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Cultura

IL NOSTRO TESORO INESAURIBILE MA IN PARTE SPRECATO

Mario Guadalupi riprende  un pensiero antico, la cui consapevolezza si è indebolita negli ultimi decenni della vita politica e della consapevolezza civile italiana, ma che va attivamente riscoperto se vogliamo dare al nostro paese una prospettiva davvero solida e stabile di nuovo sviluppo e di rinnovato ruolo mondiale, soprattutto di fronte alla emergenza pesante che ci verrà lasciata dal dopo-coronavirus. Riflette Guadalupi:
 
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Quando si parla di Arte e Cultura Italiana vale la pena di partire dall’ottima sintesi fatta da Benigni, che qui di seguito viene riportata:
 
La parola eccellenza l'abbiamo inventata noi italiani. Siamo sempre stati l'eccel­lenza nel mondo, abbiamo inventato la cambiale, la finanza, le banche. All'epoca di Dante, senza una lingua e senza uno stato, abbiamo inventato la cassa, il credito e il debito che adesso lo abbiamo noi: prestavamo soldi a re e papi, Edoardo I d'Inghilterra deve ancora restituirceli adesso. Dovremmo andarli a chiedere indietro. Ab­biamo inventato la prospettiva, lo sfumato, l'opera di San Benedetto che ha rifatto l'Europa e infatti ne è il patrono. Ha anche aggiunto il «labora» all'«ora» e così ha fatto lavorare tutti i monaci. Vedi che bella lista. Poi abbiamo alfabetizzato la musica, dato i no­mi alle note e ai tempi come forte, fortissimo e con brio, inventato il pianoforte, il violino e la viola. Se si suona nel mondo, è perché ci siamo noi italiani. Che bellissima lista, che gran gusto a dirla: e ancora strade, acquedotti e fogne, terme, igiene e pulizia, abbiamo insegnato al mondo a darsi la mano nel 1200 a Firenze. Le due corsie, il senso unico a Roma con Bonifacio VIII. Abbiamo inventato il bacio moderno, quello con la lingua, con Caterina de' Medici che poi lo insegnò a Enrico II e infatti si chiama «alla francese». Fu uno scandalo enorme, a quei tempi. È una lista bellissima quella delle no­stre eccellenze. Il tovagliolo e le posate; il sonetto, senza il quale non sarebbe esistito neppure William Shakespeare; la lirica, l'affresco, il primo artista moderno, Giotto; il primo intellettuale, Giovanni Boccaccio, che veniva pagato per scrivere; il primo architetto, Filippo Brunelleschi; il diritto, il Barocco, il Manierismo; la scienza politica con Niccolò Machiavelli. Un elenco bellissimo, che non finisce più. Abbiamo inventato l'Europa con Pio II, mentre a Lepanto gli italiani sotto le insegne di Venezia morirono per fare l'Eu­ropa; un italiano ha scoperto l'America e qualche anno dopo un altro italiano le ha dato il suo nome. Che lezione dal passato. Rinascimento, Risorgimento: questo è il Paese della resurrezione e del miracolo permanente. La nostra capacità di superare le crisi è stata presa a modello da tutti gli altri. Che lezione per il futuro. Oggi Renzo Piano è Brunelleschi, Claudio Abbado è il più grande direttore d'orchestra del mondo, Federico Fellini è stato il più grande regista. Che bell'elenco, non finisce più; che piacere dirveli tutti. La Ferrari è il simbo­lo dell'automobile che è la più bella che incontri sulle strade; la dieta mediterranea l'abbiamo inventata noi; Ennio Morricone che è classico e pop, che sta tra Giacomo Puccini e Jimi Hendrix; Umberto Eco è il più grande intellettuale vivente al mondo; Giorgio Armani è il Michelangelo della moda. E poi siamo generosi, noi italiani, che bell'elenco che ho fatto, quanti doni abbiamo dato noi italiani all'umanità. Ma, … e se continuo occupo tutto lo spazio. Roberto Benigni (testo raccolto da Carlo Piano).
 
