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Religione

MIO ZIO ATTILIO E LA SANTA PASQUA

Silvano, autore di questo piacevole e sorridente dialoghetto con lo zio Attilio, non si smentisce: nel suo scrivere c’è sempre il gusto raffinato di chi dipinge caratteri e paesaggi umani e sociali con la maestria raffinata del pittore sulla sua tela (infatti egli è anche pittore) ma inoltre c’è sempre, ed a volte è la vera sostanza dominante del suo scrivere, un pensiero che pone quesiti e ipotizza strade, evidenzia strettoie  e prospetta orizzonti, e soprattutto richiama coerenze. Questa volta la proposta di riflessione mette in contatto, sorridendo ma con consapevole profondità di intenzione, alcuni rischi di superficialità tipici dell’epoca che viviamo con valori religiosi che meriterebbero più attento, rispettoso e meditativo approccio.
 
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Ho trovato lo zio impegnatissimo in una telefonata, col vivavoce inserito.

“Aspetta, aspetta, se no perdo la priorità: è parecchio tempo che tento di capire quale tasto premere…”

E’ in linea con il centralino della Parrocchia.

“Sai, Il parroco ha scritto sul sito web della chiesa che quest’anno le benedizioni si fanno non più casa per casa”

Se desidera informazioni sulle attività della Parrocchia, prema il tasto 1.

“ma cumulativamente, secondo la suddivisione per vie (ha allegato l’elenco), nelle messe delle ore 19: bisogna consultare l’elenco e non dimenticare la data per presentarsi in chiesa.”

Se desidera informazioni su battesimi, prime comunioni e cresime, prema il tasto 2

“Tutti coloro che invece vogliono la benedizione presso la propria casa possono contattare il parroco per concordare la data. Siccome sono amante delle tradizioni, sto cercando di chiamare il prete”

Se desidera informazioni sui corsi di preparazione al matrimonio, prema il tasto 3

“ma come vedi è una cosa difficilissima, peggio che telefonare per informazioni a qualche ente pubblico!”

Se desidera una benedizione, prema il tasto 4.

“Ecco deve essere questo, vediamo se ci ho azzeccato!”

Se desidera una benedizione in latino, prema il tasto 1
Se desidera una benedizione in italiano, prema il tasto 2
Se desidera una benedizione in altra lingua, prema il tasto 3.
 
“Mah, proviamo in italiano”
 
Se desidera la benedizione della persona, prema il tasto 1
Se desidera la benedizione dell’anziano, prema il tasto 2
Se desidera la benedizione del bambino, prema il tasto 3
Se desidera la benedizione del malato, prema il tasto 4
Se desidera la benedizione dell’auto, prema il tasto 5
Per tornare al menu principale, prema il tasto 9
 
“Ma no, non è questa… io non voglio una benedizione registrata al telefono… va be’, visto che sei qui, meglio riprovare un’altra volta”.

Ed ha chiuso la telefonata.

“Certo che le cose stanno cambiando sempre più velocemente, in omaggio ad una modernità che non so quanto sia piacevole. Adesso neanche il prete si sposta, bisogna prenotare per tempo, nemmeno fosse uno spettacolo o una cena al ristorante… Penso che prossimamente le benedizioni le farà via whatsapp, o via facebook solo per chi si è iscritto al gruppo!… A proposito, tu pensi che bisognerà pagare per la prestazione?”

“E’ il progresso, zio, e bisogna stare al passo con i tempi”, ho detto io.

Macché progresso e progresso, ma che soddisfazione ti danno più queste cose, ci manca solo che la Pasqua diventi un videogioco e si debba festeggiare con una ‘app’!

Una volta, e fino a nemmeno tanti anni fa, il parroco passava a benedire le case e noi bambini aspettavamo l’evento con una sorta di timore reverenziale. Il prete, casa per casa, benediva le varie stanze e poi anche le persone e tutti eravamo contenti e ci sentivamo più buoni… almeno per quel giorno!

Questo accadeva nelle città, nelle campagne invece il prete veniva con l’auto e girava tutte le case, anche quelle isolate, si fermava spesso a bere il bicchiere di vino che veniva sempre offerto e certe volte succedeva che alla fine del giro era assai brillo, tanto che una volta a mia madre si dimenticò di dare la benedizione e se ne andò via tutto bello rosso in viso… solo che il cane di casa, evidentemente infastidito da tutta quella scena, corse appresso al prete e lo azzannò ad un polpaccio, niente di grave ma che ridere!

Ora le cose - come vedi - le fanno online, fra poco le faranno con la realtà virtuale. Mah, che vuoi che ti dica, è la modernità… ma io ricordo con una certa nostalgia quando la Pasqua si festeggiava in un modo diverso, molto più - come dire - solenne e sentito. E c’era anche una sorta di rispetto religioso.

