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Adc-Agenzia di Democrazia Comunitaria

ECONOMIA: IL PIACERE DELL'ILLUSIONE O LA VERITA' DEI FATTI?

La segreteria nazionale della Federazione Lavoratori Elettrici della Cisl, Flaei, ha espresso una posizione semplice e chiara: importa ciò che si fa, piuttosto che ciò che si vieta di fare. Lo afferma, o meglio lo ricorda, prendendo spunto dalla questione energetica, che è la sua competenza settoriale specifica, ma esprimendo una posizione riferibile a tutta la impostazione delle politiche di sviluppo nel nostro paese. Ne riportiamo il testo, con la cui sostanza concordiamo.
 
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La semplificazione dei concetti e delle situazioni porta a riassumere spesso problematiche complesse in domande facili e retoriche per ottenere un’unica risposta buona per qualunque caso, alla ricerca del supporto emotivo delle masse, senza precisare peraltro effetti e costi delle azioni conseguenti.
 
Tutti vogliono il lavoro, ma non si vogliono né le infrastrutture né le grandi industrie che sono
indispensabili per l’occupazione!
 
Esistono centinaia di comitati contro qualunque intervento, che dicono “No, e soprattutto non qui vicino!” (“non nel mio giardino”, direbbero gli anglosassoni).
 
No Tap. I pugliesi non disdegnano il gas nelle case, ma sono certi che continueranno a goderne anche senza il Tap? Dipendere da pochi fornitori mette a rischio l’economia e la sicurezza del Paese: è indispensabile differenziare le fonti per un’equa negoziazione e per un sicuro approvvigionamento.
 
No Tav. Un’infrastruttura che permetterà di trasportare merci e persone su rotaia, e che in questo momento significa anche lavoro, dovrebbe essere bloccata senza valide alternative?
 

No Termovalorizzatori. Il problema dei rifiuti si risolve esportandoli in Austria-Portogallo-
Germania-Cina?
 
No carbone - No Centrali a Gas. Il futuro è dell’energia pulita e poco costosa proveniente da fonti rinnovabili. Ma la transizione energetica va accompagnata. La chiusura delle
centrali a carbone va programmata: la Germania ha definito una strategia prevedendo la fine
dell'utilizzo del carbone entro il 2038. E le centrali a gas dovranno continuare a svolgere un ruolo
sussidiario per garantire la potenza di base. Nel rispetto della sicurezza e dell’ambiente.
Per le prospettive future del nostro Paese non possiamo prescindere da alcune considerazioni: il costo dell’energia in Italia è del 30% superiore al resto dell’Europa; i prodotti della nostra industria
nascono quindi più cari per la componente energetica e meno competitivi sui mercati. Se si aggiunge il differenziale nei costi della manodopera si comprende quanto sia difficile mantenere la produzione nel nostro Paese.
 
Anche da qui nasce la cosiddetta “fuga dei cervelli”: se in Italia non c’è industria non ci può essere ricerca di base né sviluppo di prodotti né lavoro per le nuove generazioni che hanno studiato e che hanno ambizioni e progetti. Opportunità di lavoro, studio e ricerca esistono all’estero! In Italia sembra si voglia misconoscere il valore dell’istruzione e dello studio!
 
Resistere al richiamo di certe sirene, essere consapevoli che il privilegiare l’oggi rispetto al domani farà pagare a qualcun altro il conto di queste scelte “illusorie” e superficiali comporta la necessità di prendere in mano il nostro futuro ed alzare la voce, analizzando pro e contro di ogni scelta, nell’interesse nostro, dei nostri figli e del Paese, oggi e domani.
 
 
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ELEZIONI D'ABRUZZO: AL DI LA' DEI BATTIBECCHI

Siamo cittadini responsabili e attivi e ci sembra conseguentemente giusto seguire anche la vicenda politica del nostro paese e della sua democrazia. La citazione del commento di "Democrazia Comunitaria" al risultato elettorale d'Abruzzo, in questo quadro, vuole stimolare, ove i lettori lo gradiscano, un costruttivo di battito sul bene comune del nostro paese anche sotto questo profilo
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Ma che importanza si è mai convinti che possa avere il continuare a commentare gli esiti elettorali in modo reciprocamente avvelenato, sempre astiosamente ostile verso gli avversari, vincitori o sconfitti che siano? E’ un costume soltanto negativo, e soprattutto diseducativo per la cultura democratica. Un costume che appartiene sostanzialmente a tutte le attuali formazioni politiche senza eccezione alcuna, da molti anni a questa parte.
 