Come fare allora per mantenere questo straordinario livello culturale che ci rende assolutamente primi nel mondo dell’arte, della cultura e dell’innovazione? Quale deve essere il progetto di una forza politica per sostenerlo? Questi sono strumenti strategici e non tattici e trascurarli porta a sicura sconfitta. Bisogna, oggi riappropriarsene. Capire che oltre alla tattica va inserito nel progetto politico la strategia e la strategia è il progetto culturale sotteso al percorso politico significa fare il grande balzo verso il futuro.
 
Di seguito vengono proposte tre ipotesi su cui lavorare: MECENATISMO – COMUNICAZIONE - FORMAZIONE
 
  1. IL MECENATISMO per l’imprenditore di cultura. L’intuizione strategica dell’importanza di sostenere arte e cultura risale, probabilmente, a Gaio Cilnio Mecenate, importante consigliere di Ottaviano Augusto, il quale instaurò un circolo di intellettuali e poeti che sostenne nella loro produzione culturale e artistica. Da Gaio Cilnio si origina l’uso della parola Mecenate. E’ stato il mecenatismo che ci ha reso i più grandi artefici di arte e cultura di tutti i tempi. Nel rinascimento il mecenatismo diviene un importante strumento di successo adottato da principi imprenditori del territorio, si sviluppa e si moltiplica con i mercanti, che non lo fanno per motivi specificatamente etici. Lo fanno per amore della bellezza, del prestigio, della reputazione, della credibilità nei confronti della concorrenza. Gli artisti, senza mecenati e senza impresa culturale, non sopravvivono. Deve essere capito che la cultura, l’arte e la conoscenza, affondano le loro radici nella storia e nella tradizione, e finiscono sempre per dimostrare che senza cultura non vi è economia. L’ignoranza ed il disinteresse generano solo povertà ed annichilimento per tutti. La grandezza dell’Italia ed anche il suo successo attuale sui mercati mondiali si origina proprio dalla sua capacità di fare arte e cultura. Non c’è cultura senza un potere economico illuminato. Oggi, tutto ciò non può essere sottovalutato, soprattutto in un contesto globale di sfida dei mercati mondiali (Cina, India, etc.). L’obiettivo è, dunque, consentire che oggi si possa condividere e consolidare il passato per dare forza e credibilità al futuro.  Investire in cultura ed arte, ma investire insieme. Il perno centrale e determinante attorno al quale ruota tutta l’attività economica è la cultura, alla quale si offre poco spazio di interazione con la realtà economica dell’impresa anche nel contesto della cosiddetta Responsabilità Sociale dell’Impresa. La cultura, l’arte e la conoscenza, affondano le loro radici nella storia e nella tradizione, e si finisce sempre per dimostrare che senza cultura non vi è economia, e l’ignoranza ed il disinteresse generano povertà e annichilimento per tutti. E’ necessario mettere l’accento e rendere palese che chi produce ricchezza e conoscenza deve partecipare alla creazione di valore culturale anche in considerazione del fatto che la globalità degli sforzi restituirà vantaggi a tutti singolarmente e moltiplicherà, nel tempo, la ricchezza del territorio (come i mecenati del passato hanno creato ricchezza per noi, oggi). Riaggregare l’imprenditoria italiana attorno ad un progetto culturale significa essere una forza politica lungimirante che fa del futuro il suo obbiettivo finale.
 
