Racconti di vita

CASTAGNE MATTE E GNOMI DEL BOSCO

Le testimonianze di vita continuano. In questo caso, si tratta dell’importanza estrema e duratura dell’esempio di vita e dell'affetto dei genitori nel processo educativo dei figli, che per la sua organicità  e immediatezza non appare delegabile né sostituibile del tutto, neanche da parte della scuola migliore...

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C’erano una volta, tantissimo tempo fa, un papà e la sua piccola figlia. Si amavano teneramente e il loro amore rendeva ogni gesto ed ogni parola speciali, quasi magici. Vivevano però, a volerla dire tutta, in un luogo che di magico non aveva quasi nulla: non c’erano tramonti incantati nelle serate estive; non si sentiva il profumo dei fiori di gelsomino quando maggio veste generoso le siepi dei giardini; non c’erano piccoli corsi d’acqua dove poter cercare rane e girini; soprattutto non c’era il mare, con il suo odore intenso e il suo rumore possente nelle giornate di tempesta. C’erano invece lunghe file di fabbriche grigie, adagiate nella periferia della grande città, apparentemente disabitate, ma rumorose, per un orecchio attento, a testimonianza dell’incontro operoso di uomini e macchine. C’erano anche lunghe strade che tagliavano la pianura; volendo seguirle con lo sguardo, si saliva verso le colline e poi più su, fino a raggiungere le cime delle Alpi, innevate per tutto l’anno.
La gente che vedeva passeggiare il papà e la sua piccola figlia tenendosi per mano (lei accompagnava lui o lui accompagnava lei non si sa) aveva espressioni di stupore e di meraviglia:
  • Guardate come sono belli, lui sembra un principe, con quel suo largo cappello e il passo elegante, e lei è sicuramente la sua principessina… Fate largo, fate largo… lasciateli passare!
La loro dimora sembrava, da fuori, un po’ fuorimoda con la sua forma stretta e allungata su due piani. A fatica sporgevano due piccoli balconi con la ringhiera di ferro; ma proprio da quelli il papà e la sua piccola figlia immaginavano spesso di affacciarsi per recitare la parte del re e della regina, fino a quando la mamma non chiamava:
  • Tutti a tavola, che è pronto!
Dall’interno della cucina poteva accadere che giungesse la musica di un grammofono e loro ne approfittavano, rientrando, per muovere qualche passo di danza: lei saliva con i piccoli piedi sulle scarpe di lui e insieme ridevano per quell’inganno innocente, mentre piroettavano fra le sedie e il tavolo immaginandosi nel salone di un grande castello.
Giocavano spesso insieme, il papà e la sua piccola figlia: lui era prodigo di invenzioni strabilianti, faceva giochi di prestigio che sembravano vere magie, ma si faceva piccolo come lei quando doveva assecondarla per una sua infantile richiesta. E così inventava favole con maghi e castelli incantati, faceva arrivare cavalieri invincibili che liberavano principesse prigioniere, e lei lo ascoltava rapita, gli occhi spalancati sul mistero, muta nell’attesa di ciò che sarebbe accaduto.
  • Papà, quando sarò grande voglio diventare una principessa e ti sposerò, perché tu sei il mio re…
  • Ohi, ohi…e come faremo a dirlo alla mamma? E’ lei la regina – rispondeva divertito il suo papà.
  • Ma starà con noi, staremo tutti insieme! – rispondeva lei.
In quella dimora c’era anche un piccolo giardino che in qualche modo permetteva loro di godere dei fiori di lavanda in estate e dei mille colori delle foglie in autunno. Non era molto, ma con un po’ di fantasia si potevano anche trasformare le file di formiche in ballerine e qualche coccinella in una fata buona. C’era anche un gatto bianco e nero, che passeggiava pigro su e giù, fra l’albero di cachi e qualche cespuglio selvatico, inconsapevole delle innumerevoli volte nelle quali aveva indossato stivali e cappello piumato per difendere il suo padrone o, per contro, aveva ingannato con furbizia una lucertola fingendosi cieco e innocuo, per tendere poi un agguato mortale! Sì, perché, come forse si è capito, questa favola è piena di favole. E come in tutte le favole le scene cambiano, i personaggi si trasformano, i buoni vincono i cattivi, e la fantasia si fa largo per interpretare la realtà a modo suo. Anche il papà buono di questa fiaba, che sapeva trascinare la sua piccola figlia in un mondo incantato, smontò pezzi del reale per ricomporli in una nuova storia del tutto irreale.
E quando, qualche tempo dopo, dovettero purtroppo cambiare dimora, si sentirono un po’ tristi nel dover abbandonare quel piccolo paradiso: ma né lui né lei si persero d’animo.  Anche se il palazzo nel quale erano andati ad abitare rendeva difficile riprendere il gioco del “facciamo che io ero la principessa e tu il re”, iniziarono subito ad andare alla ricerca di un luogo che permettesse loro di continuare a sognare. E gira e rigira lo trovarono: era un pioppeto che, sorprendentemente, si apriva al di là del cemento, quasi un miracolo della natura. Così, partirono in un pomeriggio di sole per andare a conoscere i misteri di quel bosco e alla piccola figlia di quel papà meraviglioso batteva il cuore per l’emozione. Fatti i primi passi tenendosi per mano, il sottobosco cominciò a crepitare sotto i loro piedi, e sui tronchi alti e sottili dei pioppi si innalzavano fronde leggere che si muovevano appena sopra di loro. Continuarono a camminare, facendo attenzione mentre l’aria intorno si riempiva delle loro voci spezzando il silenzio. Giunsero quasi alla fine del bosco, proprio dove alcuni ippocastani, con i loro tronchi imponenti, sorgevano a definire un viale che, passando di lì, portava quasi sicuramente lontano. A differenza dei pioppi, questi erano alberi maestosi, che reggevano chiome larghe e ombrose; le foglie fitte nascondevano ricci spinosi pieni di castagne matte: ma molti di questi erano già caduti.