Mi ricordo che a partire dal mezzogiorno di Venerdì Santo (ora della morte di Cristo) i programmi radio e tv trasmettevano solo musica sacra e notiziari, non venivano trasmesse musiche ”allegre” o programmi spensierati, pensa che non si trasmetteva neanche Carosello! E in casa noi bambini dovevamo fare silenzio e non fare chiasso. Poi c’era l’attesa dello scioglimento delle campane, sabato a mezzanotte, e la domenica c’era il pranzo pasquale, rigorosamente preparato da mia nonna con le immancabili uova sode e salame e la colomba pasquale (che, detto fra noi, non mi è mai piaciuta).

La Pasquetta, poi, era l’occasione - se possibile - di una scampagnata per i prati e giocare a pallone sull’erba.
Per l’occasione a mia nonna regalavo una pecorella di zucchero, lei era felice, si accontentava di poco, e ne faceva collezione. Oramai non se ne trovano più.

Che differenza rispetto ad oggi, era un’altra atmosfera! Oggi, per omaggio a quale idea che non ho ben capito, la Pasqua si è ridotta solo ad una grande festa commerciale, con la corsa agli acquisti di cose mangerecce… come se non si mangiasse tutto il resto dell’anno… a comprare colombe e uova di cioccolato, che poi in gran parte vanno buttate dopo aver preso il regalo di plastica, e poi domenica e lunedì tutti a mangiare nei parchi, cercando di sporcare il più possibile, e siccome non c’è posto per tutti, chi tardi arriva…, una volta ho visto addirittura persone che si erano accampate in una aiuola spartitraffico! Di rispetto per il Cristo risorto mi sembra non ce ne sia più”.
 
“Bene zio, vedrò di trovarti una pecorella di zucchero”, gli ho risposto pensando di fare lo spiritoso.

Zio Attilio mi ha guardato con una sorta di sogghigno: “Vedi piuttosto di non portarmi il solito uovo di cioccolato al latte, lo sai che preferisco soltanto il fondente!”

Ed è tornato a telefonare al parroco.
                                   
(Silas)
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Religione

DIO MIO PADRE

Il cristianesimo chiede adultità di adesione senza accomodamenti, e offre risposte senza trucchi a tutto l’uomo su tutti gli interrogativi dell’uomo: anche quelli che, di primo acchito, ci sembrano più complessi da affrontare. Il Padre Nostro, ad esempio… Comincia a rifletterci, introduttivamente, Viscardo Lauro.
 
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Credo in Dio Padre Onnipotente… Sublime, spinoso, inquietante, il Dio Padre ha sempre affascinato e fatto discutere. Il problema di Dio che si complica coi mille incerti della figura del padre, pensa tu…I maestri della psicanalisi hanno pagine indimenticabili sul personaggio-padre nella religione. Su tutte, il rapporto Dio-Abramo: fede a mille e mille domande senza risposta. E la figura del Padre, fondamentale nelle religioni, resta decisiva all'interno della nostra coscienza. Padre nostro che sei nei cieli: che scossa stringere a messa un'altra mano tremante come la mia. Padre nostro che sei nei cieli: pochi secondi, un minuto al massimo, ed è un piccolo paradiso.
 
Eppure…
 
Eppure in tanti di noi (e quasi ci vergogniamo ad ammetterlo) quante volte è affiorata una
punta di dubbio o di incertezza e perfino, ahimè, di rifiuto. Da rileggere l'inquieto romanzo di
Albert Camus La peste. La città di Orano è isolata, la paura dilaga di strada in strada, il
gesuita padre Paneloux è sotto accusa da parte del suo amico medico: come spiega la
religione una sciagura così grande? Dov'è il Padre vostro in questi giorni? Resta forse nei
cieli e abbandona i suoi figli? Dov'è finita la Provvidenza che tanto aveva illuminato le
pagine della peste nei Promessi Sposi?
 
Dio mio Padre. Chi è il Padre a lettere maiuscole, chi è quel personaggio che mi porto
appresso dall'infanzia? Chi è Il Padre. Attenzione, ho detto Padre, non semplicemente Dio.
Il Dio Padre delle antiche religioni nasce sulla figura rassicurante e temuta del capoclan, il grande anziano a cui spetta l'ultima parola: lui dice e decide, lui benedice e condanna. Nozze, parentele, guerre, patrimoni, transumanze e alleanze: a tutto provvede il Padre. Tutti lo venerano e tutti gli obbediscono. Tutto può il Padre Patriarca perché tutto dipende da lui. Questo il modello mentale che costruisce l'antica religione del Padre Onnipotente e soprattutto questo il modello religioso di figliolanza. Il figlio dipende e china la testa; il figlio forse rivolge domande ma alla fine subisce; a occhi chiusi il figlio accetta e si fida. È il Padre che decide il suo bene e dalla sua mano qualsiasi cosa. Il Padre promette la terra, il Padre sceglie la moglie e il Padre garantisce il futuro, magari prospero come un firmamento di stelle o una sabbia del mare. Dio mio Padre, mio calice e mia eredità reciterà poi il salmo. Scorrono sotto i nostri occhi le storie indimenticabili di Abramo, di Isacco e Giacobbe nel libro di Genesi; scorrono le strabilianti vicende di Mose nel libro dell'Esodo: la colonna di fuoco, la nube, la manna dal cielo, l'acqua dalla roccia, il serpente di bronzo che guarisce le piaghe. Premuroso, amoroso, sempre presente, il Padre.
 
