatri e altre categorie di pubblici esercizi alle ore 18, denota nel governo buone intenzioni unite a lontananza palese e pericolosa dalla realtà concreta della vita economica e sociale: il provvedimento del governo avrebbe dovuto andare, caso mai, esattamente nella direzione opposta: allungare l’orario di chiusura possibile di tali esercizi, vincolando semplicemente i locali ad apporre ben in vista la loro scelta di orario e obbligandoli al distanziamento ed alla igienizzazione puntuale di clienti, personale e locali stessi. Perché è così che l’economia vive e il sacrifico comprensibile chiesto a tutti è solo quello di… lavorare più a lungo, se lo vogliono, per compensare la maggiore distensione di tempo e di persone degli utenti e dei collaboratori.
I sostegni economici in termini di elargizione di soldi pubblici, a loro volta, devono essere riservati alle aziende che adottano contratti di solidarietà o di compartecipazione ai risultati. Altrimenti si ha una semplice (e spesso politicamente clientelare) azione di sostegno parziale e aleatorio a una sopravvivenza grama e deprofessionalizzata senza alcun consolidamento strutturale né difesa della economia complessiva.
In una situazione che tende ad aggravarsi è giusto anche chiedere alle nostre forze armate di svolgere ordinarie funzioni di polizia in affiancamento alla insufficiente presenza di carabinieri, polizia di Stato e polizie locali, che si sta traducendo in deficit di controlli sugli assembramenti e sulle altre violazioni delle norme di sicurezza collettiva. Gli assembramenti infatti stanno continuando e con essi continua la irresponsabilità di tanti giovani ma anche di tanti genitori e operatori di diverse realtà sociali. Le imprese e le persone colte in reato di non osservanza delle norme di distanziamento e igienizzazione vanno semplicemente (soltanto esse) assoggettate alla sanzione della chiusura immediata, con durata di progressiva gravità, o della clausura personale stretta.
Anche la scuola può e deve essere organizzata in efficace distanziamento fisico, che non significa affatto didattica a distanza. A parte la sintomatica incongruenza del parlare di didattica a distanza mentre il concetto giusto è quello di “pedagogia a distanza” o “scuola a distanza” (improprietà linguistica che la dice lunga sulla confusione mentale circa la funzione della scuola, diventata nozionificio e titolificio incapace di educare), la non equiparabilità della scuola a distanza con la scuola in presenza è chiara a chiunque nella scuola abbia vissuto. Il problema si risolve aggiungendo al ragionevole e controllato distanziamento fisico dei ragazzi fra loro, lo scaglionamento dell’entrata delle singole classi lungo la giornata, tenendo conto di due elementi essenziali per la rivitalizzazione anche pedagogica dell’attività scolastica: 1. l’incontro in presenza non ha alcun motivo né pedagogico né didattico di durare oltre le due o al massimo le tre ore, il che fa guadagnare appunto la possibilità di tenere scuola in presenza per più classi distanziate; 2. va reintrodotta gradualmente la figura del docente unico per ogni gruppo-classe, affiancato dove possibile da un assistente o tutor che è anche naturale supplente quando occorra. Necessita infatti una figura univoca e unitaria di educatore per i ragazzi e per il gruppo, non l’affastellamento di diverse figure spesso di fatto educativamente incoerenti fra loro. I docenti, bravi ciascuno nella sua (o nelle sue) materie particolari, è bene che riapprendano l’antica capacità e umiltà di essere sagaci ed educativi accompagnatori dello studente in tutte le altre materie. Altrimenti non sono educatori.
I provvedimenti di chiusura pura e semplice di attività economiche decisi dall’ultimo dpcm, in sintesi,  suonano come arbitrii, oltre che dannosi all’economia, ingiusti se si pensa che vengono indiscriminatamente castigati anche  i migliori operatori, cioè quelli che per ingegno o moralità riescono a far funzionare correttamente attività esposte all’assembramento. Si castigano i bravi e non si controllano gli irresponsabili! E rischia così di crescere quella che all’inizio della pandemia medica, diversi mesi orsono, chiamavamo “la pandemia più rischiosa: quella economica e sociale”. Ogni giorno è buono per tornare a imboccare la via del buon senso e della giustizia, se davvero lo si vuole.
                                                                                                                                             
                                                                                                                                                      (Giuseppe Ecca)

                                                                                                       
                                                                                            °°°°°                                                                                                       
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Democrazia Comunitaria

QUALE RINNOVATO UMANESIMO SOCIALE PER L'ITALIA CHE RIPRENDE?

La evidenza e la forza dei problemi posti in luce dalla pandemia di coronavirus in corso sottolineano per l’Italia (ma sostanzialmente anche per tutti i paesi del mondo) tre priorità e urgenze strategiche ai fini di una ripresa che non sia effimera e che, nello stesso tempo, sia socialmente equa.
La prima priorità e urgenza è quella di restituire al Paese una politica alta ed organica, con impostazione valoriale fondata realmente sulla Costituzione e sui suoi principi, segnatamente sulla sua Prima Parte, finora o parzialmente inapplicata o parzialmente distorta da una legislazione, e ancor più da una normazione attuativa, prive di luce e di coerenza.
Tale politica alta fa oggi drammaticamente appello a tutti i cittadini di buona volontà, e nella coscienza di Democrazia Comunitaria fa appello soprattutto al senso di responsabilità dei cattolici, affinchè, questi ultimi in particolare, sappiano superare l’attuale frammentazione patologica e sterile di atteggiamenti e comportamenti, e trovare nelle loro energie storiche, culturali e spirituali, la forza di offrire all’Italia, in concreto, un nuovo partito politico nazionale in grado di riprendere organicamente e attivamente il pensiero, il programma e lo stile che furono dei De Gasperi, Dossetti, La Pira, Olivetti, Mattei, Tina Anselmi, Moro e gli altri grandi padri anche non cattolici della nostra esperienza democratica, da Einaudi a Pertini a Calamandrei e, ancora, a tanti altri. Superando, essi cattolici, non soltanto l’attuale infertile frammentazione ma anche la frequente incultura per la quale prevale inavvertitamente nella loro iniziativa, di fatto, la critica alle insufficienze altrui piuttosto che la tensione ai concreti doveri propri, compresa la esigenza di una coraggiosa e responsabile autodisciplina di organizzazione nel campo dell’azione politica e sociale per il bene del Paese.
Occorre al Paese, ed al movimento cattolico in modo specifico, un nuovo partito che sappia dare altissima testimonianza in materia di democrazia interna, di pluralismo, di cultura delle regole, di dedizione al servizio della comunità, di etica della responsabilità individuale e collettiva, di alto senso dello Stato unito armonicamente ad alto senso delle autonomie al servizio della sussidiarietà e intorno al valore delle persone e della comunità a partire dalla famiglia. Un partito fondato comunque su persone, sempre titolari finali di ogni diritto e di ogni dovere, non su realtà organizzate portatrici di interessi di tipo direttamente o indirettamente lobbistico.
La seconda priorità e urgenza è quella di oltrepassare con franchezza il drammatico Rubicone dell’economia e del lavoro, caratteristico di questi ultimi quarant’anni di parziale democrazia e di piena libertà di mercato, e decidere definitivamente e coraggiosamente la transizione verso l’impresa partecipativa e l’economia solidale: introducendo il criterio generale della cointeressenza istituzionale di tutti gli operatori, e segnatamente dei lavoratori dipendenti, nei risultati d’impresa, e tenendo presente che anche lo Stato è, in questo senso, impresa: impresa di tutti i cittadini. Olivetti, Ferrero, la Economia di Comunione, il primo Eni di Enrico Mattei, l’attuale Loccioni, e molte altre realtà, possono costituire esempi significativi di riferimento per sviluppare tale politica economica di efficienza permanentemente collegata a equità.
Nell’attuale contingenza particolare di pandemia, inoltre, DemocraziaComunitaria ritiene molto più importante liberare e sostenere il lavoro che non seminare fra imprese e cittadini finanziamenti a fondo perduto con pura logica e psicologia assistenziale.
In questo spirito di rinnovamento i due principali provvedimenti da assumere quale stile di governo sono da un lato la effettiva e materiale semplificazione della burocrazia compreso lo snellimento dell’apparato statuale e regionale (ogni normativa semplificata per liberare il lavoro e la vita dei cittadini vale, anche in termini di potenziale economico, più di una erogazione finanziaria a fondo perduto) e dall’altro la finalizzazione dei sostegni finanziari soltanto ai concreti e verificati investimenti in ripresa e sviluppo di ogni singola impresa, quali sono non solo macchinari e tecnologie ma anche spazi e organizzazione del lavoro innovativi atti a consentire  stabilmente un distanziamento e rallentamento nei ritmi dell’ormai becero e antiumano produttivismo meccanicistico da massimo profitto, per transitare a una moderna produttività di benessere diffuso e integrale: che non è nemico del profitto ma è, al contrario, suo esaltatore di stabilità e qualità totale. Il lavorare meno per lavorare tutti presenta in questo quadro la sua massima attualità, insieme con la transizione tendenziale alla settimana lavorative di quattro giorni ed alla giornata lavorativa di sei ore, mentre va posto drasticamente fine, per converso, all’immorale concetto di reddito di cittadinanza, da sostituire con il reddito da lavoro collegato con il diritto soggettivo ed  effettivo, e l’altrettale dovere, al lavoro stesso.
La terza priorità e urgenza è costituita dalla restituzione ai sistemi formativi del paese, a tutti i livelli, di un approccio profondamente umanistico e di pedagogia integrata e integrale per la comunità e per la persona lungo tutto l’arco della vita di questa.
Gli attuali sistemi formativi si caratterizzano essenzialmente e negativamente, dalla scuola elementare all’università ed alle tipologie variamente manageriali, politiche, sindacali, professionali, aziendali, etc., come una incoerente galassia ricca di nozioni e povera di pensiero, e spesso ancor più povera di consistenze valoriali, finendo per immiserire la caratura sociale della comunità e l’autorealizzazione compiuta delle persone.
Un cammino di ripresa credibile e sollecito in tale spirito può venire indicato, ad esempio, dal recente studio “Il sentiero stretto: formazione è un’altra cosa”, che delinea appunto i criteri irrinunciabili per un’alta e diffusa ripresa della centralità della questione pedagogica nel nostro paese, facendo riferimento sia alle generali esperienze degli ultimi cinquant’anni nel mondo sia alle migliori testimonianze educative della nostra storia, da Giovanni Bosco a Lorenzo Milani, da Maria Montessori a Piero Calamandrei, da Carlo Carretto a Vittorio Bachelet.
Vogliamo una Italia realmente democratica e realmente pluralista, realmente valoriale e realmente solidale, realmente protagonista e realmente al servizio “di tutto l’uomo e di tutti gli uomini”. E intendiamo doverosamente assumerci in questa impresa anche la nostra personale e collettiva responsabilità.

