Religione

"EFFATA'": LA STRADA E' APERTA

Il seguito del precedente articolo dello stesso autore, pubblicato il 3 marzo: o, meglio, la sua seconda parte.
 
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Una scia luminosa, e chiunque ci resta impigliato: è il battesimo di un bambino.
 
Nel battesimo di un bambino ci entri in punta di piedi, e non solo perché sei in chiesa. Ti fai avanti piano
piano e svicoli per la navata laterale perché già lo senti, già lo sai che oggi, qui, tutto sarà lieve e di mano
leggera.
 
Il battesimo forse più bello l'ho celebrato in un giardinetto di condominio e neanche mi ricordo come
strappammo il permesso. Tutto improvvisato, eppure che emozione, che commozione fra preghiere, canti,
chitarre e tamburelli: un rito un po' hippie come solo il battesimo di un bambino può diventare. Eppure, se lo
lasci scorrere liquido liquido, quel rito prenderà l'anima a tutti, anche a chi ci è venuto un po' così, anche in
una chiesa affollata e distratta. Durante il battesimo si snoda una scia talmente luminosa che chiunque ci
resta impigliato.
 
Il battesimo di un bambino è una cosa fragile, è un rito fatto con niente: gesti, parole, oggettini che lì per lì
fanno ridere: ma è quello il suo profondo, è quella la sua serietà e mai come adesso tornano le parole di Gesù: se non vi fate come bambini nel regno di Dio non ci entrerete mai. Difatti. Cose minute e cose minuscole ha preparato don Filippo: banchettino, tovaglietta, boccette, vasetti, batuffoli, brocca, bacile, asciugamani, candeline sigillate nel cellophane, vestina bianca. Tutto in miniatura, niente ingombro, non pompa magna: riti che durano un secondo, frasi brevissime, cenni, simboli, cifre, metafore.
 
Favolosamente misterico, il battesimo di un bambino mi si svela passo passo: l'importante è che io mi lasci trasportare senza pretendere e senza aspettarmi granché. Qualche dubbio? La grande teologia cristiana campeggia sullo sfondo e non la tradisco con la poesia, sta’ tranquillo. Se poi hai bisogno di un'immagine per ispirarti meglio, lascerei da parte le grandi tavole del battesimo di Gesù (Piero della Francesca, Verrocchio, Leonardo mi perdonino) e mi rivolgerei piuttosto ai ghirigori di Mirò, ai colori pastello di Klee, agli asini che volano di Chagall, o alle forme intrecciate di Vassily Kandisky. Ci stanno, ti assicuro, e mano nella loro mano entreremo nel tempio a misura di neonato.
 
Eppure l'inizio del rito, secondo me, è sconvolgente. Il nome, si comincia dal nome del bambino. E non per
iscriverlo, come all'anagrafe, no: adesso è per pronunciarlo, per proclamarlo, per gridarlo ai quattro venti. Quasi tutti lo conoscono, quel nome, sono giorni e mesi che gira fra i parenti: ma… che gli fa. Ora è un atto solenne, ora è una svolta, ora è una ribalta e tutti vogliamo sentirlo forte quel nome, perché è importante, perché è necessario, perché é insostituibile: e pare che qui tutto cominci da capo. Come si chiama il vostro bambino, ditelo a voce alta, fatelo risuonare, il suo nome, fatelo correre con l'eco di tutta la navata. Matteoooo… Agneseeeee… Andreaaaa… Elenaaaa….
 
Il tuo nome: comincia così il tuo battesimo, piccolo mio. Che mossa straordinaria, questo preludio, che tocco: in una società di numeri, di posti in fila, di codici a barre, di password, di nickname. Il tuo nome. E così dovremo chiamarti e così apprezzarti e così conoscerti e mai far finta di niente e guai a metterti nel mucchio: ficcarci bene in testa chi sei tu, che cosa sei tu, e no, scusa, m'ero sbagliato, t'avevo scambiato per un altro. E proprio qui, proprio adesso, giureremo di distinguerti, di guardarti negli occhi e mai girarti la faccia. Quel nome tua madre, tuo padre (domani la tua innamorata, chi lo sa) se lo stanno già incidendo come un sigillo sul cuore, quasi un tatuaggio che non si leva con niente. Così scrive il Cantico dei Cantici e così lo stiamo ripetendo noi, con le lacrime agli occhi. Il tuo nome scritto nella mano di Dio e abbandonino, bambino mio, non ci diventerai mai, e buttato lì da una parte coi videogiochi dalla mattina alla sera non ti ci lasceremo mai. Ora che ci sentono tutti, è il primo giuramento che ti facciamo.
 
