Fino a che lo Stato, e la politica che lo governa, non rinsaviscano, il ruolo delle aziende cooperative, e in generale dell’impresa partecipativa, è ancor più strategico del solito, per richiamare la coscienza della collettività sull’unico modello di economia e d'impresa che garantisca davvero stabilmente sviluppo e benessere diffuso.
Per l’imminente 13 gennaio 2019 viene annunciata l’assemblea dei soci della Banca di Credito Cooperativo di Roma. Non so quale decisione ci sia da discutere e ratificare. Questa piccola banca romana, comunque, è certamente, oggi, una delle più sane e belle banche italiane, a onta della minaccia rappresentata dalla legge escogitata da questa gaglioffaggine di un parlamento che non sa più legiferare pensando al futuro del paese, e che la costringe a “fare gruppo” forzosamente con altre piccole banche, in questo caso con il gruppo Iccrea, per acquisire una dimensione che la medesima gaglioffaggine mentale della politica ritiene indispensabile per vivere e svilupparsi nel mondo globalizzato di oggi.
Non mi addentro ora nella legislazione gaglioffa, frutto di commistione fra due irresponsabilità: quella culturale e morale dell’Europa, e quella analoga della classe politica italiana; si tratta di un orientamento legislativo, comunque, nel quale non mi è possibile vedere con chiarezza quanto sia frutto di ignoranza in materia economica, e quanto di iperscaltrezza maligna, verme che guarda lontano, guarda cioè al controllo e all’annientamento progressivo degli istituti bancari che non si sottomettono all’occulto potere sovranazionale che a livello planetario manovra anche la nostra e l’altrui mediocre politica attraverso la finanza.
A onta del contesto minaccioso, la Banca Cooperativa di Roma ha saputo mantenere finora il suo visibile e tangibile spirito cooperativo, il suo conseguente rapporto diretto e costante con i soci e con i clienti, e una trasparenza ancora palese e controllabile. Non solo, ma, in questi anni, gradualmente, saggiamente, si è anche espansa, compiendo da ultimo quella bella operazione che è consistita nell’assorbire la piccola banca cooperativa padovana in difficoltà e salvarne sportelli, personale e prospettive. Personalmente mi sento impegnato, come tanti altri cittadini e risparmiatori, a salvaguardare e rinforzare tali caratteristiche del modello cooperativo.
Francamente, peraltro, di recente sono rimasto un poco male, quando mi è capitato di partecipare a una assemblea di zona della stessa Bcc e, per la prima volta, mi ha attraversato la mente il pensiero fastidioso che i germi patogeni del fasullo economismo corrente possano aver iniziato a inocularsi, quasi invisibili, anche in questo organismo sano e pulito, per preparare il terreno a una sua possibile erosione crescente.
Ho ascoltato infatti la relazione di uno dei massimi esponenti del vertice della banca e, per la prima volta, ho avvertito la presenza, nel contesto di una analisi sana ed attenta, di qualche generica affermazione, sia pure secondaria, ma pur sempre sintomatica, dalla superficialità un po’ conformista e modaiola: ad esempio, quella secondo cui “uno dei seri problemi di competitività dell’economia italiana oggi è lo scarso numero dei laureati e lo scarso numero degli specializzati in materie tecniche ed economiche”.
E no, caro signor Unodeimassimiesponentidelverticebcc: non cominciare anche tu a smettere di studiare, di approfondire, di capire i problemi nella loro complessità e concretezza, di confrontarti ogni giorno con la vita effettiva dell’economia reale, invece che limitarti a leggere le baggianate, a loro volta conformiste, ma soprattutto pericolose, del Sole24Ore o dei bollettini Luiss o delle conferenze Bocconi o delle direttive di Bruxelles. Ragiona in profondità, lunghezza di visione e concretezza, e soprattutto mantieniti fedele al formidabile bagaglio di quel buonsenso pieno di luce che caratterizzava i fondatori di questo tipo di banca, cattolici e per il vero non soltanto cattolici, nonché i fondatori di quel corrispondente tipo di impresa partecipativa e di economia reale che ebbe in Olivetti la sua più bella espressione, e che oggi ha nella trucida finanza speculativa il suo più insidioso nemico.