Roma, 16 maggio 2020.
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MM

Democrazia Comunitaria

IL RISCHIO DI UNA PANDEMIA AGGIUNTIVA CHE DOBBIAMO SCONGIURARE

Le grandi ed essenziali armi concrete per combattere oggi il coronavirus sono il distanziamento personale e la accurata igiene di tutti e di tutto, in parallelo con l’avanzare della ricerca medica specifica.
 
Nel quadro drammatico che si è creato, comprensibilmente è stato deciso, insieme con il distanziamento fra persone e con le misure di igienizzazione, anche il blocco complessivo delle attività economiche, salve quelle direttamente connesse con la immediata sopravvivenza delle persone stesse e della collettività relativamente alle loro esigenze primarie.
 
Pensiamo peraltro che, messa in tal modo sotto controllo, per quanto possibile, la crudele dinamica della pandemia nella sua attuale fase imperversante, sia ora indispensabile procedere con grande tempestività, e insieme con grande saggezza e prudenza, anche a riavviare le altre attività produttive, al fine di rimettere in piedi gradualmente i mezzi stessi con i quali sarà possibile affrontare l’altro lato del coronavirus, cioè il dopo-coronavirus.
 

Infatti, per una  politica sociale di sostegno affidabile alle persone ed alle famiglie in difficoltà occorrono risorse, e le risorse possono ottenersi soltanto con una economia che riprende a produrre con rallentata e controllata ma pur sempre strutturale  e completa continuità.
 
Se il blocco delle attività economiche continuasse con l’attuale sostanziale totalità, infatti, il rischio gravissimo, e già profilantesi,  può essere addirittura peggiore dell’attuale pandemia: è il rischio di una spaventosa pandemia a base di suicidi da fallimenti d’impresa e da disoccupazione; pandemia morale che tragicamente è spesso accompagnata dal rischio di un crescere di incomprensioni e violenze anche domestiche, di cui pare intravedersi l’inizio, per quanto poco annunciato.
 
Capacità tipica e necessaria di una politica alta è insomma sempre, e in particolare in casi come questo, quella di vedere ogni problema nella sua piena contestualità, oltre che nella vistosa urgenza dell’oggi.
 
Ebbene, l’attuale tempesta del coronavirus, maledetta ma anche potenzialmente provvidenziale, ci offre nostro malgrado un potente stimolo per cominciare concretamente a rivedere, con attenzione alle singole situazioni ma con visione generale, soprattutto l’organizzazione del lavoro, perché diventi, e resti anche per il futuro, meno demoniacamente dominata dalla velocità parossistica e dall’assembramento umano ubriacante, entrambi schiavi della pazza logica del massimo profitto, e più guidata dalla saggia e ponderata distensione di tempi e ritmi capace di dare spazio armonicamente a tutte le esigenze di vita, non solo materiale, e di rigenerare con ciò, in particolare, dimensioni umane, civili, sociali e lavoristiche di autentica comunità.
 
Quello che né politica, né impresa, né sindacato, né scuola, né altre istituzioni, né la società complessiva, hanno saputo fare in questi ultimi decenni, preoccupati pigramente, vigliaccamente, stupidamente e parassitariamente di gestire rispettive certezze e prebende di status dove comode, urge che sia avviato adesso dietro il pungolo violento del “carognavirus”, e che anzi venga, ove necessario, imposto: con la coscienza e il ragionamento, dove sopravvivono, con la lotta culturale e politica dove solo questa sia l’arma rimasta.
 
L’organizzazione del lavoro va rivista in generale, per essere avviata a diventare veramente comunitaria, come dicevamo, cioè a misura di persona e di comunità, e non di profitto speculativo e finanziario riservato ad azionisti e giocatori di borsa. Il profitto non viene certo da noi negato, anzi resta fonte di giusta stimolazione migliorativa, ma deve essere da un lato strutturalmente condiviso con tutti i lavoratori coinvolti, dall’altro sottomesso al criterio del “limite fino a un certo tetto”. Ai nostri amici laici ricordiamo fra l’altro che questo duplice criterio non appartiene soltanto a noi cristianamente ispirati ma è anche l’insegnamento e la testimonianza di grandissimi maestri laici di vario orientamento politico e ideologico, da Federico Caffè a Luigi Einaudi a Francesco Forte (cui si riferisce il virgolettato di poche righe sopra riportato) ed a tanti altri. Anche i salari devono essere avviati ad armonizzazione fra tutti i lavoratori di ogni impresa, senza eccezione alcuna, cioè compresi i trattamenti della dirigenza, pubblica e privata, compresa quella politica. Armonizzazione che per essere vera esige una trasparente e non aggirabile relazione di proporzionalità fra i diversi gradi di inquadramento dalla base al vertice. Solo così si riprenderà una economia forte, sana, stabilmente capace di crescita e di solidarietà attiva.
 