Tutto facile, tutto bello, tutto scontato? No, non tutto torna e non tutto convince. Vediamoli
più da vicino quei testi e facciamoci pure qualche domanda (che spesso ci resta sulla
punta della lingua).
 
Il Dio di Abramo. Un Dio migratore che fra mille incognite guida clan e famiglia verso la
terra promessa: acquisti, piccoli scontri, alleanze. Un Padre assoluto al quale non si fanno
tante domande e una figliolanza vissuta talvolta in un vuoto di stomaco. Già estatico sotto
il cielo stellato Abramo è ora tremante e incredulo di fronte al tragico destino di Sodoma e
perfino atterrito alla voce che gli chiede il sacrificio dell'unico figlio. Una figliolanza incerta
e sofferta, quella di Abramo
, altro che facile.
 
Il Dio di Mosè, un Dio nomade e guerriero che non si fa scrupolo a invadere distruggere e
conquistare. E una figliolanza ancora più traumatica aspetta il giovane condottiero che
aveva sfidato Faraone. Lanciato in un'avventura senza margini chiari, pressato da clan e
da famiglie sempre più insofferenti, Mosè ha un continuo bisogno di interrogare il Padre.
Una missione, la sua, sempre più intessuta da angosce. Lo stesso colloquio che ogni tanto
riesce a strappare al Dio Padre si rivela un evento faticoso, appartato, segreto,
interminabile, quasi uno straziato oracolo da sibilla. Non tanto un privilegiato, Mosè, quanto un solitario e tormentato arrampicatore delle creste del Sinai. O magari un taciturno frequentatore della famosa Tenda del Convegno, il cubo vuoto e muto dove il Padre
pastore gli parlerà senza mostrare il suo volto. Ogni volta sarà supplica, trattativa impari,
grido: un'autentica lotta per strappare una clemenza e per ottenere un perdono quasi
impossibile. E per chi? Per gente ingrata, incredula, inquieta, scontrosa, insopportabile. Da
quel colloquio col Padre Pastore, Mosè esce prostrato, esausto, intrattabile: profeta
sconfitto, mediatore senza gloria e (ultima grande amarezza) mai gli sarà concessa la
terra promessa. Figliolanza non facile e proprio non incontra i nostri desideri. Da rivedere il
Dvd Moses et Aaron di Arnold Schoemberg: mentre il popolo corre ormai appresso ad
Aronne, il nuovo accomodante profeta, Mosè si accascia perdente al centro della scena.
Un finale da brivido.
 
La paternità di Dio resterà per secoli il lato più fascinoso ma anche il fianco più esposto
delle religioni che da lì a poco tenteranno di svincolarsi dalla stretta. Difatti. Non appena le
scuole pitagoriche, stoiche o socratiche si lanceranno a vagliare e a discutere la realtà,
fiorirà anche la critica serrata alla vecchia religione. E gli ambienti giudaici della diaspora, i
più disposti alla discussione nelle piazze e nelle scuole greche, non si tireranno indietro e
raccoglieranno la sfida. Così si evolve, così si trasforma, così cambia, anche radicalmente,
la figura del Dio Padre all'interno stesso della Bibbia. Anche presso Israele nascerà la
grande letteratura di critica religiosa: Qohelet, Giona e soprattutto Giobbe, il poema degli interrogativi spietati.

 
Perché Giobbe sta soffrendo? Da chi è colpito Giobbe? Giobbe è un giusto, Giobbe non
ha fatto male a nessuno, Giobbe è un servo fedele. Perché Giobbe, perché Auschwitz,
perché i bambini passati per un camino?
Un seguito ossessivo di saggi, di films, di
romanzi. Un processo senza appelli: unico imputato Dio e, conseguenza inevitabile, il grande Padre pastore che non esiste più.
 
