Ventisei anni di “diaspora” politica dei cattolici. Tante volte è sembrato che si riuscisse a porle termine, e altrettante essa si è reimpadronita del grande movimento che cerca di ritessere le fila, aggiornate al ventunesimo secolo, di quella che fu la Democrazia Cristiana nei primi quarant’anni della repubblica italiana e soprattutto con De Gasperi e i personaggi che meglio ne accompagnarono il cammino: da Mattei a Dossetti a Moro a Fanfani etc.. Potrebbe finalmente accadere che l’impresa riesca, in questi mesi: ma… è prudente essere prudenti. Occorre comunque, al nostro paese, un grande partito che sappia riportare nella politica italiana la credibilità e grandezza di una concezione alta, solidale, coerente di sviluppo per tutti gli italiani. Il 3 e 4 ottobre si è riunita a Roma una notevole assemblea nazionale di esperienze e gruppi decisa a fondersi in un rinnovato partito di ispirazione cristiana, dal nome “Insieme”. Abbiamo svolto il nostro intervento, in tale sede, per sottolineare quella che ci è sempre sembrata la premessa necessaria per puntare con coerenza a un obiettivo così alto. E lo pubblichiamo qui di seguito.
lungo il cammino politico di questi ultimi mesi ho assistito a un moltiplicarsi inatteso, e spesso trafelato e polemico, di scambi telefonici e di riflessioni scritte, di incontri incrociati interni ai gruppi e fra i gruppi di ispirazione cristiana che si interessano alla politica: moltiplicarsi che mi induce ad alcune osservazioni personali anche critiche, condivise peraltro con non pochi amici, su determinati punti del cammino stesso e del costituendo nuovo soggetto politico: ve le sintetizzo di seguito quale contributo al perfezionarsi progressivo dell’impegno verso il traguardo auspicato, possibile ma nello stesso tempo complesso.
Cari amici,
queste riflessioni, e altre che molti di voi conoscono da tempo, mi fanno pensare che, tutto considerato, noi ci troviamo oggi a rivivere la medesima esperienza sostanziale ripetutasi sempre e senza eccezioni in questi ventisei anni di diaspora democratico-cristiana: un’alta unità teorica succube di un basso profilo di disponibilità all’autodisciplina operativa nella trasparenza.
Una analisi sociologica (se si vuole anche di sociologia religiosa oltre che politica e culturale) mi pare vada affrontata. Ho insomma la impressione che le condizioni storiche di diaspora non siano effettivamente ancora superate come realtà culturale e psicologica e che l’auspicato nuovo soggetto politico non sia ancora del tutto maturo: salvo arrischiare di costituirlo formalmente, ma di vederlo anche rapidamente naufragare come i tanti soggettini a dichiarata ispirazione cristiana che hanno immalinconito la vita politica del nostro paese in questi ventisei anni.
Cosa fare, allora? Non certo fermarci, non certo arrenderci, e… neanche rinviare.
Propongo di considerare anche l’assemblea oggi in svolgimento come un momento di accresciuta presa di coscienza, non meramente speculativa ma volta senz’altro a partire rapidamente per la realizzazione del partito, cominciando però dalla realizzazione concreta dei suoi due punti preliminari, quelli che ho accennato sopra: operativamente propongo perciò di costituire il coordinamento stabile, paritario, a incontri rigorosamente almeno quindicinali ma possibilmente anche settimanali, direttamente fra i massimi responsabili dei gruppi oggi presenti e disponibili, affiancato magari da una segreteria di sintesi operativa, per far decollare immediatamente a livello unitario sia l’azione formativa per costruire coscienza civile e politica condivisa nei mondi di riferimento, sia la comunicazione interna ed esterna. Con assunzione diretta e personale di responsabilità da parte dei suddetti due organismi. Una piccola, implicita modalità federativa pro tempore, insomma, in funzione direttamente preparatoria e fertilizzatrice del terreno culturale e psicologico per la costituzione del partito, cui potrebbe essere ragionevole giungere in avvio del nuovo anno o poco dopo.
(Giuseppe Ecca)
(con gli amici di DemocraziaComunitaria)
Roma, 4 ottobre 2020.
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Cari amici,lungo il cammino politico di questi ultimi mesi ho assistito a un moltiplicarsi inatteso, e spesso trafelato e polemico, di scambi telefonici e di riflessioni scritte, di incontri incrociati interni ai gruppi e fra i gruppi di ispirazione cristiana che si interessano alla politica: moltiplicarsi che mi induce ad alcune osservazioni personali anche critiche, condivise peraltro con non pochi amici, su determinati punti del cammino stesso e del costituendo nuovo soggetto politico: ve le sintetizzo di seguito quale contributo al perfezionarsi progressivo dell’impegno verso il traguardo auspicato, possibile ma nello stesso tempo complesso.