A noi preme piuttosto osservare la oggettiva realtà dei fatti, in questo caso quelli della tornata elettorale abruzzese, che mette in primo luogo davanti ai nostro occhi, ancora una volta, la molto scarsa affluenza alle urne: appena poco più del 50% degli elettori è andato a votare. Brutta china, questa, per la pratica democratica. Davvero brutta. Soprattutto per un motivo semplice: meno elettori partecipano al voto, più viene facilitato il lavoro oscuro delle cosche organizzate, o anche soltanto dei semplici gruppi organizzati di interesse, e meno rilevante diventa il peso del reale e complessivo “bene comune”. Noi, personalmente e come Democrazia Comunitaria, ci preoccupiamo tutte le volte che la partecipazione al voto scende al di sotto del 90%. Restare sempre al di sopra di questa percentuale è l’obiettivo ideale di Democrazia Comunitaria per l’Italia.
 
In secondo luogo, ci sembra doveroso prendere oggettivamente atto del largo successo ottenuto, sia pure dentro la citata percentuale scarsa di votanti, dalla coalizione di centrodestra, e specificamente dal candidato proposto per essa da Fratelli d’Italia. Ne prendiamo atto e gli auguriamo sinceramente buon lavoro per il bene dell’Abruzzo: e vigileremo attivamente sul positivo svolgimento del relativo mandato. Approveremo le cose positive che farà e lo sosterremo in esse, lotteremo contro quelle negative che dovesse proporre o fare.
 
Restiamo preoccupati, d’altro lato, della china non positiva confermata dal Partito Democratico, convinti come siamo che al crescere di una forza sempre più coesa del centrodestra – così ci sembra ragionevole presumere - la dialettica democratica debba giovarsi del confronto con una forza alternativa non meno strutturata e consistente. Pensiamo in verità che il Partito Democratico  debba concentrare ora su se stesso i suoi sforzi, cioè sul proprio lavoro interno di ricostruzione di una identità sociale e culturale forte presso la sua base sociale, piuttosto che sulle acrimoniose e aprioristiche accuse agli avversari.
 
Quanto al Movimento Cinquestelle, che esce sconfitto dalla tornata elettorale, esso deve semplicemente decidersi ad effettuare il passaggio strutturale verso la configurazione di un vero partito organizzato, organicamente raccolto intorno a una esperienza di democrazia associativa vera e localmente diffusa fra la gente: la brillantezza delle recitine eleganti in tv su temini preconfezionati che paiono imparati a memoria prima di entrare in camerino, non rende quanto la austera serietà delle analisi dei problemi e della relativa organicità di valutazioni che bisogna imparare a fare, studiando con serietà e continuità i problemi. Se si vuole avere la maturità necessaria per governare.
 
Infine: abbiamo visto comparire, sullo sfondo dei vistosi manifesti elettorali affissi nelle sedi in cui la campagna elettorale è stata vigilata e governata, anche l’antico e glorioso scudocrociato di quella che fu la storica Democrazia Cristiana. Non sappiamo neanche chi lo rappresenti, ormai, quello scudocrociato tirato a brandelli da un nugolo di piccoli e mediocri pesci pescatori senza oggettiva speranza (no, non vogliamo chiamarli pescecani: qualcuno lo è, ma la maggior parte sono solo mediocri pesciolini senza arte né parte, in un mare di cui dimostrano di neppure conoscere l’acqua). Informazioni non sappiamo ancora quanto definitive ci dicono che i suoi specifici suffragi si sarebbero aggirati intorno al 2%. La facile tentazione, per gli aspiranti eredi dello scudocrociato, davanti a un risultato simile, può essere quella di continuare la malinconica prosopopea autolaudativa e speranzosa, senza entrare mai nel nerbo vero (e temuto nei fatti, ci sembra, da quasi tutti questi veterodemocristiani) di questa presenza nel mondo politico italiano attuale: che è la semplice e profonda necessità di costituire un esempio diverso e superiore di pratica democratica e di testimonianza valoriale fra i cittadini. Quella che vuole essere, appunto, la caratteristica saliente di Democrazia Comunitaria. 
 

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Adc-Agenzia di Democrazia Comunitaria

E LA CHIAMIAMO "DEMOCRAZIA COMUNITARIA"

Beh, insomma: tanti di voi mi hanno scritto, o telefonato, chiedendomi "che succede". Succede che acceleriamo, succede che tutta la pazienza, la prudenza dell'attesa, la doverosa calma della costruzione, durata anni, se ne sono andate, giustamente: hanno esaurito il loro compito, e a noi è  parso che onestà e intelligenza richiedessero che i nostri ideali, la nostra onestà, e, perchè no? il nostro amore per l'Italia, e per il sogno di un mondo più giusto, dovessero passare decisamente all'azione. E così mi è parso giusto scrivere. In questo modo, semplicemente, è nata Democrazia Comunitaria. Come ho detto su Feisbuc. Per costruire. 