Ancora. Uno, forse due secoli, e siamo ai vangeli. Orto degli Ulivi: si apre uno dei capitoli chiave, un vero spaccato sull'anima della religione. Non solo preghiera, non solo confidenza, non solo invocazione: la voce di Gesù è una discussione accanita: perché a me questo calice. Spasimo, corpo a corpo, sudore di sangue. Cosa è accaduto? Dov'è il Padre di Abramo? E soprattutto dov'è quella figura di Padre che tanto aveva appassionato e travolto Gesù per interi capitoli del Quarto Vangelo? Pagine che trasudano emozioni, è il caso di dirlo. E anch'io ho bisogno di riprendere fiato. Dio mio Padre. Credo in Dio Padre Onnipotente.
 
                                                                                                            (Viscardo Lauro)

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Religione

"EFFATA'": LA STRADA E' APERTA

Il seguito del precedente articolo dello stesso autore, pubblicato il 3 marzo: o, meglio, la sua seconda parte.
 
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Una scia luminosa, e chiunque ci resta impigliato: è il battesimo di un bambino.
 
Nel battesimo di un bambino ci entri in punta di piedi, e non solo perché sei in chiesa. Ti fai avanti piano
piano e svicoli per la navata laterale perché già lo senti, già lo sai che oggi, qui, tutto sarà lieve e di mano
leggera.
 
Il battesimo forse più bello l'ho celebrato in un giardinetto di condominio e neanche mi ricordo come
strappammo il permesso. Tutto improvvisato, eppure che emozione, che commozione fra preghiere, canti,
chitarre e tamburelli: un rito un po' hippie come solo il battesimo di un bambino può diventare. Eppure, se lo
lasci scorrere liquido liquido, quel rito prenderà l'anima a tutti, anche a chi ci è venuto un po' così, anche in
una chiesa affollata e distratta. Durante il battesimo si snoda una scia talmente luminosa che chiunque ci
resta impigliato.
 
Il battesimo di un bambino è una cosa fragile, è un rito fatto con niente: gesti, parole, oggettini che lì per lì
fanno ridere: ma è quello il suo profondo, è quella la sua serietà e mai come adesso tornano le parole di Gesù: se non vi fate come bambini nel regno di Dio non ci entrerete mai. Difatti. Cose minute e cose minuscole ha preparato don Filippo: banchettino, tovaglietta, boccette, vasetti, batuffoli, brocca, bacile, asciugamani, candeline sigillate nel cellophane, vestina bianca. Tutto in miniatura, niente ingombro, non pompa magna: riti che durano un secondo, frasi brevissime, cenni, simboli, cifre, metafore.
 
Favolosamente misterico, il battesimo di un bambino mi si svela passo passo: l'importante è che io mi lasci trasportare senza pretendere e senza aspettarmi granché. Qualche dubbio? La grande teologia cristiana campeggia sullo sfondo e non la tradisco con la poesia, sta’ tranquillo. Se poi hai bisogno di un'immagine per ispirarti meglio, lascerei da parte le grandi tavole del battesimo di Gesù (Piero della Francesca, Verrocchio, Leonardo mi perdonino) e mi rivolgerei piuttosto ai ghirigori di Mirò, ai colori pastello di Klee, agli asini che volano di Chagall, o alle forme intrecciate di Vassily Kandisky. Ci stanno, ti assicuro, e mano nella loro mano entreremo nel tempio a misura di neonato.
 
Eppure l'inizio del rito, secondo me, è sconvolgente. Il nome, si comincia dal nome del bambino. E non per
iscriverlo, come all'anagrafe, no: adesso è per pronunciarlo, per proclamarlo, per gridarlo ai quattro venti. Quasi tutti lo conoscono, quel nome, sono giorni e mesi che gira fra i parenti: ma… che gli fa. Ora è un atto solenne, ora è una svolta, ora è una ribalta e tutti vogliamo sentirlo forte quel nome, perché è importante, perché è necessario, perché é insostituibile: e pare che qui tutto cominci da capo. Come si chiama il vostro bambino, ditelo a voce alta, fatelo risuonare, il suo nome, fatelo correre con l'eco di tutta la navata. Matteoooo… Agneseeeee… Andreaaaa… Elenaaaa….
 
Il tuo nome: comincia così il tuo battesimo, piccolo mio. Che mossa straordinaria, questo preludio, che tocco: in una società di numeri, di posti in fila, di codici a barre, di password, di nickname. Il tuo nome. E così dovremo chiamarti e così apprezzarti e così conoscerti e mai far finta di niente e guai a metterti nel mucchio: ficcarci bene in testa chi sei tu, che cosa sei tu, e no, scusa, m'ero sbagliato, t'avevo scambiato per un altro. E proprio qui, proprio adesso, giureremo di distinguerti, di guardarti negli occhi e mai girarti la faccia. Quel nome tua madre, tuo padre (domani la tua innamorata, chi lo sa) se lo stanno già incidendo come un sigillo sul cuore, quasi un tatuaggio che non si leva con niente. Così scrive il Cantico dei Cantici e così lo stiamo ripetendo noi, con le lacrime agli occhi. Il tuo nome scritto nella mano di Dio e abbandonino, bambino mio, non ci diventerai mai, e buttato lì da una parte coi videogiochi dalla mattina alla sera non ti ci lasceremo mai. Ora che ci sentono tutti, è il primo giuramento che ti facciamo.
 