Sul particolare versante della politica, per lo stesso obiettivo generale urge restituire ai cittadini quel principio e valore centrale della democrazia, per il quale gli elettori si recano alle urne per scegliere nominativamente i loro singoli parlamentari e amministratori, non per scegliere liste o partiti, i quali sono soltanto strumenti per evidenziare e garantire meglio programmi e orientamenti delle persone candidate. E per il quale, inoltre, va contestualmente ridotta a decenza e buon senso (senso buono ed onesto) la strangolante e vituperosa e mafiosa numerosità attuale delle firme burocratiche da raccogliere oggi perché un cittadino possa candidarsi: massonica macchinazione concepita con la connivenza attiva di sostanzialmente tutti i partiti politici attuali per impedire l’ingresso in politica a chi non sia cooptato dalle segreterie partitiche; dando esito a quella che con piena precisione anche tecnica può oggi essere chiamata non già democrazia ma oligarchia.
 

Quanto alla scuola, essa deve tornare rapidamente e gagliardamente a svolgere programmi di formazione umana e umanistica della personalità dei ragazzi, a tutti i livelli ed in tutti gli ordini, ponendo fine alla barbarie delle sedicenti competenze tecniche che riducono le persone a macchine stupide e manipolabili. Occorre umanesimo per fare civiltà autentica, ma occorre umanesimo anche soltanto per fare buona e utile scienza. Non dovrebbe esserci davvero ulteriormente bisogno, oggi, di dimostrare la insulsaggine e irresponsabilità radicale della sloganistica politica che ha portato alla miserevole “scuola delle tre i, cioè internet-inglese-impresa” di berlusconiana memoria.
 
Al movimento sindacale, e oggi specificamente ed esplicitamente a Landini-Furlan-Barbagallo, chiediamo la lealtà umana e morale e civile di riprendere sollecitamente a pensare, studiare e assumersi responsabilità, ponendo fine al tradimento degli slogans a base di “rivendicazioni e piattaforme accolte oppure sarà sciopero”, che costituiscono, in sestessi e  radicalmente, un approccio privo di contenuto responsabile, oltre a lasciare i lavoratori e la intera società in stato rancoroso, sperequato e rimminchionito. A loro ed ai loro colleghi della dirigenza aziendale ricordiamo anche una nostra antica proposta di portata più tecnica ma ugualmente densa di significati anche morali, e cioè la necessità di porre fine alla di differenziazione di contratti fra “dipendenti” e “dirigenti” per unificare entrambe le categorie in un unico contratto collettivo. Né ci si rimproveri di demagogia a buon mercato: questa proposta veniva da noi formulata anche quando avevamo personalmente la qualifica ed il ruolo di dirigenti d’impresa. E’ in realtà semplicissima questione di trasparenza e onestà.
 
Così come alla impresa chiamata a gestire beni comuni chiediamo, aggiuntivamente allo spirito di comunità che deve caratterizzare ogni azienda anche privata, di porre termine alla rovinosa mentalità bocconian-luissina per la quale i risultati vengono valutati in chiave di finanza e di borsa piuttosto che in chiave di benessere prodotto e condiviso, cioè di bene comune. E’ la realizzazione di quest’ultimo che qualifica il successo d’impresa, non la droga artificiosa dell’azzardo borsistico né dello spread né del fognante operato delle agenzie di rating.
 
Agli inadeguati gestori della pubblica istruzione degli ultimi lustri, se ancora  si occupano di formazione, ed agli odierni loro successori e attuatori, chiediamo di porre termine all’immorale e autolesionistico criterio del numero chiuso per l’accesso al sapere universitario, cioè allo sviluppo dei talenti, diritto assoluto di valore sia naturale sia costituzionale. Come ai loro colleghi dell’economia e delle finanze chiediamo di semplificare e ridurre a criteri umani e civili la tassazione persecutoria e frantumata, adottando il criterio trasparente della deduzione delle spese, da parte dei cittadini, in dichiarazione dei redditi.
 
Cine al legislatore in generale, diventato responsabile di un pessimo bizantinismo normativo, chiediamo di tornare a parlare la semplice e trasparente lingua italiana tutte le volte che legiferano: quella lingua italiana che, lo ricordiamo loro, deve far sì che la legge venga capita direttamente dal comune cittadino, secondo il principio morale che, se “la legge non ammette ignoranza”, nello stesso tempo “la legge non deve ammettere neppure difficoltà a essere evidente e semplice per tutti in quello che prescrive”: altrimenti essa è abusiva e anticostituzionale. Oltre che essere stupida, come insegnavano già gli antichi romani collegando giustamente il gigantismo della normativa con la ingiustizia della normativa.
 
All’Europa, infine, o meglio ai suoi governi, chiediamo di uscire dal tradimento da essi perpetrato nei confronti di tutti gli ideali con i quali l’abbiamo fondata, autentica matrice di esempio per la progressiva costruzione di un mondo unito, e non camorra finanziaria di un gruppo di Stati potenti della terra: ai quali ultimi, o meglio ai loro geverni, ricordiamo in particolare che la nostra Italia, se può essere rimproverata, come effettivamente deve essere fatto, di avere un’amministrazione e una dirigenza spesso colpevolmente disordinate e affastellate, e un’opinione pubblica spesso frantumata, è pur sempre, e di gran lunga, da duemila anni ininterrotti, la nazione in possesso del più grande patrimonio culturale del pianeta, e che tale patrimonio essa ha generosamente dato a tutto il mondo, in bellezza, diritto, cultura, arti, religione, scienze e scoperte scientifiche e realizzazioni tecniche e civili ed umane e spirituali. Un primato che merita rispetto, solidarietà attiva e ammirazione, oltre che esigere dagli stessi italiani il dovere assoluto della coerenza gestionale. Se l’Europa non si mostra in grado di garantire tale fondativa e storica esigenza di lealtà, logico e doveroso sarà infatti per il nostro paese rivolgersi a costruire elementi di comunità alternativa con i paesi del mondo che meglio ne capiscano l’afflato ideale, come di recente hanno testimoniato anche nazioni e realtà di piccola e umile caratura economia e geografica quali l’Albania.
 
Tornare persone, tornare comunità. Tutti. Senza che nessuno, ma davvero nessuno, possa sentirsi esonerato, a nessun livello, dall’adempimento onesto e attivo del proprio personale dovere e del proprio contributo.
 
                                                                                                                             (Giuseppe Ecca)
 
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Democrazia Comunitaria

IL NUMERO DEI PARLAMENTARI VA RIDOTTO: E' ESIGENZA DI EFFICIENZA OLTRE CHE DI COSTI

E' sempre bene distinguere con chiarezza i problemi contingenti da quelli strutturali, le prospettive di breve periodo dalle esigenze di lungo. Crescentemente ci sono stati proposti in questi anni quesiti relativi alla possibile "modernizzazione" della nostra meravigliosa costituzionie della repubblica italiana, davvero la più bella del mondo. Ci siamo sempre opposti a qualsiasi modifica, ma precisando in materia un criterio di riferimento che pochissimi mostrano di conoscere: la intangibilità della costituzione, nel pensiero e nei valori solidissimi dei nostri padri costituenti, riguarda la prima parte della costituzione stessa, cioè quella dei principi e valori, e dell'assetto strutturale dello Stato, non riguarda le tecnicalità della seconda parte, a proposito della quale anzi gli stessi padri costituenti erano consapevoli della probabile futura esigenza di adeguamenti in conseguenza del prevedibile evolversi delle condizioni del paese. Questo è il caso che riguarda l'abnorme numero attuale dei componenti il parlamento italiano. La proposta di ridurre tale numero è stata avanzata da molto tempo da studiosi di diversi orientamenti, proprio come fattore di efficienza tecnica e perfezionamento della rappresentanza, oltre che come economia di costi: oggi una tale proposta è stata formulata dalla maggioranza di governo in carica, che non brilla per lungimiranza nè di metodo nè di contenuti della sua azione, e che infatti ha affrontato il problema con la superficialità e la supponenza che la caratterizzano, mentre ben diversa avrebbe dovuto essere l'apertura di un dibattito di lunga gittata in tutto il paese e fra tutte le forza politiche. Resta però evidente che la riduzione del numero dei componenti l'attuale parlamento nazionale italiano è doverosa per ragioni profonde, di lunga gittata, attinenti alla efficientizzazione sia della rappresentanza sia dei costi del parlamento. Così, mi è parso alla fine indispensabile confermare agli amici che mi hanno posto il quesito un ragionamento di sintesi che in documenti pregressi era già stato sviluppato con più ampia e documentata estensione.