  1. L’INFORMAZIONE e la comunicazione. Non si può fare comunicazione politica senza inserire in qualsiasi documento anche sinteticamente annotazioni culturali. Non abbiamo, attualmente, alcun partito in Italia che parli o difenda gli interessi culturali dell’Italia nel suo territorio e soprattutto nel mondo. Nessun partito che riconosca il nostro immenso pozzo petrolifero: la cultura, riconosciuta invece da tutti nel mondo. Noi non sappiamo utilizzarla, venderla, difenderla. Importiamo materia grezza e sporca come il petrolio e non sappiamo esportare e difendere l’immensa nostra ricchezza; il nostro petrolio che non va nei motori ma direttamente negli occhi, nelle orecchie, nella bocca ed infine nel cervello di 7 miliardi di persone. Quale pazzia è questa? Bisogna chiamare a raccolta gli imprenditori e spiegare loro che la cultura fa ed ha fatto da sempre ricchezza molto più di qualsiasi altra risorsa anche perché è un prodotto umano e non un’estrazione di materiale terrestre. Inoltre, volendo, è una fonte inesauribile. Trascurare in qualsiasi discorso politico la cultura significa banalizzare qualsiasi progetto, significa portarsi allo stesso livello degli altri, significa parlare come al solito del Pil e basta, mentre “… il Pil non tiene conto della salute dei nostri ragazzi, la qualità della loro educazione e l'allegria dei loro giochi. Non include la bellezza delle nostre poesie e la solidità dei nostri matrimoni, l'acume dei nostri dibattiti politici o l'integrità dei nostri funzionari pubblici. Non misura né il nostro ingegno né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione per la nostra nazione. Misura tutto, in poche parole, eccetto quello che rende la vita degna di essere vissuta. Ci dice tutto sull'America, eccetto il motivo per cui siamo orgogliosi di essere americani. » (Robert Kennedy - Dal discorso tenuto il 18 marzo 1968 alla Kansas University). Come si direbbe in musica, bisogna cambiare registro. Offrire suoni nuovi, voci nuove, visioni nuove sia per gli anziani sia per i giovani.
 
  1. L’EDUCAZIONE e la formazione a tutti i livelli, non solo scolastici. Bisogna riformare i quarantenni, quelli ai quali la scuola ha proposto solo informazione e conoscenza senza dare educazione e cultura. Purtroppo si confonde molto spesso addestramento con formazione. La scuola oggi addestra ma non forma né educa. Se vi chiedessero qual è il miglior investimento in senso assoluto, cosa rispondereste? Vi è una sola risposta possibile: Formazione Comunicazione Informazione Educazione. Il miglior investimento è sempre mettere i soldi “nel cervello” delle persone, nello sviluppo dell’intelligenza, della capacità di essere creativi, competenti, capaci di adattamento al mondo moderno. La formazione-comunicazione ha un'importanza talmente rilevante che molte università hanno facoltà dedicate proprio alla Scienza della Formazione, dove si studia la materia in ogni suo aspetto. La formazione si riferisce, infatti, a ogni contenuto di sapere, sia esso di area tecnico-scientifica, di area umanistica e di area di ricerca. Alla formazione (crescita culturale) della persona devono partecipare tutte quelle forze politiche che vogliono rendere l'uomo diverso da tutte le altre creature della terra. La formazione-comunicazione, nel suo complesso, è indispensabile per preparare una persona allo svolgimento di un'attività; ma innanzitutto prepararla alla comprensione dei tempi e delle situazioni, o molto più semplicemente a vivere coerentemente con quello che fa e con quello che è, ed a contribuire al successo della società in cui vive.
 
Concretamente:
  1. Ogni documento politico deve riportare alcuni elementi di progetto culturale.
  2. Ogni sito deve aprire un’area dedicata al progetto culturale con un blog rivolto a imprenditori, studenti, professori, appassionati, neofiti.
  3. Creazione di un forum e di un comitato dedicato alla cultura e all’arte.
  4. Una manifestazione eclatante rivolta ai giovani e agli imprenditori per il ritorno alla cultura.
  5. Uno strumento periodico cartaceo dedicato alla cultura: un trimestrale politico incentrato sul progetto culturale.
 
In conclusione, non parlare ma agire con fatti concreti attraverso la partecipazione ed il coinvolgimento, senza paura e senza incertezze ma con una grande speranza perché “Senza la speranza è impossibile trovare l'insperato.” Eraclito (535 a.C. – 475 a.C). «Fare, o non fare. Non c'è provare» (Yoda a Luke Skywalker). Dunque bisogna iniziare da capo insegnando a noi stessi ed ai giovani che “C'è un'unica verità elementare la cui ignoranza frena innumerevoli idee e splendidi piani. Nel momento in cui uno si impegna a fondo anche la Provvidenza si muove. Infinite cose accadono per aiutarlo. Cose che altrimenti non sarebbero mai avvenute. Qualunque cosa tu pensi di fare o sogni di poter fare, cominciala. L'audacia ha in sé genio, potere e magia. Comincia da subito!” (Johann Wolfgang von Goethe). Le risorse di un territorio non sono le “cose” che possiede, ma gli uomini che lo abitano, che vi hanno vissuto, che vi sono nati; loro, solo loro, sono la ricchezza ed il successo del territorio. Solo loro potranno costruire il benessere ed un futuro per se stessi e per i propri figli ricordando che "Il futuro appartiene a quelli che credono nella bellezza dei loro sogni“ (Eleanor Roosevelt).
 