Poi, rito rito, arriviamo all'effatà. E cos'è l'effatà? Effatà è un verbo aramaico all'imperativo: apriti, fatti largo, esci fuori. Insomma, vorremmo aprire la tua bocca e per assurdo pretendere che tu cominciassi a parlare adesso, qui, come nelle favole. Ci viene addosso il vangelo ed eccolo Gesù che si avvicina ai muti, eccolo che si fa largo tra i senza parola, eccolo accostarsi ai colpiti da ictus con la bocca storta e lui che gli spalma chissà che fango e chissà che intruglio e gli grida effatà, apriti, e quelli che cominciano ad articolare la mascella,  a incespicare, a sputare fra lingua e denti,  e poi una smorfia e piano piano una mezza parola e alla fine un mugugno di frase. Che miracolo la parola, che meraviglia poter parlare. Tu, amore mio, parlerai fra un anno-un anno e mezzo, man mano che matureranno le zone del tuo cervello: ma aspettando aspettando a noi ci prenderà l'ansia e proprio da quell'ansia oggi vorremmo partire mentre ti tocchiamo lievemente le labbra. Parla.
 
Parla, parla: questa è la nostra benedizione e la parola fiorirà nella tua bocca. Guarderai la gente negli occhi e
non ti chiuderai mai, non ti nasconderai, e mai ti metterai all'ultimo banco. Sarà il tuo vanto parlare e ridere e
gridare e farti sentire e dire la tua. E nessuno ti metterà sotto, e nessuno ti ridurrà al silenzio, e nessuno mai ti
chiuderà la bocca. E tu, soprattutto, tu di tua scelta, tu di testa tua, mai resterai in silenzio e mai farai scena
muta di fronte a nessuno dopo un sopruso, una vigliaccata o un tradimento. Ti ribellerai, alzerai la voce,  gliene dirai quattro. Coraggiosamente, sempre, con chiunque voglia fare il padreterno con te. Già ti vedo che ti esponi, ti fai avanti, ti presenti: senza paura di urlare in faccia a quei padroni, a quei dittatori a quei vigliacchi.
 
Effatà, amore mio: questo rito e questo sogno e questo augurio diventeranno realtà: sarà fatto, sarà compiuto,
sarà una grazia. Effatà, che verbo. Mentre lo pronuncio mi vengono i brividi. E siamo al cuore del battesimo, l'acqua. La faccio scorrere sulla tua testa nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e la mia mano chissà che sia la fontanella giusta per te.
 
L'acqua è la vita: sei stato immerso nell'acqua di tua madre per nove mesi e oggi la vai cercando fra di noi,
l'acqua: che azzardo, e va bè: provaci. Prendila e immergiti quanto vuoi nell'acqua che ti offriamo: chissà che
non tu non guarisca dai graffi che t'hanno lasciato le generazioni precedenti e che tu sia migliore dei tuoi
antenati. Migliore? Te lo auguro, ma lo sarai soltanto se conserverai una sete quotidiana, se non ti contenterai
di bere a un'unica fontana, se cercherai di bere da tutte le parti. Un assetato perenne, ecco come ti sogno. Mai sazio, mai soddisfatto, sempre alla ricerca di un'oasi successiva. È un pozzo senza fondo, l'acqua del battesimo.
 
Ma ancora non basta. Al centro della chiesa don Filippo ha piantato il grande cero acceso nella notte di
Pasqua. Una specie di faro che domina la comunità e la veglia notte e giorno. Viscardo, per favore, resta qui
anche questa notte; ma certo, dove vado, ancora la sento la voce di mio padre in ospedale. Ti accorgerai presto che vuol dire restare al buio, e che disperazione non trovare chi ti faccia luce sul pasticcio in cui ti sei
cacciato. Si farà giorno quando finalmente troverai qualcuno che ti libera da quella dipendenza, uno che ti
costringe a riflettere, uno che ti strilla “ripensaci” e poi ti strattona, dai, vieni via verso l'uscita di sicurezza.
Eccola la candelina che il tuo padrino di battesimo va ad accendere dal cero: sembra un faretto sul casco da
minatore per uscire dal tunnel.
 