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Davanti al crescere di differenziazioni di posizione anche fra gruppi e movimenti di cattolici impegnati in politica, DemocraziaComunitaria conferma la posizione sempre espressa a favore di una ragionata e ragionevole riduzione del numero attuale dei parlamentari nazionali.
 
Si tratta di una posizione non motivata in effetti dal dibattito pro o contro l’attuale maggioranza di governo, bensì di un convincimento antico, che trova piena ed organica illustrazione, più specificamente,  nel capitolo intitolato alla esigenza di “Stato snello” contenuto nei documenti fondativi elaborati fin dal 2013 insieme al più vasto movimento di amici che intorno a Gianni Fontana hanno operato per una piena rivitalizzazione e attuazione, in chiave di ventunesimo secolo, dei valori politici, culturali  ed etici riconducibili allo spirito dei padri costituenti e fondatori della nostra Repubblica, non solo cattolici.
 
Come abbiamo più volte ricordato, l’Italia repubblicana, alla sua fondazione, decise molto saggiamente ed opportunamente una composizione particolarmente vasta ed articolata del suo parlamento in quanto si trattava di avviare e consolidare inequivocabilmente la esperienza di democrazia a carattere universale e popolare che il paese aveva scelto, e per la quale era necessario che tutte le espressioni territoriali, culturali, sociali, economiche e storiche del paese, fino allora il più delle volte reciprocamente sconosciute, si incontrassero e si integrassero – per la prima volta nella storia del paese – in un “luogo di rappresentanza e di elaborazione nazionale” compiuta ed armonica.
 

Con tali modalità e spirito il parlamento italiano  ha operato egregiamente lungo i primi decenni della vita repubblicana, adempiendo magnificamente alla sua missione. Ebbene, questo tempo storico è oggi superato – lo è almeno dall’aprirsi del ventunesimo secolo – e va riassorbito in una visione che, proprio per rispettare lo spirito della Costituzione repubblicana e dei padri costituenti, consenta alla massima istituzione di rappresentanza e di decisione nel paese un ruolo ed un operato efficienti e coerenti secondo quei medesimi valori.  
 
A chi – a nostro avviso del tutto infondatamente - sottolinea in particolare che la diminuzione del numero dei parlamentari diminuirebbe la rappresentatività e la rappresentanza del parlamento, rispondiamo che si tratta di affermazione, fra l’altro, contraddetta vistosamente da tutte le esperienze democratiche e rappresentative del mondo. Per citare un solo esempio, la Camera dei Rappresentanti negli Stati Uniti – paese che conta una popolazione sostanzialmente tripla rispetto  a quella italiana - è composta di 478 membri contro i nostri 630 deputati: e non ci sembra che essa rappresenti il popolo americano meno di quanto la nostra camera dei deputati rappresenti il popolo italiano. E’ infatti problema di cultura della democrazia e di modelli tecnici e valoriali di operatività, non di numero dei rappresentanti.
 
Non è irrilevante inoltre la evidenza del fatto che la pletora numerica dei parlamentari non solo non ha diminuito in nulla, ma anzi ha aggravato, la ipertrofia malata e incontrollata della legislazione più elefantiaca, affastellata e confusa del mondo avanzato, quale è proprio quella italiana.  Si obietta a volte, a questo proposito, che si tratterebbe di problema riguardante piuttosto  il modo di lavorare di commissioni e comitati e uffici parlamentari: ma è evidente che il sovraffollamento delle aule parlamentari non è riuscito neppure a risolvere questo semplice problema tecnico dei suoi uffici operativi, cosa che avrebbe dovuto senz’altro fare se il suo pletorico numero fosse, appunto, fattore di efficienza e di garanzia.
 
Si obietta ancora, per altro verso, che una diminuzione del numero dei parlamentari impoverirebbe la condivisione vasta dei processi legislativi: senonchè è davanti agli occhi di tutti il fenomeno della grave e frequente deresponsabilizzazione dei singoli parlamentari, spesso addirittura inconsapevoli del merito pieno di quanto sono chiamati a votare nelle aule e limitantisi a seguire più o meno passivamente le indicazioni di voto dei rispettivi capigruppo, quando non a occuparsi improvvidamente e impropriamente di normazione amministrativa piuttosto che di legiferazione.
 
Si è ironizzato, ancora, sul punto che “appena” cinquanta milioni di euro verrebbero risparmiati sul costo attuale del parlamento a seguito della proposta riduzione dai circa mille componenti ai circa seicento previsti. Rileviamo semplicemente che alla “diligenza del buon padre di famiglia” non possono essere certo indifferenti cinquanta milioni di euro in un paese nel quale ancora ci sono cittadini senza lavoro o senza casa o nella impossibilità di acquistare medicine oltre un certo costo. Senza contare il grande valore morale di un contenimento di costi sia pur “simbolico” (sic!) come questo.
 
Da ultimo, DemocraziaComunitaria rileva che lo snellimento del numero dei componenti il parlamento nazionale non basta certo a snellire ed efficientizzare lo Stato e la sua rappresentanza e rappresentatività democratica: occorre anche restituire agli italiani il diritto, sottratto loro dalle normative elettorali degli anni recenti, di eleggere le persone dei parlamentari e non semplicemente le liste formulate dalle oligarchie dei partiti. Questa è stato infatti un autentico tradimento della democrazia, che va non meno sanato.
 
Lo snellimento numerico dei componenti il parlamento, il ritorno a un voto diretto dei cittadini sui candidati al parlamento stesso, un graduale processo di unificazione tendenziale dei due rami del parlamento verso una futura e compiuta unicameralità, e il superamento dell’istituto dei “senatori a vita”, sono passi graduali ma coerentissimi e significativi verso la possibilità di attuare effettivamente, nel ventunesimo secolo, lo spirito valoriale della costituzione repubblicana, realizzando un parlamento nazionale semplicemente e pienamente democratico e pluralista fondato sulla responsabilità delle persone. 
 
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MM

Democrazia Comunitaria

"AUTONOMIE DIFFERENZIATE": E' CONFUSIONE CHE RESPINGIAMO

Viene chiesto a Democrazia Comunitaria, da diversi amici, di esprimere una posizione anche formale in materia di “autonomie differenziate”, oggetto di crescente dibattito politico e di conseguenti polemiche, in questo periodo, fra i diversi partiti.
 
Si tratta di un tema sul quale Democrazia Comunitaria ha in corso una elaborazione compiuta di analisi e proposta, ma non vi sono dubbi circa la sempre confermata sua posizione sostanziale in materia generale di autonomie, da cui è in realtà facile, anzi facilissimo, desumere quella specifica in materia di “autonomie differenziate”: Democrazia Comunitaria è assolutamente contraria al principio delle autonomie differenziate.
 
La ragione di tale contrarietà è logica, politica e culturale insieme: in un mondo sempre più globalizzato e sempre più interconnesso, in cui dunque anche l’Italia è sempre più globalizzata e interconnessa, le autonomie sono un immenso valore di democrazia, di personalismo, di solidarietà e sussidiarietà, e proprio per questo devono essere più che mai vere, forti, sostanziali, facilmente praticabili, tali da rinforzare uguaglianza, solidarietà e potere partecipativo fra cittadini nei confronti dello Stato: non devono invece mai essere fonte e pretesto di separatezza confonditrice fra normative e condizioni di cittadinanza. Le autonomie differenziate in effetti frantumano, dividono, differenziano appunto, e corrompono.
 
In altri termini: l’autonomia non è mai la libertà di vivere una condizione di diversità normativa o economica, più favorevole o meno favorevole, fra cittadini. E’ del tutto impensabile, ad esempio, che esistano procedure e oneri diversi, per il cittadino, in materia di accesso al servizi sanitario nazionale o alla scuola; è del tutto impensabile (come invece capita) che un certificato medico valga in Toscana e non valga in Puglia; è del tutto impensabile che in un liceo della Sardegna sia previsto il voto di condotta e in un liceo del Veneto no. Il cittadino italiano ha gli stessi diritti e gli stessi oneri in qualunque regione viva. Ma in qualunque regione viva (ed in qualunque comune, per alcuni profili della cittadinanza) il cittadino attraverso gli istituti di autonomia concorre più direttamente alla gestione di diritti e oneri, e al loro miglioramento. La comune italianità solidale di tutti non è indebolita, la personalità di ciascun cittadino, come singolo e come gruppi intermedi cui appartenga, è valorizzata dovunque egli viva.
 