                                                                                                                                                                                             Preg.mi:
  • Dott. Giuseppe Ecca
  • Signor Ecca Giuseppe
  • Egregio Mestesso
                                                                                                                                                                                                 Roma
 
 
Cari amici,
 
il 18 gennaio 2019 appena trascorso abbiamo commemorato e approfondito, in tantissimi ed in tutta Italia, Luigi Sturzo e il suo grande messaggio all’Italia politica dei cattolici, dei laici di buona volontà, di tutti i “liberi e forti” animati da desiderio e volontà di bene comune.
 
Lo abbiamo fatto in diversi convegni di studio, accompagnati, a seconda dei casi, da momenti religiosi, da intenzioni culturali, da obiettivi dichiaratamente politici o prepolitici.
 
Personalmente ho partecipato a quello che si è tenuto presso il Senato della Repubblica, raccolto attorno a Gianni Fontana, con amici di diverse esperienze e provenienze d’Italia.
 
La sorpresa più bella, per me, in tale convegno, è stata costituita dalla presenza di un gruppo di giovani studiosi di diverse università italiane, del Nord e del Sud. Quanti mi conoscono sanno che sono contrario alle facili retoriche di categoria, e quindi anche a quella giovanilistica: e pertanto non le incoraggio. Ma, a mano a mano che questi giovani esprimevano le loro idee e l’approfondimento raggiunto dalle loro ricerche, mi dicevo: “Ecco pienamente confermata una delle meravigliose ricchezze italiane: il nostro paese è socialmente disordinato, amministrativamente affastellato, legislativamente elefantiaco, politicamente tribalizzato, economicamente frantumato… Eppure riesce sempre a produrre un livello alto di individualità, seminate in ogni campo: in questo caso, nel campo della pur confusa e clientizzata situazione universitaria. Quelli che stanno parlando ora sono bei cervelli, di valore molto promettente, personalità di nuovi italiani in crescita che sapranno farsi valere, in Italia o, eventualmente, anche al di là dei confini nazionali”.
 
L’Italia dei grandi sprechi, delle ingiuste sperequazioni, della burocrazia inefficiente e della politica parassitaria, riesce sempre a essere compensata, in effetti, dall’Italia delle belle intelligenze, delle coscienze ardenti, delle aspirazioni pulite, del coerente sentimento dei doveri e anche degli angoli di efficienza e produttività straordinariamente eccellenti. E’ problema di persone, appunto, non di categorie.
 
E resta comunque, questa Italia, il paese più bello e più ricco del mondo: lo è in tanti suoi giovani, in tanti suoi vecchi, in tante sue donne, in tanti suoi imprenditori, in tanti suoi lavoratori, in tanti suoi artisti, in tanti suoi eroi della solidarietà quotidiana, nella sua sovrumana Roma e nelle altre mille città che, quanto a storia o arte o clima o sacralità di luoghi o santità di persone, valgono, ognuna, una nazione estera. Sì, sono felice di essere italiano, ma sono nel contempo anche indignato della così prolungata incapacità di noi italiani di darci finalmente un assetto anche organizzativamente efficiente, coeso, giusto, progrediente.
 
Ho ripetuto qualcuno di questi concetti nel mio breve intervento introduttivo al convegno, con la solita passione e forse anche con il solito eccesso di velocità espressiva: ma ho ripetuto soprattutto il mio noto pensiero centrale, cioè che è tempo che la politica, e in particolare quella di ispirazione cristiana, riassuma una diversa e superiore consapevolezza di visione e di etica della responsabilità quanto alla necessità di un rinnovato passaggio all’azione concreta. Ecco anzi il senso essenziale della mia presenza al convegno: il passaggio all’azione concreta.
 
Qui ed a voi non ripeto nulla di quanto già conoscete, in termini di analisi e di proposte per il desiderato “passaggio all’azione”: sono cose che, come altre volte vi ho detto, sono abbondantemente presentate nei documenti da noi stessi elaborati, che spiccano, nell’oceano di parole più o meno vuote di questi anni, spiccano per la loro meditatività di lungo periodo, per la loro attenzione valoriale, e anche per le loro concrete indicazioni di traduzione operativa. Sono soprattutto la ormai famosa “relazione Fontana al congresso Dc del 2012”, i documenti del Mantegna e del San Sisto, e pochi altri, epersino, da ultimo, il cosiddetto “documentino” che un gruppo di amici, fra cui voi, ha condiviso con me nel tentativo di catalizzare il passaggio della esigenza di rinnovamento verso l’accennata fase operativa.
 
In fondo, i capisaldi di tale visione e del relativo programma sono sintetizzati anche in quella “bozza di statuto che fu elaborata, con particolare impegno di Fontana e del sottoscritto, nel momento cruciale nel quale, già intorno al 2013, pareva che i nostri propositi potessero finalmente tradursi in azione. Vi sono richiamati la centralità della persona nella sua duplice e inscindibile dimensione individuale e comunitaria, l’economia e l’impresa partecipativa, i sistemi formativi integrati in senso umanistico, lo Stato snello e le autonomie come sussidiarietà, l’Europa Unita come paradigma del mondo unito, la solidarietà diffusa e il bene comune, e così via.
 