Una conquista: vorremmo che la tua vita avesse sempre un traguardo più in là, che fosse una candidatura
perenne all'oscar, che diventasse una continua presa di responsabilità. La madrina ti infila la veste candida: la
tunica bianca che i pretendenti a una carica politica indossavano alla vigilia. I candidati: perché fosse chiaro
a tutti che erano senza macchia, che non avevano addosso ombra di sospetti e non si portavano dietro tracce
di precedenti. Candidato alla vita. Te ne accorgerai, piccolo mio, che fiatone e che faticaccia è la vita, ma vale la pena correrla. Mai imboscarti, mai arrenderti e mai tirare indietro la gamba: ti vogliamo a testa alta e con un cuore grande così. Conta su Dio e sulle tue forze, ma non ti avvilire subito e non ti squalificare da solo e, per favore, metti ogni giorno l'asticella un centimetro più in alto.
 
Siamo alle benedizioni finali. Ora il tuo battesimo è completo e non ci resta che festeggiare. La strada è
aperta: che sia lunga e felice.
Ciao, fatti grande.
 
                                                                                                          (Viscardo Lauro)
 
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Religione

IL BATTESIMO, E POI LA VITA...

Sempre potente e sempre stimolante, la riflessione di Viscardo. Anche se personalmente non condividiamo l’auspicio di superare il tradizionale “registro del battesimo”, che davvero non fa male a nessuno e anzi può avere una sua utilità pratica nel futuro del bambino pur senza riguardare il sacramento del battesimo in quanto tale, vi proponiamo la periodica meditazione interessantissima del nostro autore.
 
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Una promessa, quasi un giuramento: il battesimo di un bambino ci prende in parola.
 
Un po' di nostalgia ce l'ho, inutile negarlo. Sto parlando del battesimo di una volta, il battesimo in casa,
proprio lì dove tra i mille dolori di mamma la levatrice mi aveva tirato fuori. I fiocchi, i cuscini, le brocche di
acqua calda, il parroco con la sua piccola attrezzatura, alla fine biscottini e rosolio. Tutti lì, mamma, papà, il
compare, la comare, le vecchie zie, i parenti più stretti, nel calore affettuoso e un po' stantio delle osservanze
religiose. Nessun problema, niente domande, tutto procedeva da solo. La religione l'avrei assorbita piano
piano a piccoli sorsi e senza complicazioni.
 
Nostalgia? Di che, nostalgia? Ma, non so dirti, forse perché il battesimo di un bambino io continuo a sentirlo e ad amarlo solo se è una stretta, un abbraccio forte e uno sguardo intenso. Insomma, qualcosa di unico. A certi battesimi tirati via mi viene voglia di uscire.
 
Un bambino, te lo ripeto, e non ti annoiare, un bambino non è solo un regalo, la sua nascita non è solo una
festa e la sua apparizione fra noi non è soltanto un respiro in più, quasi che tutta casa avesse riaperto le
finestre e… ah! che aria nuova. No, no: quel lieto evento, come lo chiamano, è di più, è molto di più, è un mondo a sé, eppure, lì per lì, tutti presi e tutti euforici, non ci pensiamo.
 
Un bambino chiede, esige, pretende. Si pianta proprio nel mezzo della nostra vita e ci costringe (silenzioso o a furia di strilli) a un'attenzione, a una presa in carico, a uno scombinamento di piani tale che ci scordiamo tutto, rimandiamo tutto, e le cose che ci piacevano ieri le faremo più in là. Un ribaltone. Cose terra terra, ma proprio lì dentro c'è il battesimo come lo intendo io.
 
Quel giorno, quel rito, quella mezzoretta, rappresenta, almeno per me, una parola solenne, una promessa
dichiarata, stavo per dire un giuramento. Proprio così: il pronunciamiento (alla maniera dei sudamericani),  una specie di golpe che… noi ci compatteremo attorno a te, che… per noi tu sarai davvero importante, e che… tutti tutti, quelli che ci vedi qui stamattina, ci daremo da fare per te. Ti pare poco?
 
Ecco perché lascio perdere le nostalgie e mi scordo il battesimo di una volta, tutto intimità, quasi una religione in scatola. Presto quel bambino si affaccerà su un mondo intricato, dovrà sbrigarsela in una rete complicata, sarà chiamato a rispondere a domande troppo più grandi di lui. Ti rendi conto allora che il clan famigliare e quel calore così necessario, così decisivo, così indispensabile nei primi anni, poco alla volta non sarà più sufficiente, non arriverà a tutto, non coprirà tutti i suoi bisogni? Una ragnatela fitta fitta che egli troverà (si spera) fuori di casa per avvolgerlo, rassicurarlo, guidarlo.
 
Un battesimo è quindi un rito pubblico, celebrato in una chiesa aperta in faccia al mondo perché nessuno possa dire un domani io che c'entro? e nessuno mai tradisca la parola data.
 
“Viscardo, sono la tua figlioccia, è un anno ormai che ci siamo persi, ho bisogno di te”. “Eccomi, corro,  amore mio”. La mail si è appena accesa sullo schermo e già prendo in mano le chiavi della macchina.
 