In questo quadro, anzi, DemocraziaComunitaria conferma anche che è ormai maturato il tempo di abolire la differenziazione storica fra regioni ad autonomia speciale e regioni ad autonomia ordinaria: tutte le regioni devono essere ricondotte alla medesima autonomia ordinaria prevista dalla Costituzione repubblicana, perché sono radicalmente superate le ragioni storiche che motivarono nel 1948 la nascita delle autonomie speciali in capo ad alcune di esse (Sicilia, Sardegna, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta, e successivamente anche Friuli Venezia Giulia). Del resto, i semplici dati storici confermano che Sicilia e Sardegna, ad esempio, si sono servite della loro autonomia speciale per accrescere corruzione e inefficienza, mentre Veneto ed Emilia, ad esempio, si sono servite della loro autonomia ordinaria per realizzare il loro grande cammino di crescita. E’ problema di cultura e di buon uso delle autonomie, non di differenziazione delle autonomie! Lo dico anche da orgogliosamente sardo, immarcescibilmente sardo, testardamente sardo, entusiasticamente sardo, e sdegnosamente deciso a non avere connivenze con la parte marcia e corrotta della mia isola, vergognosamente e vigliaccamente nascosta nella retorica dell’autonomia speciale per continuare le sue abitudini parassitarie e le sue malcondotte amministrative.
 
Le regioni devono piuttosto, a prescindere dalla tipologia di autonomia definita in capo ad esse,  venir sottoposte (cosa che finora non è stata fatta) a più efficaci ed effettivi diritti di intervento, controllo e partecipazione da parte dei Comuni e dei cittadini, e dello stesso Stato, in materia di gestione delle risorse finanziarie ed economiche: infatti la notevolissima, e probabilmente eccessiva, mole di risorse che la stessa autonomia ordinaria affida alle regioni attualmente si è palesata densa di effetti corruttivi e di sprechi ampi e generalizzati. Vanno ridotti questi, non differenziata l’autonomia!
 
Né questa affermazione può essere, come tenta di essere, una scusa per cercar di mantenere in  piedi le province, che avrebbero dovuto essere abolite fin dal 1970 in quanto anche per esse sono del tutto superate  le ragioni storiche della loro esistenza: le province furono la creazione di un modello di decentramento burocratico-prefettizio dovuto alle precise e limitanti condizioni storiche in cui l’Italia venne a trovarsi nell’immediato post-risorgimento. Condizioni determinate contingentemente dalla improvvisa morte di Cavour e, con lui, del suo progetto naturalmente regionale, nonché dal conseguente indebolimento ed anche smarrimento della classe dirigente politica, che dovette orientarsi a un decentramento di fatto puramente burocratico, da affidare sostanzialmente alle prefettura come emanazione del potere centrale in funzione essenzialmente di controllo dell’unità nazionale ancora non consolidata. Del resto, anche sul piano psicologico, storico e culturale, uno si sente toscano e fiorentino, non si sente “della provincia di Firenze”; si sente sardo e di Orgosolo, non si sente “della provincia di Nuoro”; si sente “lombardo e milanese”, non “della provincia di Milano”. Le provincie non hanno identità, sono solo partizioni amministrative. E, ancora, chi pensi con attenzione troverà che nel periodo del loro maggior ruolo esse non furono certo una realtà meno clientelare e corrotta e burocratizzata dei comuni e dei ministeri.
 
Insomma, le autonomie sono un valore vero e doveroso e grande di potere partecipativo dei cittadini, non un pretesto per frantumare ancora di più il paese né per rinforzare corporazioni e potentati locali finalizzati all’acquisizione di ulteriori privilegi o alla ulteriore evasione dagli oneri della più complessiva comunità e solidarietà nazionale.
 
                                                                                                                             (Giuseppe Ecca)
 
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Democrazia Comunitaria

"AUTONOMIE DIFFERENZIATE": E' CONFUSIONE CHE RESPINGIAMO

Viene chiesto a Democrazia Comunitaria, da diversi amici, di esprimere una posizione anche formale in materia di “autonomie differenziate”, oggetto di crescente dibattito politico e di conseguenti polemiche, in questo periodo, fra i diversi partiti.
 
Si tratta di un tema sul quale Democrazia Comunitaria ha in corso una elaborazione compiuta di analisi e proposta, ma non vi sono dubbi circa la sempre confermata sua posizione sostanziale in materia generale di autonomie, da cui è in realtà facile, anzi facilissimo, desumere quella specifica in materia di “autonomie differenziate”: Democrazia Comunitaria è assolutamente contraria al principio delle autonomie differenziate.
 
La ragione di tale contrarietà è logica, politica e culturale insieme: in un mondo sempre più globalizzato e sempre più interconnesso, in cui dunque anche l’Italia è sempre più globalizzata e interconnessa, le autonomie sono un immenso valore di democrazia, di personalismo, di solidarietà e sussidiarietà, e proprio per questo devono essere più che mai vere, forti, sostanziali, facilmente praticabili, tali da rinforzare uguaglianza, solidarietà e potere partecipativo fra cittadini nei confronti dello Stato: non devono invece mai essere fonte e pretesto di separatezza confonditrice fra normative e condizioni di cittadinanza. Le autonomie differenziate in effetti frantumano, dividono, differenziano appunto, e corrompono.
 
In altri termini: l’autonomia non è mai la libertà di vivere una condizione di diversità normativa o economica, più favorevole o meno favorevole, fra cittadini. E’ del tutto impensabile, ad esempio, che esistano procedure e oneri diversi, per il cittadino, in materia di accesso al servizi sanitario nazionale o alla scuola; è del tutto impensabile (come invece capita) che un certificato medico valga in Toscana e non valga in Puglia; è del tutto impensabile che in un liceo della Sardegna sia previsto il voto di condotta e in un liceo del Veneto no. Il cittadino italiano ha gli stessi diritti e gli stessi oneri in qualunque regione viva. Ma in qualunque regione viva (ed in qualunque comune, per alcuni profili della cittadinanza) il cittadino attraverso gli istituti di autonomia concorre più direttamente alla gestione di diritti e oneri, e al loro miglioramento. La comune italianità solidale di tutti non è indebolita, la personalità di ciascun cittadino, come singolo e come gruppi intermedi cui appartenga, è valorizzata dovunque egli viva.
 
In questo quadro, anzi, DemocraziaComunitaria conferma anche che è ormai maturato il tempo di abolire la differenziazione storica fra regioni ad autonomia speciale e regioni ad autonomia ordinaria: tutte le regioni devono essere ricondotte alla medesima autonomia ordinaria prevista dalla Costituzione repubblicana, perché sono radicalmente superate le ragioni storiche che motivarono nel 1948 la nascita delle autonomie speciali in capo ad alcune di esse (Sicilia, Sardegna, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta, e successivamente anche Friuli Venezia Giulia). Del resto, i semplici dati storici confermano che Sicilia e Sardegna, ad esempio, si sono servite della loro autonomia speciale per accrescere corruzione e inefficienza, mentre Veneto ed Emilia, ad esempio, si sono servite della loro autonomia ordinaria per realizzare il loro grande cammino di crescita. E’ problema di cultura e di buon uso delle autonomie, non di differenziazione delle autonomie! Lo dico anche da orgogliosamente sardo, immarcescibilmente sardo, testardamente sardo, entusiasticamente sardo, e sdegnosamente deciso a non avere connivenze con la parte marcia e corrotta della mia isola, vergognosamente e vigliaccamente nascosta nella retorica dell’autonomia speciale per continuare le sue abitudini parassitarie e le sue malcondotte amministrative.
 