                                                                                                          (Mario Guadalupi)
 
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Cultura

IL MIO LIBRO, IL MIO REGNO

Ci sono libri e libri, naturalmente. Ci sono anche libri che meritano solo il cestino. Fatti per propaganda, o per fare soldi, o per altre povere ragioni. Ma i libri veri… quelli nei quali l’anima parla, il pensiero ricerca, la parola si approfondisce… Il mio libro è quello, il mio regno è quello.
 
 
Me lo trovo fra le mani. Lo tasto, lo strofino, e certe volte distrattamente lo maltratto o lo macchio col caffè.
 
Il mio libro.
 
Di questi tempi non ne posso a fare a meno, specie la sera, prima di prendere sonno. Le livre de chevet lo chiamano i francesi, il libro del cuscino, lì, sul comodino, fra mille cianfrusaglie utili per la sera e la notte, la tisana, gli occhiali, le pillole per la pressione; lui, il mio libro, è anche il mio amico e fra poco mi accompagnerà a prendere sonno.
 
Il libro di stasera non è la Bibbia e non è un libro religioso: è solo un libro di letteratura, magari di poesia o di racconti. Ma è sacro lo stesso; ogni libro ha la sua sacralità e coltiva la pretesa di essere il preferito.
 
Cos'è un libro, cos'è una scrittura?
 
Stasera mi viene in mente un'altra mia dimenticanza. Non ho mai ringraziato Iddio e la vita del grande regalo di leggere e di scrivere (e di poter andare a teatro o al cinema). Ma non è mai tardi.
 
Torno alla sinagoga di Nazareth e quasi mi ci trovo bene. Non perché quella gente mi stia simpatica; ci torno solo per contemplare Lui. Guardalo, sta leggendo. L'unica volta nel vangelo: Gesù chiede di leggere, gli piace leggere, è importante leggere, è meraviglioso leggere.
 
Dici scrittura e pensi a un'idea che non va persa. La parola, invece, appena fuori dai denti si alza e si sperde. La scrittura fu il passo decisivo verso la civiltà: i caratteri, gli ideogrammi, gli alfabeti, le grafiche, le tecniche, ne segneranno la strada.
 
Le mie idee: appena scritte posso vederle vivere e muoversi e torcersi come fossero i personaggi di una mia commedia. Le mie fantasie: non solo prendono il tono dalla mia voce ma ora addirittura le tasto e le afferro. E mi commuovo due volte.
 
La scrittura: due segni, due ghirigori, un geroglifico, e la pagina si anima e suona.
 
Che miracolo, la scrittura. I pensieri del mio cervello sono lì ora, impressi, chiari, evidenti, sotto gli occhi di tutti. È come se la mia testa si fosse spaccata e quei sogni fossero colati giù lungo le mie braccia e, fra dita, penne e tastiera si piantassero belli, neri o colorati, sul foglio.
 
Ma non ti sembra la creazione di un dio? Guardale, le mie speranze e le mie proteste,  come brillano e sgusciano fra i margini e gli spazi: eccole lì, grandi, piccole, in grassetto, in corsivo. I miei pensieri, appena concepiti e nati, pluff, ora scorrono vivi su una pagina, liberi di andare, piacere, annoiare, far arrabbiare, oppure dritti dritti al cestino. Se poi cascano sul video basta un niente e… clic, posta indesiderata, finito.
 
Il mio libro stasera è un classico e lo riprendo in mano dopo anni, ma appena mi stancherò ci farò l'orecchietta, ci metterò una cartolina o un santino e ci tornerò domani.
 
Il mio libro. Nato chissà quando, da quali amori e delusioni, entusiasmi o ricordi: chissà. Ora è qui, la sua vita è con me e mi si infila dentro e resto col dito fra copertina e ultimo foglio, sorpreso e sospeso.
 