Tenuto conto di ciò, questa mia lettera vuole semplicemente confermarvi, come ho ripetuto a voi ed al nostro riferimento di ideali politici, Gianni Fontana, che con il convegno di ieri è sostanzialmente finito davvero, per me, il tempo dell’attesa. E che da oggi passo, semplicemente e umilmente, all’azione per quanto mi riguarda, fosse pure soltanto in compagnia di voi tre, cari amici. Si tratta semplicemente, nella mia coscienza, di senso del dovere e della coerenza: si tratta di non caricarci più della responsabilità di non adempimento di un dovere storico di azione organizzata nei confronti del paese e del suo bene. Non sono infatti colpe e trame di altri partiti ad averci impedito finora di onorare tale responsabilità, ma la nostra incapacità e la nostra scarsa volontà di coesione.
 
Sento di dover aggiungere una sola precisazione: poiché la presente lettera annuncia con semplicità la nascita di un Gruppo che intende denominarsi “Gruppo di Democrazia Comunitaria, regolato dallo statuto cui più sopra ho già fatto cenno, vedo indispensabile che questa esperienza di “passaggio all’azione” venga caratterizzata dai due connotazioni essenziali di cui ho già avuto modo di illustrarvi le motivazioni in più di una occasione:
 
a. la vincolatività senza eccezioni delle norme di comportamento associativo dettate dallo statuto;
 
b. la esemplarità, altrettanto senza eccezioni, dei comportamenti anche morali di chi partecipa a questa esperienza.
 
A molti di voi, nelle conversazioni personali o di gruppo scambiate di recente, in particolare a livello di “caffè chiacchierato”, ho anticipato lo spirito di questo Gruppo dicendo che esso vuole caratterizzarsi, più specificamente, come un modello monasteriale dal punto di vista organizzativo, nel senso della coesione associativa, e come una sensibilità quasi militare dal punto di vista del rispetto delle regole come criterio di certezza, di equità, di garanzia per tutti, ed anche di formazione al vivere comune. Potete immaginare con quale attenzione io pronunci l’aggettivo “militare”, al termine di tanti spettacoli tristi e scandalosi vissuti in questi anni e soprattutto in questi ultimi mesi nel nostro povero e confuso mondo rissoso di matrice democristiana: l’aggettivo “militare” vuole dunque, semplicemente ma fortemente, significare che la regola, in qualche modo sacra perché volta a garantire il bene comune, proprio come lo è la Regola monastica, è anche così esplicitamente esigente da richiamare una disponibilità di autodisciplina anche personale di tipologia, appunto, quasi militare: le regole si perfezionano secondo metodo di partecipazione democratica, costantemente, ma mentre si perfezionano si osservano.Questa sarà dunque, insieme alla citata esemplarità dei comportamenti morali, la “differenza competitiva” della esperienza del gruppo di Democrazia Comunitaria.
 

Operativamente il gruppo prende spunto e accelerazione anche dalla necessità di consentire a chi oggi rappresenta e sintetizza più di altri la nostra concezione valoriale in politica, cioè Gianni Fontana, di passare con maggiore decisione alla citata fase necessaria di vera e propria organizzazione, che, a prescindere dalle eventuali opportunità elettorali, lo stesso Fontana ha più volte sottolineato, capace finalmente di “far politica” cominciando a parlare concretamente al paese attraverso iniziative che nascano e vivano credibilmente in mezzo alla gente, come veri e propri cenacoli comunitari di animazione sociale e di solidarietà sociale secondo la nostra visione valoriale.
 
Cari amici, non so se questo gruppo crescerà o resterà una semplice testimonianza attiva e onesta di impegno civile limitata… a noi tre. Ma in fondo, a ben pensarci, se siamo convinti dei nostri valori, il numero di tre costituisce già una realtà significativa: e allora… cominciamo! Invito intanto voi, se pensate di poter accettare con convinzione questa proposta, a fare anche un piccolo e simbolico, ma significativo, atto di impegno: aderire al gruppo. Formalmente costa soltanto un euro, più l’accettazione dello statuto, che vi comunico contestualmente alla presente; tanto, nella forma: nella sostanza, l’iscrizione “costa” invece la sincera adesione ideale e morale al programma appena richiamato ed ai suoi impegni; ma può rendere una speranza finalmente davvero concreta e operativa al rinnovamento della cultura del bene comune, per il nostro paese e oltre il nostro paese.
 
                                                                                                                                     Giuseppe Ecca
Roma, 23 gennaio 2019.
 
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