Le regioni devono piuttosto, a prescindere dalla tipologia di autonomia definita in capo ad esse,  venir sottoposte (cosa che finora non è stata fatta) a più efficaci ed effettivi diritti di intervento, controllo e partecipazione da parte dei Comuni e dei cittadini, e dello stesso Stato, in materia di gestione delle risorse finanziarie ed economiche: infatti la notevolissima, e probabilmente eccessiva, mole di risorse che la stessa autonomia ordinaria affida alle regioni attualmente si è palesata densa di effetti corruttivi e di sprechi ampi e generalizzati. Vanno ridotti questi, non differenziata l’autonomia!
 
Né questa affermazione può essere, come tenta di essere, una scusa per cercar di mantenere in  piedi le province, che avrebbero dovuto essere abolite fin dal 1970 in quanto anche per esse sono del tutto superate  le ragioni storiche della loro esistenza: le province furono la creazione di un modello di decentramento burocratico-prefettizio dovuto alle precise e limitanti condizioni storiche in cui l’Italia venne a trovarsi nell’immediato post-risorgimento. Condizioni determinate contingentemente dalla improvvisa morte di Cavour e, con lui, del suo progetto naturalmente regionale, nonché dal conseguente indebolimento ed anche smarrimento della classe dirigente politica, che dovette orientarsi a un decentramento di fatto puramente burocratico, da affidare sostanzialmente alle prefettura come emanazione del potere centrale in funzione essenzialmente di controllo dell’unità nazionale ancora non consolidata. Del resto, anche sul piano psicologico, storico e culturale, uno si sente toscano e fiorentino, non si sente “della provincia di Firenze”; si sente sardo e di Orgosolo, non si sente “della provincia di Nuoro”; si sente “lombardo e milanese”, non “della provincia di Milano”. Le provincie non hanno identità, sono solo partizioni amministrative. E, ancora, chi pensi con attenzione troverà che nel periodo del loro maggior ruolo esse non furono certo una realtà meno clientelare e corrotta e burocratizzata dei comuni e dei ministeri.
 
Insomma, le autonomie sono un valore vero e doveroso e grande di potere partecipativo dei cittadini, non un pretesto per frantumare ancora di più il paese né per rinforzare corporazioni e potentati locali finalizzati all’acquisizione di ulteriori privilegi o alla ulteriore evasione dagli oneri della più complessiva comunità e solidarietà nazionale.
 
                                                                                                                             (Giuseppe Ecca)
 
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Democrazia Comunitaria

COME NON COMUNICARE, COME NON LEGIFERARE

 
Da anni immemorabili hanno confuso sempre di più la certezza del diritto con l’astruseria del diritto, la precisione del diritto con il bizantinismo del diritto, la positività del diritto con l’arbitrarietà del diritto.
 
Legiferano non “per tutti”, come dovrebbe essere, ma “per gli altri” (per loro ci sarà sempre un avvocato amico, a interpretare favorevolmente il guazzabuglio); legiferano spesso anche soltanto “per mettere le mani avanti” (l’importante è che loro abbiano messo per iscritto le cose: che queste siano comprensibili o no, è del tutto privo di importanza; si chiama “normazione difensiva”).
 
Ebbene, Democrazia Comunitaria è su una posizione opposta a tutto questo: sostiene che occorre assolutamente tornare a un linguaggio legislativo, e normativo in genere, completo ma anche semplice, cioè comprensibile da parte del “cittadino qualunque di buona volontà e di buona fede”. E ricorda che questo si può fare; basta:
a. studiare la lingua italiana;
b. mettersi nei panni dei cittadini;
c. non dimenticare la lezione degli antichi romani, secondo cui non c’è legge stupida quanto la legge difficile da capire o prolissa; e anche troppe leggi nessuna legge!
 
Eccovi, di seguito, un esempio di disastro della comunicazione normativa in cui versa la legislazione italiana, persino quando contenuta in una legge che di per sé dichiara ottime  intenzioni: se prendiamo infatti, ad esempio, la celebre “Riforma Biagi” in materia di lavoro, e andiamo al paragrafo 3 dell’articolo 19, leggiamo:
 
“3. La violazione degli obblighi di cui all’articolo 4-bis, commi 5 e 7, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n.181, così come modificato dall’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n.297, di ci all’art. 9-bis, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n.608, così come sostituito dall’art. 6, comma 3, del citato decreto legislativo n.297 del 2002, e di cui all’art. 21, comma 1, della legge 24 aprile 1949, n.264, così come sostituito dall’art.6, comma 2, del decreto legislativo n.297 del 2002, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro per ogni lavoratore interessato”.
 
Buona digestione a voi… Scommetto che quando vi siete laureati in giurisprudenza, lungo gli almeno quattro anni del vostro corso di laurea, nessuno dei professori vi ha mai neppure citato questo semplice problema di civiltà giuridica.
 
Democrazia Comunitaria è da un’altra parte.
      
                                                                                                                                                  (Giuseppe Ecca)


 
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Democrazia Comunitaria

DIZIONARIO PROGRAMMATICO A PARTECIPAZIONE DIFFUSA

E’ un “Dizionario programmatico a partecipazione diffusa”: così lo definisce Democrazia Comunitaria. Perché? Una esigenza fondamentale di semplificazione, chiarezza, invito partecipativo aperto a tutti. E’ la reazione di principio di fronte alla pessima abitudine assunta dalla politica e dalla burocrazia, di linguaggi incivilmente mastodontici, balordamente enfatici, criminosamente complicati, subdolamente chiusi di fatto alla trasparente partecipazione dei cittadini. Così Democrazia Comunitaria caratterizza fin dai fondamenti, cioè dal suo programma, il suo annunciato stile diverso, fondato su semplicità e trasparenza, centralità della persona, testimonianza morale. 

I temi proposti dal Dizionario non sono in ordine gerarchico bensì alfabetico: vogliono costituire infatti proprio i tasselli di un lavoro collettivo di elaborazione “a scorrimento continuo” delle linee di programma dell’Associazione, con la partecipazione aperta e permanente di iscritti, esperti e cittadini. Soprattutto, di iscritti. E’ uno strumento di lavoro informale approvato dagli organi associativi e da essi vigilato, e che, con la loro approvazione ufficiale, acquista nei suoi contenuti, via via, il crisma del documento formale di impegno per Democrazia Comunitaria.
 

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Acqua: è un bene comune, non privatizzabile. La responsabilità di garantirne qualità e quantità sufficiente a prezzi sociali appartiene alla mano pubblica in senso diretto. Alla mano privata non possono che essere riservati ruoli di carattere nettamente secondario e sussidiario, ininfluenti sulle politiche relative a questo bene. E’ escluso a priori che dall’acqua si possa trarre profitto privato a qualunque titolo.

Ambiente: è un bene comune, non privatizzabile. La responsabilità di mantenerlo tale appartiene direttamente alla mano pubblica. La legge stabilisce la proporzione tassativa di superficie verde da salvaguardare in ogni opera manufatta, pubblica e privata.

Authorities: le autorità di settore, gemmate, sul modello di organismi funzionanti negli Stati Uniti in diverso contesto culturale, sono venute manifestandosi organismi costosi e, alla fine, non adatti a costituirsi come garanti super partes nelle materie di cui si occupano: così da porre ormai la esigenza di un ritorno alle naturali fonti di garanzia costituite dal parlamento, dai comitati interministeriali e dai loro già storicamente sperimentati strumenti di lavoro. Risparmiando gran parte dei relativi costi.

Banca: il miglioramento verso semplicità, controllabilità e trasparenza delle leggi relative all’attività bancaria parte dal ripristino di una netta differenziazione fra banca ordinaria di risparmio e investimento, e banca d’affari o speculativa. Democrazia Comunitaria vede con particolare favore il ripotenziamento di una cultura diffusiva delle forme bancarie popolari e cooperative, la riacquisizione allo Stato di una banca nazionale per la tutela del risparmio dei cittadini, e la valorizzazione del risparmio collettivo in sede d’impresa.

Conflitti d’interesse: DemocraziaComunitaria propone una più tassativa definizione dei casi nei quali si debba dare esito a una pura e semplice incompatibilità non sanabile.

Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro: DemocraziaComunitaria ne propone il superamento puro e semplice per esaurimento dei suoi compiti storici. 

Consumo del territorio: anche l’Italia è diventata un paese che, specialmente in alcune regioni, vede ormai diventare preoccupante il problema del “consumo del territorio”, un consumo talmente vasto e nello stesso tempo abusato, da porre al paese stesso un quesito urgente circa il suo equilibrio ambientale di lungo periodo. DemocraziaComunitaria propone di stabilire un vincolo rigido alla percentuale di territorio consumabile (cementificazione e forme assimilabili di scomparsa del terreno vergine) per ogni unità di costruzione. Inoltre propone di rendere concretamente più severa e snella la funzione di controllo e salvaguardia attiva del patrimonio forestale e idrogeologico.

Costi della politica: DemocraziaComunitaria propone l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, a favore di un finanziamento libero da parte di ciascun cittadino nei confronti del partito in cui si riconosca. Riconosce il valore politico-istituzionale dei partiti nei termini esplicitati dalla Costituzione, e il relativo sostegno, esclusivamente nella forma della fornitura, a ogni formazione politica che abbia rappresentanza in parlamento, di una sede operativa, unica per tutto il territorio nazionale, con spazi limitati alle esigenze di funzionalità essenziali, con corredo di linea telefonica, computer, stampante, collegamento internet e similari secondo ragionevole coerenza. Escluso ogni altro supporto, che è da considerare strettamente riservato alla privata organizzazione del partito medesimo.

Diritto e obbligo della formazione: fino alla maggiore età la vita dell’individuo è dedicata in misura privilegiata alla formazione integrale della personalità, affidata innanzitutto alla famiglia con il sostegno della scuola: quest’ultima deve costituire, prioritariamente, un sistema pubblico a costi sociali fino all’università, aperto a tutti, nel rispetto per la eventuale scelta della singola famiglia che preferisca rivolgersi a scuole private; le quali ultime non avranno diritto a sostegno pubblico che vada al di là della mera corresponsione alle famiglie del costo che lo Stato sostiene per ogni suo alunno della scuola pubblica. Le scuole private non potranno comunque rilasciare titoli aventi valore di legge.

Emolumenti per incarichi pubblici: DemocraziaComunitaria sostiene una equa proporzionalizzazione reciproca fra gli emolumenti riservati alle cariche pubbliche, elettive e non elettive, a tutti i livelli compreso quello parlamentare e tutti quelli dirigenziali, assumendo a riferimento i trattamenti previsti dalle normative collettive generali e l’andamento complessivo del reddito nazionale, nonché i carichi di lavoro effettivamente affidati e gestiti.    
 
Etica pubblica: l’etica dei comportamenti anche personali è esigita con particolare forza in tutti i soggetti che svolgono funzioni pubbliche. Ogni ruolo pubblico è proprietà morale della collettività ed è incompatibile con qualsiasi comportamento che violi la fede pubblica. Tale eventuale comportamento va perseguito d’ufficio.

Europa: il ritorno ai padri fondatori, in particolare De Gasperi, Schumann, Adenauer, che anteponevano la messa in comune delle risorse e della solidarietà valoriale alla dominanza economica e finanziaria, è obiettivo esplicito di DemocraziaComunitaria.

Farmaci: impensabile che possano essere ambito di puro e semplice mercato privato, lo Stato cura sia il corretto controllo della loro qualità scientifica ed etica rispetto alla loro funzione di servizio nei confronti della qualità della vita, sia la loro equa accessibilità economica a tutti i cittadini nel quadro del Servizio sanitario Nazionale.

Finanziamenti pubblici: DemocraziaComunitaria sostiene l’abolizione di ogni forma di finanziamento all’editoria, compresa quella di partito. Sostiene inoltre una politica di rigorosa severità in materia di controlli, in corso ed ex post, sull’utilizzo completo e tempestivo  dei finanziamenti pubblici in generale, e sulla loro coerente finalizzazione.
 
Fisco: il controllo della evasione deve diventare più severo in parallelo con la semplificazione normativa e la riduzione della giungla delle differenziazioni impositive. All’autonomia impositiva di regioni e comuni va preferita una loro partecipazione pro-quota nella fiscalità generale. Un trattamento fiscalmente incentivante è giusto prevedere a livello di impresa per gli utili reinvestiti nell’impresa stessa rispetto a quelli distribuiti ad azionisti e lavoratori.

Formazione dei prezzi: un intervento più stringente, soprattutto di controllo, da parte della mano pubblica, è necessario in materia di formazione dei prezzi relativi a beni di pubblica utilità rilevante, come ad esempio la casa, i carburanti, i medicinali, a evitare distorsioni speculative. La stessa mano pubblica non deve escludere il suo intervento diretto come imprenditrice di libero mercato nei casi in cui non vi siano diversi strumenti atti ad assicurare prezzi equi a beni essenziali.

Formazione interna: DempcraziaCooperativa è soggetto di formazione permanente nei confronti di tutti i suoi aderenti. L’attività di formazione, oltre a essere concepita come permanente e diffusa, è anche articolata fra coordinamento centrale e autonomie del territorio. Tenendo conto della sua missione, l’associazione può offrire opportunità formative anche ai non iscritti, soprattutto giovani.

Giustizia: lo snellimento dei tempi processuali e la effettiva esecuzione delle sanzioni sono elemento essenziale per la credibilità e la giustizia amministrata dallo Stato nei confronti di tutti i cittadini,  ed hanno importanza fondativa pari a quella della chiarezza, semplicità ed equità delle normative di riferimento.

Impresa: essa va sostenuta come bene di inestimabile valore per tutta la comunità; ne va perciò semplificato il processo burocratico di nascita, e facilitata la propensione allo sviluppo, soprattutto attraverso un tangibile snellimento delle normative riguardanti le autorizzazioni, i controlli ed il credito. DemocraziaComunitaria favorisce il modello d’impresa partecipativa nelle sue diverse forme possibili, dalla cointeressenza nei risultati alla cogestione ed alle forme variamente cooperative.

Impresa privata e impresa pubblica: superando i contrapposti eccessi storici di interventismo assistenzialista e di privatizzazione pregiudizialmente preferenziale, DemocraziaCooperativa è favorevole a una ottica diffusa di liberalizzazione senza privatizzazione, per quanto attiene al campo delle imprese pubbliche che si occupano di beni e servizi essenziali o primari per la dignità e lo sviluppo delle persone. Senza rinunciare alla propria partecipazione diretta nella erogazione di tali beni e servizi, lo Stato e gli enti territoriali di decentramento consentono che l’iniziativa privata, sia con scopo di lucro sia senza scopo di lucro, partecipi competitivamente a tale erogazione, senza sussidi pubblici.     

Innovazione:
DemocraziaComunitaria è per introdurre forme di tutela semplice ed efficace per quanti depositano  brevetti o sono autori di importanti  realizzazioni o idee artistiche e culturali. Nei limiti delle risorse disponibili, una politica di premialità per la innovazione efficace è tra le priorità che DemocraziaComunitaria sostiene nel contesto delle politiche di sviluppo.

Intervento dello Stato in economia: è possibile ed è doveroso l’intervento dello Stato, come pure, ai rispettivi livelli, della regione e del comune, sia direttamente come imprenditore in regime di liberalizzazione quando si tratti di beni incidenti direttamente sulla qualità essenziale di vita delle persone, sia indirettamente con efficaci politiche di sostegno ai consumi, sempre nel campo dei beni relativi alla dignità e allo sviluppo della persona.
                  
Lavoro:
fonte essenziale di dignità e fondamento della repubblica, il diritto al lavoro è un diritto soggettivo e non una semplice legittima aspettativa. Democraziacomunitaria sostiene in tal senso una lettura precettiva della Costituzione. La realizzabilità di questo diritto si fonda su una politica sicura di redistribuzione sia delle opportunità di lavoro sia dei redditi in generale, a cominciare dalla riduzione della forbice immorale attualmente esistente spesso anche all’interno delle imprese. Il trattamento economico del management deve essere in questo senso collegato e non scorporato da quello di tutti gli altri lavoratori. DemocraziaComunitaria propone la riorganizzazione del sistema pubblico tradizionale di collocamento per trasformarlo in moderno istituto dell’accompagnamento attivo al lavoro. Correlativamente, una concezione precettiva del diritto al lavoro esclude che esso possa venir interpretato come diritto al “posto fisso”. Con pari importanza rispetto alla sua dimensione di diritto, infine, il lavoro è un dovere primario del cittadino e di chiunque viva nell’ordinamento giuridico dello Stato.