Col mio libro ci parlo, lo strazio di segni, di chiose e postille, come un vecchio amanuense. Col mio libro mi fermo, ci sto, e domani in pizzeria ne parleremo: con lui o con lei il mio libro circolerà e nascerà in altre teste e in anime diverse.
 
Comunicare, intermediare, trasmettere. I media. Gli inchiostri, i fili di rame, le fibre ottiche, tutto, senza demonizzare niente, appena mi serve e ne ho voglia lo uso; se no, smetto. Testi e libri, scritture e giornali: tutte le invenzioni di ieri e di oggi. Tutto, pur di mediare o stringere l'umanità e radunarla e (se ci si fa) impedirle di combattersi e distruggersi. Stampa o kindle o mail o social network, come, quando, dove, non importa, oggi catturano, prendono ed eccitano miliardi di uomini e donne. Si scrive, si legge ,si pensa, si crede, si rifiuta.
 
La biblioteca di Alessandria nel II secolo avanti Cristo: anche la Bibbia ebraica tradotta nel greco koinè. Oggi Amazon, Google, Apple, già milioni di libri in archivio. L'universo che non vuole soffocare nell'ignoranza e nella depressione. Distruggere una biblioteca, come a Timbuctu, è un genocidio.
 
Parlare è vivere, leggere e scrivere è il piacere di vivere.
 
Le religioni furono fra le prime a capirlo. Non bastavano più scuole e maestri per poi mandare a memoria saghe e racconti. Per bocca, si sa, tutto vola e domani… chi se ne ricorda? Nascono le scritture, la religione si organizza e fa suo, tramanda e custodisce, copia, trasmette, inventa, costruisce da capo. Una specie di eternità fra umani. Finché conserveremo quei testi Iddio ci parlerà e ne sentiremo gli accenti e ne godremo le pause e le sue melodie ci daranno conforto. Le scritture diventano l'asse portante della religione. Se ci distruggessero il tempio, se mandassero a fuoco sinagoghe, chiese e moschee, avanti ancora. Le scritture saranno il nostro tempio mobile.
 
Il momento delle sacre scritture: il lettore si avvicina al leggio e io tremo di attesa. Fra poco aprirà il grande libro, Gesù svolgerà il rotolo e piano piano la voce dell'antico profeta sbatterà fra le pareti del mio cervello. Alla fine risponderò amen anche se, come sempre, la lettura mi troverà incerto, balbettante e pieno di distrazioni. Poi mi riprenderò e penserò: “La scrittura ha riportato qui il profeta, come se fossi vissuto al suo tempo”.
 
Che genesi, amico mio, che creazione, la scrittura, la lettura e l'ascolto. Non ho più fiato e lacrime per dire grazie.
 
Poi certo la scrittura, come a far rima, mette paura. Perché, vuoi sapere? Ma è chiaro, perché rende liberi e crea e costruisce gli uomini liberi. Nessun potere ama scrittori, poeti,  compositori e giornalisti. Nessuno. Scrivendo e leggendo si fa opinione, si allarga il dissenso, si abbattono i recinti e le censure. Difatti: guarda come va a finire qui a Nazareth: lo prendono a calci, lo spingono, lo trascinano fuori, lo cacciano. Per miracolo Gesù si svincola e scappa. Sempre così.
 
Quella mattina del 1600, in pieno anno santo, così trascinavano Bruno a Campo de’ fiori. Gli avevano messo la mordacchia, una specie di pettine di ferro che gli serrava le labbra perché finalmente smettesse di proclamare le sue idee. Ma quelle erano già libere e vive perché scritte, stampate, e tutta Europa le conosceva e le discuteva da tempo. I nazisti con il rogo di libri e dipinti non riuscirono a distruggere il teatro di Brecht e di Kurt Weill, la musica di Alban Berg e dei cabaret di Berlino, l'espressionismo e la Bauhaus.  Così Stalin con Shostakovic e Prokoviev.
 
La stampa, la fotografia, il cinema, salveranno la libertà.
 
Il mio libro, il mio regno.
 
Come Il profeta Ezechiele vorrei quasi mangiarlo, il mio libro.
 
Sarebbe troppo?
 
Ora è tardi e lo poso sul comodino. A domani.
 
                                                                               (Viscardo Lauro)