Ho appena iniziato a celebrare il battesimo (mio Dio, quanti ne ho celebrati in vita mia?) nel nome del Padre
del Figlio dello Spirito Santo… e San Rocco si è accesa. Questa piccola chiesa del centro di Roma sembra fatta apposta. San Rocco una delle tante chiese dei fiumaroli, nasce come cappella di ospedale e la sezione
femminile diventa quasi subito reparto di ostetricia. Fine 1.500: tutta Roma si mobilita a favore dei più sfortunati. Sono i giovani che si organizzano in Confraternite, si danno la voce, chiedono sostegno, e sulle rive del Tevere nascono gli ospedali dei poveri. La confraternita della riva piccola, Ripetta come la chiamano i romani, ha mandato in giro alle donne di Roma un messaggio straordinario e modernissimo: se partorite un bambino e non avete intenzione di tenervelo, non lasciatelo sugli scalini delle chiese e non andate neanche dall'altra parte del fiume a ficcarlo nella ruota di Santo Spirito. Venite da noi. Vi faremo partorire tranquille in un letto e nessuno potrà mai conoscere il vostro nome. Avrete tutta l'assistenza necessaria e, dopo il parto, al bambino, se volete, penseremo noi. Nasce l'ospedale delle velate, le madri che non potranno mai essere identificate. Addirittura, se il parto dovesse andar male sarà garantita perfino una sepoltura gratuita e segreta in un angolo di piazza del Popolo, a due passi. Pensa tu dove sto celebrando il battesimo.
 
Per dire…. Senza una comunità che si rimbocca le maniche non esiste battesimo. E solo a questo punto sono in grado di rispondere a quelle domande pressanti che mi facevi la volta scorsa. Perché battezzare un bambino? Perché, senza che lui se ne renda conto? Perché non aspettare il suo consenso? Perché addirittura iscriverlo nel registro di una chiesa? Perché?... Hai ragione, intanto quel registro lo toglierei di mezzo perché il battesimo di un bambino non è l'affiliazione a una confessione religiosa. Il concilio anche da questo peso ci avrebbe liberato: ma siamo così lenti ad applicarlo… dài, Papa Francesco, accelera.
 
Però, ancora una volta, qui dovrei fermarmi perché la questione si fa complicata e prima di continuare
dovremmo metterci d'accordo su termini e vocaboli. Cos'è una religione? Che significa? Che posto prende, o dovrebbe prendere, una religione, all'interno, certe volte nel cuore stesso, di una società moderna?
 
La religione, ieri, oggi, e forse domani, non risponde solo a un bisogno personale. Non è soltanto un angolo
della mia struttura mentale (semplifico, lo so), quella parte di cervello che pretende un sogno e uno sguardo al di la delle cose che si toccano e dei giorni che passano. Poesia, cinema, pensieri amorosi, musica, fantasie, e lo stesso sogno religioso (permettimi di chiamarlo così) sono pane necessario e io lo chiedo mattina e sera, se no… andrei ai pazzi. Ma c'è di più.
 
Io non sono solo, io non vivo da solo, io non me la posso vedere da solo. Mi giro e m'accorgo che tutto un
popolo, un parentame, un'etnia, un clan, si trova unito e sorretto da convinzioni, tradizioni, devozioni, credenze, che s'impastano con le cure e gli impegni della mia e della loro vita. La religione la penso come una spinta superiore che ci trascina, e tutti siamo affezionati e grati a quelle credenze e a quelle figure e a quelle usanze e a quei riti che ci ricordano, ci rafforzano, e spesso ci spingono, alle cose migliori. La religione è uno dei legami forti e stretti che compatta una tribù, una famiglia, addirittura una società. Una grande idea che circonda e vincola un gruppo umano, a volte così strettamente da diventare una difesa e certe volte purtroppo uno strumento di aggressione. Una forza inarrestabile che ha bisogno di istituzioni, di guide, di solchi, di argini: se no, come tutte le passioni, si fa pericolosa e distruttiva. Proprio come la politica e lo sport.
 
Un bambino nasce in quel bacino, in quel golfo e in quel letto caldo. Per ora la religione vissuta dai genitori
sarà per lui l'espressione di una cura, di una veglia e di un tetto che giura di non crollare mai. Immaginazioni,
racconti, simboli, modi di dire, tutto si mescolerà nella fantasia del mio bambino e tutto farà corpo con le
usanze e le attenzioni di casa. Dio, Gesù, la Madonnina, il Papa, Natale, Pasqua, i morti, saranno tutt'uno a come si mangia, come si sta a tavola, come si rispettano i nonni, come ci si lava e ci si veste. È un clima, un lessico, un certo tipo di odori e di sapori, che non dimenticherà più. Non dovremo meravigliarci se Gesù Bambino non sarà poi tanto distinto dai cartoni che lo appassionano in tv. Parlerà, gattonerà, correrà, e insieme ci sarà Biancaneve e l'albero di Natale, le grandi feste e Peter Pan, le preghiere brevi e i mostri di Walt Disney, la scoperta della chiesa e i suoi miti infantili: tutto diventerà uno spicchio di anima perché a lui arrivi rassicurazione, custodia, trasmissione di cose belle e di figure importanti. Se saremo accorti, se sapremo scegliere bene, se lui resterà il nostro pensiero, anche la religione gli assicurerà la buona salute della mente che gli sta maturando dentro.
 