- Il clima referendario e i suoi segnali. Il referendum sul taglio del numero dei parlamentari mi ha visto schierato per il sì, come sapete, conformemente a una posizione che sostengo da tantissimi anni. La maggioranza dei miei amici ha sostenuto invece il no, per ragioni che ritengo altrettanto legittime delle mie. Con tali amici nulla è mai cambiato nel rispetto e nella stima reciproca: e si è continuato a dialogare e costruire positivamente insieme. Quello che mi ha invece lasciato molto sorpreso (parlo in generale del grande coacervo di persone e gruppi del mondo di ispirazione cristiana impegnato in politica) è stato la tonalità diffusamente astiosa e intollerante, non raramente offensiva e bellicosamente contrappositiva, a volte inattesamente carica anche di pretese dogmatiche dal dubitabile impianto logico, per le quali a quesiti istituzionali si sono contrapposte valutazioni di opportunità politica anche tattica, a osservazioni giuridiche hanno fatto riscontro assiomi ideologici, in un affastellamento culturale che mi ha fatto pensare a una diffusa disabitudine dall’antico costume della discussione attenta e distesa fra tesi a confronto, e anche dalle esigenze permanenti di rigore logico e sistemico tipiche della tradizione democratico-cristiana e popolare. Avrei addirittura preferito che vincesse il no ma su un livello superiore di civiltà del dibattito. Ideale da vecchio seminarista? Non saprei: ma ho percepito, anche nel nostro mondo cattolico, un diffuso livello di pensiero strategico piuttosto misero, e di metodo del confronto ben poco rispettoso. Bassa cultura politica, a me sembra: del medesimo livello offerto oggi da quei partiti dei quali vogliamo essere una decisa alternativa di superiore qualità.
- La divisione immascherabile del mondo cattolico. In secondo luogo, i segnali diretti e indiretti, numerosi e forti, di una divisione addirittura crescente fra i gruppi di ispirazione cristiana interessati alla politica, a mano a mano che si sono venute intensificando le notizie della prossima costituzione di nuove soggettualità politiche, non parlano di semplici distinzioni e di confronto ma di divisione e pressochè di frantumazione confermata, di riserve mentali reciproche e di riferimenti strategici anche distanti. Unito nella teoria, negli auspici e in una certa eccessiva professoralità dottrinale, il mondo cattolico appare del tutto diviso nella pratica e nella disponibilità a una ipotesi di reale autodisciplina organizzativa. Dal mondo cattolico, compresa la struttura ecclesiale, non pare facile dunque, allo stato attuale, sperare un atteggiamento autorevole e unificante.
- Dalle persone ai personaggi? L’immagine tendenzialmente emersa anche nella percezione della stampa e degli osservatori esterni di questo cammino, in questo periodo, è parsa inoltre accentuare un trasferirsi progressivo della dinamica di confronto dalle persone ai personaggi, cioè ai protagonismi particolaristici e individuali dei gruppi, evidenziando via via più preoccupazioni di territori e ruoli da occupare che verifica di valori da condividere. Ora, per la nostra impresa occorrono persone, più che personaggi. Occorrono persone dotate di personalità, più che personaggi dotati di visibilità. Questa è la mia idea netta.
- L’inversione del retroterra prioritario per la costituzione del partito: comunicazione e formazione. Continua a sembrarmi un errore l’anteporre la costituzione del partito, e le relative aspettative elettorali, alle due condizioni senza le quali, secondo me, la edificazione del partito stesso o non è possibile o resta fragile. Tali due condizioni preliminari sono: a. uno strumento univoco, condiviso e unitario, per la comunicazione; b. uno strumento univoco, condiviso e unitario, per l’avvio immediato della formazione profonda e diffusa delle coscienze (ben più che delle competenze, le quali sono già frequentemente sovrabbondanti fra noi). Ha prevalso finora l’idea che i due strumenti citati debbano derivare dal partito una volta che sia costituito, piuttosto che concorrere decisivamente a costituirlo. Temo che si tratti di un convincimento dagli effetti negativi sulla qualità del cammino verso il costituendo partito.
- Partito di persone e non di gruppi o associazioni. Nel mio modo di vedere, il futuro partito di ispirazione cristiana non può essere che un partito di persone, mai di gruppi (altra, “altrissima” – scusate l’abuso linguistico - cosa è la dinamica delle future correnti interne di pensiero e di opinione, che possono essere ricchezza). Il lavorare con la mentalità di gruppi già costituiti porta a negoziare spazi e ruoli più che valori e programmi, e tende a generare, invece che il partito di persone (anche questo è personalismo), un partito di personaggi, come accennato: i quali personaggi possono essere anche figure di grande dignità individuale all’interno dei rispettivi gruppi, ma sono inevitabilmente poveri di reale consistenza agli occhi della pubblica opinione del paese, compreso il futuro elettorato potenziale specifico di questo partito, anche quando abbiano in passato rivestito ruoli di rilievo. Non rendersi conto di questo vuol dire vivere in un mondo che non c’è. Abbiamo bisogno di uniformarci su un’alta cultura, non di evidenziarci su alte individualità.