I laureati… A parte la strana, diffusa contraddizione del lamentare lo scarso numero dei laureati nel nostro paese, e nel contempo mantenere o accettare passivamente nel nostro sistema universitario l’idiota criterio del numero chiuso (come se la mia passione per lo studio della medicina o dell’astronomia fosse lecita o non lecita a seconda del numero di medici o di astronomi programmato dalla politica o previsto dagli organici amministrativi!...), la questione non è affatto di laureati ma di studio e cultura, cioè di elevamento del livello formativo delle nostre scuole, tutte. E, in aggiunta, di essere consapevoli che nessun livello di formazione, anche tecnica e tecnologica e scientifica, si costruisce senza un quadro e un fondo di umanesimo: è la formazione umanistica che costituisce culla e alimento della formazione tecnico-tecnologica. Altrimenti avremo un nugolo di mezze macchinette a due zampe semoventi, incapaci di pensare al senso profondo delle cose che fanno. Questo sta anzi già ampiamente avvenendo, e in ciò, sì, consiste parte profonda della crisi, anche economica, in atto in Italia e non solo in Italia. Dunque, caso mai la debolezza del nostro paese è, al contrario, di avere uno scarso numero di ragazzi laureati e diplomati nel settore umanistico; ma, soprattutto, di ragazzi semplicemente laureati per uno studio vero, serio, organico e profondo.
Dunque, ancora, caro Unodeimassimiverticidellabcc, riapprofondisci le ragioni fondative della missione delle banche cooperative, e più in generale della cooperazione, e dell’impresa partecipativa, e vediamo di parlarne ancora e con frequenza, e di rafforzarne le strategie con alti livelli di elaborazione culturale, altro che “lauree in materie tecniche e tecnologiche”!
Alla mia piccola e bella banca associativa vorrei rivolgere però anche una ulteriore, piccola osservazione di mera gestione (e potenzialmente anche di strategia, a dire il vero). Essa svolge un notevolissimo e lodevolissimo lavoro di supporto allo sviluppo sociale del territorio, ed all’incoraggiamento nei confronti delle iniziative sociali che in esso si svolgono. Ebbene, penso che andrebbe sviluppato un equilibrio più… equilibrato (ed equo) anche diminuendo il numero delle iniziative filantropiche per caratterizzarne ancor meglio la tangibile incisiva qualità, e aumentando leggermente la quota di utili destinata ai soci: la banca, infatti, è giusto che sia cooperativa innanzitutto proprio in questo senso: che è il più vero e profondo senso della cooperazione e delle sue origini, e il più motivante ed educante stimolo di essa; senza affatto trascurare, anzi sottolineando, la più larga solidarietà sociale, che certamente ne viene rinforzata e ulteriormente, anch’essa, incoraggiata.
Insomma, non perdiamoci per strada: non perdiamo il nostro futuro.
(Giuseppe Ecca)
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Per l’imminente 13 gennaio 2019 viene annunciata l’assemblea dei soci della Banca di Credito Cooperativo di Roma. Non so quale decisione ci sia da discutere e ratificare. Questa piccola banca romana, comunque, è certamente, oggi, una delle più sane e belle banche italiane, a onta della minaccia rappresentata dalla legge escogitata da questa gaglioffaggine di un parlamento che non sa più legiferare pensando al futuro del paese, e che la costringe a “fare gruppo” forzosamente con altre piccole banche, in questo caso con il gruppo Iccrea, per acquisire una dimensione che la medesima gaglioffaggine mentale della politica ritiene indispensabile per vivere e svilupparsi nel mondo globalizzato di oggi.
Non mi addentro ora nella legislazione gaglioffa, frutto di commistione fra due irresponsabilità: quella culturale e morale dell’Europa, e quella analoga della classe politica italiana; si tratta di un orientamento legislativo, comunque, nel quale non mi è possibile vedere con chiarezza quanto sia frutto di ignoranza in materia economica, e quanto di iperscaltrezza maligna, verme che guarda lontano, guarda cioè al controllo e all’annientamento progressivo degli istituti bancari che non si sottomettono all’occulto potere sovranazionale che a livello planetario manovra anche la nostra e l’altrui mediocre politica attraverso la finanza.
A onta del contesto minaccioso, la Banca Cooperativa di Roma ha saputo mantenere finora il suo visibile e tangibile spirito cooperativo, il suo conseguente rapporto diretto e costante con i soci e con i clienti, e una trasparenza ancora palese e controllabile. Non solo, ma, in questi anni, gradualmente, saggiamente, si è anche espansa, compiendo da ultimo quella bella operazione che è consistita nell’assorbire la piccola banca cooperativa padovana in difficoltà e salvarne sportelli, personale e prospettive. Personalmente mi sento impegnato, come tanti altri cittadini e risparmiatori, a salvaguardare e rinforzare tali caratteristiche del modello cooperativo.