  • Attenta, non toccarlo, con il riccio ti puoi pungere...
A lei piacevano tanto le castagne matte, così rotonde e lucide, e allora cercava quelle già uscite dal riccio, ce n’erano molte per terra, se le faceva rotolare fra le mani e poi ne raccoglieva fino a riempirsene le tasche.
  • Guarda papà, sono bellissime, le portiamo alla mamma, anche a lei piacciono, me lo ha detto un giorno… Ma che cosa sono questi buchi nei tronchi?
A questa domanda il papà buono liberava tutta la sua fantasia per volare con la sua piccola figlia nel loro mondo incantato.
  • Questi buchi nei tronchi li fanno gli gnomi del bosco.
  • E dove sono adesso? Ma…sono cattivi gli gnomi?
  • Certamente no! Gli gnomi del bosco non sono cattivi, anzi. Ma escono solo di sera perché temono gli uomini: si rifugiano in questi buchi e si fanno compagnia, si vogliono bene fra di loro. Nessuno però li ha mai visti, purtroppo! Chissà, forse noi potremmo essere fortunati e incontrarne uno…
La piccola figlia sbarrava gli occhi, si emozionava, ma la presenza rassicurante del papà le consentiva di abbandonarsi a immaginare serate di luna piena con gli gnomi seduti a conversare intorno a quei buchi nei tronchi. E alla sera si addormentava, cullata dall’ultima favola che lui le leggeva.
Un brutto giorno, però, accadde ciò che non dovrebbe mai accadere: il papà si distrasse? La piccola figlia si staccò dalla sua mano? Fatto è che non si ritrovarono più e… lei si perse, non in un bosco fitto di alberi e di pensieri fantastici, ma, molto più modernamente, in una libreria affollata di una strada del centro della città; perché, come è evidente, questa è una favola nella quale realtà e fantasia si confondono e qualche volta non si sa più dove finisce l’una e dove comincia l’altra. Fu allora che quel papà, disperato, cominciò a percorrere le strade della città invocando e gridando:
  • Chi ha visto la mia bambina? C’è qualcuno che me la può riportare?
Percorse in lungo e in largo portici e vicoli, incapace di immaginare la vita senza di lei. Si mise a correre senza meta, chiedendo a chiunque incontrasse:
  • Ha visto una piccola bambina, che sembra una principessa? E’ la mia bambina, è mia figlia, mi aiuti a cercarla…
Allora, uno dopo l’altro, uomini e donne e ragazzi, si unirono a lui, le strade si riempirono di gente che chiamava a gran voce il nome di lei in un unico coro disperato, ma tutto sembrava vano. Poi, finalmente una voce gridò:
  • Venite, venite! L’ho trovata, è qui!...
Oltre la porta della gendarmeria, due signori vestiti in uniforme ascoltavano, compiaciuti, una piccola bambina che recitava, in piedi su di un grande tavolo, una poesia imparata all’asilo: via le lacrime della disperazione nell’essersi vista sola, cancellato il ricordo di quel singhiozzo alternato a parole sussurrate in cerca di aiuto: - Ho perso il mio papà… voglio il mio papà… la mamma dov’è? 
Tutto finito, ora. Le parole rassicuranti dei gendarmi confermavano che la mamma sarebbe subito arrivata, e anche il papà. L’abbraccio del ritrovarsi fu accompagnato da grandi grida di gioia, i clacson delle automobili divennero scampanio di campane, la gente si mise a ballare nella strada: perché così succede nelle favole.
Da allora la vita riprese tranquilla il suo scorrere: il papà buono e la sua piccola figlia continuavano a volersi bene; lei cresceva e lui si adattava con complicità e… tanta pazienza.
Poi, un certo giorno di un certo anno, alla piccola figlia, ormai dodicenne, parve di udire dentro di sé la voce del papà che, a conferma di un presagio che si stava concretizzando, dava risposta alle domande che il suo cuore poneva: perché quei nuovi silenzi nella casa? Perché si erano interrotti i momenti di complicità? Perché erano state via via abbandonate vecchie abitudini, per fare spazio a nuove necessità, dalle quali si sentiva esclusa, quasi allontanata?
  • Forse dovrò partire per un lungo viaggio, piccola mia… - diceva quella voce; - forse non potremo attendere insieme di vedere, il prossimo autunno, il colore dei ricci degli ippocastani che cambia…
  • Perché, dove devi andare, papà?
  • E’ un po’ difficile da spiegare: quando sarai più grande capirai e forse accetterai. Ti ricordi quando ti raccontavo le favole con le principesse e i re? Ecco, noi resteremo sempre insieme, come nelle favole, e sarà come fare una magia: tu resterai nel mio cuore e io nel tuo, per sempre. Non piangere, la nostra sarà la favola più bella.
E così, piano piano, senza far rumore, il papà buono sfumò verso l’azzurro, nell’aria ferma di un pomeriggio estivo, lasciando però dietro di sé mille bagliori di vita per la sua piccola figlia.
Questo è il ricordo che ho di mio padre, mondato del dolore provato per la sua perdita. Oggi compirebbe cento fantastici anni. Buon compleanno, papà!... E grazie per aver dipinto la mia infanzia con tutti i colori della fantasia.
Questo ricordo è appunto dedicato a mio padre, memoria viva nel mio cuore, con immensa nostalgia, in questo 7 giugno 2012.
                                                                                                 
                                                                                                               (Anonimo, PremioPratoRaccontiamoci)
 
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