- La cultura e la prassi delle regole. Un partito che voglia rappresentare una novità forte e ricca di speranza per l’Italia ritengo non possa che essere una comunità associativa che si fonda su regole statutarie di funzionamento a un tempo semplicissime e rigorosissime: direi fanciullescamente semplici e rigorose. E’ quello che spesso mi sono permesso di chiamare “modello monasteriale”, fuori del quale il “partito nuovo” non direbbe praticamente nulla a nessuno nel paese. Il disincanto dei cittadini nei confronti della politica e dei partiti attuali non avrebbe motivo di non verificarsi anche per il nuovo partito, se ai cittadini non offriamo questa “differenza competitiva”. Senza soffermarci su quella che ritengo la inadeguatezza culturale del continuare a ragionar per categorie, come ad esempio si fa quando si prevede una composizione degli organi calibrata fra generi e fra generazioni: offensivo per le donne e offensivo per i giovani, a mio modo di vedere, il vedersi garantire la valorizzazione della loro presenza e del loro ruolo per via di previsione statutaria. Al centro è la persona, non la categoria: e, ancora una volta, anche questo è personalismo. Ritengo che sia grave errore anche un sistema elettorale interno concepito per liste e non per persone. Io sono anche in questo caso rigorosamente per la persona: la lista può esserci, può essere utile, ma serve semplicemente a identificare e garantire meglio la visione, la proposta e la responsabilità del candidato-persona.
- Il partito “soggetto sociale” prima che soggetto politico. Un partito di grande prospettiva nazionale e internazionale, e popolare, deve essere in realtà, innanzitutto e paradossalmente, un forte soggetto sociale prima che un forte soggetto politico. Deve essere cioè un soggetto che fa del suo vivere quotidiano in mezzo alla gente, con trasparenza di modalità associativa democratica, la base per la sua azione anche elettorale e istituzionale. Non viceversa. Il partito deve essere un soggetto sociale proprio per poter essere un soggetto politico nel senso forte e direi sturziano del termine. Non un partito che “parla alla gente” ma un partito che “vive in mezzo alla gente” anche come soggetto diretto di servizio oltre che di rappresentanza politica.
- La patologica insistenza sulla questione del “posizionamento”. Questione che mi pare denunciare implicitamente un impoverimento micidiale del livello di pensiero strategico del dibattito. Ho già in passato avuto modo di rilevare che più alto è il livello qualitativo del partito, meno ha senso porsi il quesito dello schieramento; più basso è tale livello, più è importante tale problema. L’accennato recentissimo episodio dello scambio di messaggi fra amici noti, autorevoli e stimati dei nostri gruppi, non ne è che un ennesimo esempio, piuttosto scoraggiante nonostante l’indubbia sincerità e consistenza di impegno degli interessati.
Cari amici,
queste riflessioni, e altre che molti di voi conoscono da tempo, mi fanno pensare che, tutto considerato, noi ci troviamo oggi a rivivere la medesima esperienza sostanziale ripetutasi sempre e senza eccezioni in questi ventisei anni di diaspora democratico-cristiana: un’alta unità teorica succube di un basso profilo di disponibilità all’autodisciplina operativa nella trasparenza.
Una analisi sociologica (se si vuole anche di sociologia religiosa oltre che politica e culturale) mi pare vada affrontata. Ho insomma la impressione che le condizioni storiche di diaspora non siano effettivamente ancora superate come realtà culturale e psicologica e che l’auspicato nuovo soggetto politico non sia ancora del tutto maturo: salvo arrischiare di costituirlo formalmente, ma di vederlo anche rapidamente naufragare come i tanti soggettini a dichiarata ispirazione cristiana che hanno immalinconito la vita politica del nostro paese in questi ventisei anni.
Cosa fare, allora? Non certo fermarci, non certo arrenderci, e… neanche rinviare.
Propongo di considerare anche l’assemblea oggi in svolgimento come un momento di accresciuta presa di coscienza, non meramente speculativa ma volta senz’altro a partire rapidamente per la realizzazione del partito, cominciando però dalla realizzazione concreta dei suoi due punti preliminari, quelli che ho accennato sopra: operativamente propongo perciò di costituire il coordinamento stabile, paritario, a incontri rigorosamente almeno quindicinali ma possibilmente anche settimanali, direttamente fra i massimi responsabili dei gruppi oggi presenti e disponibili, affiancato magari da una segreteria di sintesi operativa, per far decollare immediatamente a livello unitario sia l’azione formativa per costruire coscienza civile e politica condivisa nei mondi di riferimento, sia la comunicazione interna ed esterna. Con assunzione diretta e personale di responsabilità da parte dei suddetti due organismi. Una piccola, implicita modalità federativa pro tempore, insomma, in funzione direttamente preparatoria e fertilizzatrice del terreno culturale e psicologico per la costituzione del partito, cui potrebbe essere ragionevole giungere in avvio del nuovo anno o poco dopo.
(Giuseppe Ecca)
(con gli amici di DemocraziaComunitaria)
Roma, 4 ottobre 2020.
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