Legge elettorale: DemocraziaComunitaria ritiene una democrazia non compiuta, e anzi vistosamente e negativamente limitata, quella che si esprime attraverso sistemi a liste bloccate. Occorre che i cittadini abbiano la possibilità di scegliere persone, o persone e liste, ma mai solo liste.

Mediterraneo: il “lago comune” delle tre grandi religioni monoteiste, nostro comune “lago di Tiberiade” secondo la fascinosa espressione di La Pira, è per DemocraziaComunitaria una dimensione di pari dignità rispetto a quella europeista, per una politica del dialogo permanente e solidale.

Mercato: lo Stato è chiamato a svolgere  funzione di garante del mercato per tutte le componenti di esso, operando attivamente, in particolare, per il rispetto e la tutela dei soggetti deboli nei confronti di distorsioni speculative. 
 
Numero chiuso nelle università: va superato in considerazione del valore intrinseco della formazione universitaria, che non può essere concepita come finalizzata al mercato del lavoro ed alle sue esigenze, bensì alla formazione compiuta e integrata della persona ed alla massima valorizzazione concreta della ricchezza culturale di tutta la società.
 
Onu: il cammino delle Nazioni Unite è verso un autentico parlamento dei popoli; in tale spirito deve venir sviluppato, gradualmente ma senza attendere, il rinnovamento delle norme regolative del consiglio di sicurezza, sottraendone composizione e metodo di lavoro agli equilibri ormai inadeguati scaturiti dalla seconda guerra mondiale.

Ordini professionali: la semplificazione dell’accesso e una più evidente esigibilità del codice etico sono, per DemocraziaComunitaria, passaggi necessari ma che non escludono il possibile superamento degli stessi ordini, a favore di istituti di più snella, accessibile e trasparente tutela delle garanzie di professionalità e di etica nei rispettivi settori. Anche l’assetto istituzionale degli ordini ha infatti come valore di riferimento il bene comune.

Parlamento: DemocraziaComunitaria propone la riduzione del numero dei deputati da 630 a 500, e dei senatori da 315 a 250. Propone inoltre l’abolizione della figura dei senatori a vita di nomina del presidente della repubblica, e la unificazione, in logica di tendenziale unicameralità del parlamento, di un significativo numero di funzioni fra le due Camere.

Pensioni: così come per la forbice delle retribuzioni all’interno delle imprese, adeguati rapporti di equità vanno costruiti nel campo delle prestazioni pensionistiche, senza eccezioni di categorie e con la universalizzazione rigorosa del metodo contributivo. 

Persona e famiglia: DemocraziaComunitaria è partito di personalismo sussidiario e solidale. La persona è centro di imputazione di tutti i diritti e di tutti i doveri. Essa si sviluppa innanzitutto nella famiglia, che perciò deve essere protetta a sostenuta attraverso la tutela attiva della paternità e della maternità responsabile, attraverso servizi di assistenza, cura e formazione dei giovani, attraverso una organizzazione del lavoro che oltre ad assicurare il diritto a una occupazione produttiva faciliti forme di telelavoro e flessibilità organizzativa tutte le volte che siano compatibili con le esigenze oggettive della giusta produttività aziendale.  

Posizione costituzionale delle regioni: DemocraziaComunitaria ritiene maturati i tempi per parificare la dignità costituzionale fra regioni attualmente a statuto ordinario e regioni attualmente a statuto speciale. Appaiono infatti ormai superate le ragioni straordinarie che storicamente giustificarono tale differenziazione.

Province ed altri enti intermedi: DemocraziaComunitaria propone l’abolizione pura e semplice delle province, e di tutti gli altri enti territoriali intermedi fra comune e regione, fatte salve le possibili libere semplici fusioni o anche associazioni o consorzi di comuni per la gestione di singoli servizi.

Reati economici e finanziari: la certezza e tempestività di esecuzione delle sentenze è prioritaria soprattutto per i casi di violazione della fede pubblica. Si impone comunque una revisione del sistema che restituisca prudenza ed eccezionalità agli istituti degli sconti di pena, dell’amnistia e dell’indulto, nel campo dei reati commessi ai danni dell’intera società civile e della citata fede pubblica.

Riferimento culturale e valoriale dell’azione democratico-comunitaria: esso è costituito essenzialmente da: a. la storia del cattolicesimo democratico in Italia, nella sua interezza; b. la dottrina sociale della Chiesa e gli insegnamenti del suo magistero; c. la Costituzione italiana.

Sanità: il bene primario della sanità dei cittadini non è considerato da DemocraziaComunitaria come appartenente al campo del libero mercato privato bensì a quello del diretto intervento dello Stato attraverso un sistema sanitario nazionale unitario, che pur decentrandosi a livello di regioni e comuni non vanifichi la effettiva uguaglianza fra tutti i cittadini  di fronte a tale servizio. La struttura centrale si sostituirà tempestivamente alle strutture regionali inadempienti o inefficienti, fino a che non siano ripristinate le condizioni di piena adeguatezza di esse. Ugualmente lo Stato farà nei confronti delle eventuali strutture cittadine ove non intervenisse tempestivamente la struttura regionale di competenza. L’iniziativa privata opera liberamente e competitivamente nel campo della sanità, nel rispetto delle normative pubbliche che garantiscono la tutela e la promozione della salute dei cittadini come prioritaria rispetto al profitto d’impresa.

Stato di diritto: ogni legge e normativa pubblica deve prevedere e garantire reale pari dignità e tutela tra il soggetto pubblico e il cittadino o entità sociale intermedia, in sede di contenzioso privatistico. In tal senso devono, ad esempio, essere garantiti i tempi e la certezza di pagamento da parte dello Stato e degli Enti pubblici verso fornitori e prestatori d’opera.

Strumenti e qualità della formazione: prezzi e contenuti dei libri scolastici e degli strumenti didattici collegati devono andare rispettivamente in direzione di una evidente socialità i primi e di una altrettanto evidente caratterizzazione unitaria e integrata della formazione, i secondi, contrastando le spinte a una separatezza specialistica che DemocraziaComunitaria vede opportuna soltanto al livello universitario. Altresì, DemocraziaComunitaria annette valore essenziale e imprescindibile alla formazione permanente dei docenti, come di tutti gli adulti. 

Tassazione. Il criterio costituzionale della progressività, che trova la sua ragion d’essere nel principio valoriale della equità, va sempre ed in concreto misurato su di essa: vanno pertanto superate le condizioni inique prodotte tecnicamente sia dalla frantumazione distorsiva delle norme sia da passaggi di aliquota mal calibrati quanto a gradualità.

Titoli di studio: la missione di formare la personalità dei ragazzi lungo tutta la loro vita fino alla soglia dell’università, è prioritaria rispetto a quella del rilascio di titoli di studio formali destinati al mercato del lavoro, e rispetto allo stesso mercato del lavoro, cui invece può essere più direttamente attenta l’università. In tal senso DemocraziaComunitaria propone di approfondire la ipotesi di superamento del valore legale dei titoli di studio, perché l’attenzione della scuola possa più e meglio concentrarsi sull’effettivo impegno formativo nei confronti degli utenti.
                 
Tolleranza e rispetto in campo religioso:
la laicità dello Stato si accompagna a una considerazioni attentissima dei valori collegati con il riconoscimento della dignità integrale della persona e della dimensione trascendente della vita. DemocraziaComunitaria ritiene che la scuola, in particolare, debba accentuare la educazione alla citata importanza del trascendente ed al rispetto delle diverse vie attraverso le quali la persona realizza la sua esigenza di religiosità.  

(Aggiornato al maggio 2019)
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