Non è ancora sua la religione, non fa ancora parte delle sue decisioni, perché solo più tardi la corteccia
cerebrale gli permetterà i primi ragionamenti e solo più in là gli si affaccerà il senso critico: una progressione
inarrestabile:  sei, dieci, quindici, diciotto anni… E proprio le soglie della maturità potrebbero essere gli anni della sua cresima, quando esprimerà la sua adesione convinta, perché solo allora scoppierà la consapevolezza, la capacità di discussione e la scelta dei valori forti. Sarà così in grado di una professione di fede personale. Ecco perché è sbagliata la cresima a dieci o a tredici anni: ho speso i miei anni giovanili per questa causa, che per ora sembra persa.
 
Di cosa avete paura? Se un giorno quel ragazzo lascerà la religione domandatevi se per caso avete mancato a
interessarlo, se avete continuato con le devozioni e i catechismi ingenui e noiosi senza rispondere con
intelligenza ai suoi interrogativi e al suo dissenso. Forse sarà stata la nostra ignoranza, forse il nostro e il suo
disinteresse, chi lo sa, non certo il battesimo alla nascita: quello sì, fu un atto di amore. Spesso coloro che
rimandano il battesimo non faranno mai niente perché quel ragazzo conosca le religioni e ne apprezzi il valore.
                                                                                                                                

Anche stavolta, come vedi, mi sono fermato ai preliminari. Mi concedi un'altra stanza? Non ti ho ancora presentato le meraviglie e i simboli che il battesimo ci mette sotto gli occhi. Per oggi basta così.
 
                                                                                                    (Viscardo Lauro)
 
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Religione

DIO ESISTE: FRA MIRIADI DI PROVE E RICERCHE, UN'ANALOGIA STRAORDINARIAMENTE SEMPLICE E SIGNIFICATIVA

Pubblichiamo il modo originalissimo con il quale cui uno scrittore ungherese ha spiegato l’esistenza di Dio. Semplice ma tutt’altro che superficiale. Buona riflessione.
 

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Nella pancia di una mamma c’erano due bambini.

Uno chiese all’altro: ”Ci credi in una vita dopo il parto?”.

L’altro rispose: “E’ chiaro. Deve esserci qualcosa dopo il parto. Forse noi siamo qui per prepararci per quello che verrà più tardi”.

“Sciocchezze”, disse il primo. “Non c’è vita dopo il parto. Che tipo di vita sarebbe quella?”.

Il secondo rispose: “Io non lo so, ma ci sarà più luce di qui. Forse noi potremo camminare con le nostre gambe e mangiare con le nostre bocche. Forse avremo altri sensi che non possiamo capire ora”.

Il primo replicò: “Questo è un assurdo. Camminare è impossibile. E mangiare con la bocca? Ridicolo! Il cordone ombelicale ci fornisce nutrizione e tutto quello di cui abbiamo bisogno. Il cordone ombelicale è molto breve. La vita dopo il parto è fuori questione”.

Il secondo insistette: “Beh, io credo che ci sia qualcosa e forse sarà diverso da quello che è qui. Forse la gente non avrà più bisogno di questo tubo fisico”.

Il primo contestò: “Sciocchezze; e inoltre, se c’è davvero vita dopo il parto, allora perché nessuno è mai tornato da lì? Il parto è la fine della vita e nel post-parto non c’è nient’altro che oscurità, silenzio e oblio. Lui non ci porterà da nessuna parte”.

“Beh, io non so”, ha disse il secondo “ma sicuramente troveremo la mamma e lei si prenderà cura di noi”.

Il primo rispose: “Mamma… tu credi davvero alla mamma? Questo è ridicolo. Se la mamma c’è, allora dov’è ora?”.

Il secondo disse: “Lei è intorno a noi. Siamo circondati da lei. Noi siamo in lei. E’ per lei che viviamo. Senza di lei questo mondo non ci sarebbe e non potrebbe esistere”.

Disse il primo: “Beh, io non posso vederla, quindi è logico che lei non esiste”.

Al che il secondo rispose: “A volte, quando stai in silenzio, se ti concentri ad ascoltare veramente, si può notare la sua presenza e sentire la sua voce da lassù”.
 
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