Francamente, peraltro, di recente sono rimasto un poco male, quando mi è capitato di partecipare a una assemblea di zona della stessa Bcc e, per la prima volta, mi ha attraversato la mente il pensiero fastidioso che i germi patogeni del fasullo economismo corrente possano aver iniziato a inocularsi, quasi invisibili, anche in questo organismo sano e pulito, per preparare il terreno a una sua possibile erosione crescente.
Ho ascoltato infatti la relazione di uno dei massimi esponenti del vertice della banca e, per la prima volta, ho avvertito la presenza, nel contesto di una analisi sana ed attenta, di qualche generica affermazione, sia pure secondaria, ma pur sempre sintomatica, dalla superficialità un po’ conformista e modaiola: ad esempio, quella secondo cui “uno dei seri problemi di competitività dell’economia italiana oggi è lo scarso numero dei laureati e lo scarso numero degli specializzati in materie tecniche ed economiche”.
E no, caro signor Unodeimassimiesponentidelverticebcc: non cominciare anche tu a smettere di studiare, di approfondire, di capire i problemi nella loro complessità e concretezza, di confrontarti ogni giorno con la vita effettiva dell’economia reale, invece che limitarti a leggere le baggianate, a loro volta conformiste, ma soprattutto pericolose, del Sole24Ore o dei bollettini Luiss o delle conferenze Bocconi o delle direttive di Bruxelles. Ragiona in profondità, lunghezza di visione e concretezza, e soprattutto mantieniti fedele al formidabile bagaglio di quel buonsenso pieno di luce che caratterizzava i fondatori di questo tipo di banca, cattolici e per il vero non soltanto cattolici, nonché i fondatori di quel corrispondente tipo di impresa partecipativa e di economia reale che ebbe in Olivetti la sua più bella espressione, e che oggi ha nella trucida finanza speculativa il suo più insidioso nemico.
I laureati… A parte la strana, diffusa contraddizione del lamentare lo scarso numero dei laureati nel nostro paese, e nel contempo mantenere o accettare passivamente nel nostro sistema universitario l’idiota criterio del numero chiuso (come se la mia passione per lo studio della medicina o dell’astronomia fosse lecita o non lecita a seconda del numero di medici o di astronomi programmato dalla politica o previsto dagli organici amministrativi!...), la questione non è affatto di laureati ma di studio e cultura, cioè di elevamento del livello formativo delle nostre scuole, tutte. E, in aggiunta, di essere consapevoli che nessun livello di formazione, anche tecnica e tecnologica e scientifica, si costruisce senza un quadro e un fondo di umanesimo: è la formazione umanistica che costituisce culla e alimento della formazione tecnico-tecnologica. Altrimenti avremo un nugolo di mezze macchinette a due zampe semoventi, incapaci di pensare al senso profondo delle cose che fanno. Questo sta anzi già ampiamente avvenendo, e in ciò, sì, consiste parte profonda della crisi, anche economica, in atto in Italia e non solo in Italia. Dunque, caso mai la debolezza del nostro paese è, al contrario, di avere uno scarso numero di ragazzi laureati e diplomati nel settore umanistico; ma, soprattutto, di ragazzi semplicemente laureati per uno studio vero, serio, organico e profondo.
Dunque, ancora, caro Unodeimassimiverticidellabcc, riapprofondisci le ragioni fondative della missione delle banche cooperative, e più in generale della cooperazione, e dell’impresa partecipativa, e vediamo di parlarne ancora e con frequenza, e di rafforzarne le strategie con alti livelli di elaborazione culturale, altro che “lauree in materie tecniche e tecnologiche”!
Alla mia piccola e bella banca associativa vorrei rivolgere però anche una ulteriore, piccola osservazione di mera gestione (e potenzialmente anche di strategia, a dire il vero). Essa svolge un notevolissimo e lodevolissimo lavoro di supporto allo sviluppo sociale del territorio, ed all’incoraggiamento nei confronti delle iniziative sociali che in esso si svolgono. Ebbene, penso che andrebbe sviluppato un equilibrio più… equilibrato (ed equo) anche diminuendo il numero delle iniziative filantropiche per caratterizzarne ancor meglio la tangibile incisiva qualità, e aumentando leggermente la quota di utili destinata ai soci: la banca, infatti, è giusto che sia cooperativa innanzitutto proprio in questo senso: che è il più vero e profondo senso della cooperazione e delle sue origini, e il più motivante ed educante stimolo di essa; senza affatto trascurare, anzi sottolineando, la più larga solidarietà sociale, che certamente ne viene rinforzata e ulteriormente, anch’essa, incoraggiata.
Insomma, non perdiamoci per strada: non perdiamo il nostro futuro.
(Giuseppe Ecca)