Poi, rito rito, arriviamo all'effatà. E cos'è l'effatà? Effatà è un verbo aramaico all'imperativo: apriti, fatti largo, esci fuori. Insomma, vorremmo aprire la tua bocca e per assurdo pretendere che tu cominciassi a parlare adesso, qui, come nelle favole. Ci viene addosso il vangelo ed eccolo Gesù che si avvicina ai muti, eccolo che si fa largo tra i senza parola, eccolo accostarsi ai colpiti da ictus con la bocca storta e lui che gli spalma chissà che fango e chissà che intruglio e gli grida effatà, apriti, e quelli che cominciano ad articolare la mascella,  a incespicare, a sputare fra lingua e denti,  e poi una smorfia e piano piano una mezza parola e alla fine un mugugno di frase. Che miracolo la parola, che meraviglia poter parlare. Tu, amore mio, parlerai fra un anno-un anno e mezzo, man mano che matureranno le zone del tuo cervello: ma aspettando aspettando a noi ci prenderà l'ansia e proprio da quell'ansia oggi vorremmo partire mentre ti tocchiamo lievemente le labbra. Parla.
 
Parla, parla: questa è la nostra benedizione e la parola fiorirà nella tua bocca. Guarderai la gente negli occhi e
non ti chiuderai mai, non ti nasconderai, e mai ti metterai all'ultimo banco. Sarà il tuo vanto parlare e ridere e
gridare e farti sentire e dire la tua. E nessuno ti metterà sotto, e nessuno ti ridurrà al silenzio, e nessuno mai ti
chiuderà la bocca. E tu, soprattutto, tu di tua scelta, tu di testa tua, mai resterai in silenzio e mai farai scena
muta di fronte a nessuno dopo un sopruso, una vigliaccata o un tradimento. Ti ribellerai, alzerai la voce,  gliene dirai quattro. Coraggiosamente, sempre, con chiunque voglia fare il padreterno con te. Già ti vedo che ti esponi, ti fai avanti, ti presenti: senza paura di urlare in faccia a quei padroni, a quei dittatori a quei vigliacchi.
 
Effatà, amore mio: questo rito e questo sogno e questo augurio diventeranno realtà: sarà fatto, sarà compiuto,
sarà una grazia. Effatà, che verbo. Mentre lo pronuncio mi vengono i brividi. E siamo al cuore del battesimo, l'acqua. La faccio scorrere sulla tua testa nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e la mia mano chissà che sia la fontanella giusta per te.
 
L'acqua è la vita: sei stato immerso nell'acqua di tua madre per nove mesi e oggi la vai cercando fra di noi,
l'acqua: che azzardo, e va bè: provaci. Prendila e immergiti quanto vuoi nell'acqua che ti offriamo: chissà che
non tu non guarisca dai graffi che t'hanno lasciato le generazioni precedenti e che tu sia migliore dei tuoi
antenati. Migliore? Te lo auguro, ma lo sarai soltanto se conserverai una sete quotidiana, se non ti contenterai
di bere a un'unica fontana, se cercherai di bere da tutte le parti. Un assetato perenne, ecco come ti sogno. Mai sazio, mai soddisfatto, sempre alla ricerca di un'oasi successiva. È un pozzo senza fondo, l'acqua del battesimo.
 
Ma ancora non basta. Al centro della chiesa don Filippo ha piantato il grande cero acceso nella notte di
Pasqua. Una specie di faro che domina la comunità e la veglia notte e giorno. Viscardo, per favore, resta qui
anche questa notte; ma certo, dove vado, ancora la sento la voce di mio padre in ospedale. Ti accorgerai presto che vuol dire restare al buio, e che disperazione non trovare chi ti faccia luce sul pasticcio in cui ti sei
cacciato. Si farà giorno quando finalmente troverai qualcuno che ti libera da quella dipendenza, uno che ti
costringe a riflettere, uno che ti strilla “ripensaci” e poi ti strattona, dai, vieni via verso l'uscita di sicurezza.
Eccola la candelina che il tuo padrino di battesimo va ad accendere dal cero: sembra un faretto sul casco da
minatore per uscire dal tunnel.
 
Una conquista: vorremmo che la tua vita avesse sempre un traguardo più in là, che fosse una candidatura
perenne all'oscar, che diventasse una continua presa di responsabilità. La madrina ti infila la veste candida: la
tunica bianca che i pretendenti a una carica politica indossavano alla vigilia. I candidati: perché fosse chiaro
a tutti che erano senza macchia, che non avevano addosso ombra di sospetti e non si portavano dietro tracce
di precedenti. Candidato alla vita. Te ne accorgerai, piccolo mio, che fiatone e che faticaccia è la vita, ma vale la pena correrla. Mai imboscarti, mai arrenderti e mai tirare indietro la gamba: ti vogliamo a testa alta e con un cuore grande così. Conta su Dio e sulle tue forze, ma non ti avvilire subito e non ti squalificare da solo e, per favore, metti ogni giorno l'asticella un centimetro più in alto.
 
Siamo alle benedizioni finali. Ora il tuo battesimo è completo e non ci resta che festeggiare. La strada è
aperta: che sia lunga e felice.
Ciao, fatti grande.
 
                                                                                                          (Viscardo Lauro)
 
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MM


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