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Politica economica

UN "COMITATO PER LA STRATEGIA"?

Ma il Cnel no, decisamente no: una struttura costosa e pesante, ormai da anni del tutto inutile, che ha esaurito il suo compito rispetto a quando il parlamento ed il governo avevano utilità e forse anche bisogno, nell’immediato dopoguerra, di un’alta consulenza istituzionale per la loro legislazione economica e sociale. Il Cnel è oggi uno dei costi che vanno assolutamente  aboliti, e le cui risorse vanno restituite alla collettività produttiva attraverso lo Stato.

E neppure un altro ente costoso, di quelli composti di tronfi soloni universitari chiamati, a suon di pesanti gettoni di presenza, a pronunciarsi ampollosamente e quasi sempre inutilmente su cose che il governo può e deve sapere da sé, con la semplice istituzionale consulenza dei suoi propri tecnici, pagati dalla collettività apposta per questo. E, tutt’al più, con l’aggiunta di qualche specifico esperto di volta in volta inerente alla materia trattata.

Insomma, professor Fadda, niente ulteriori costi per ulteriori strutture, in uno Stato già affogato da strutture e costi elefantiaci, improduttivi e non raramente corrotti.

Però la esigenza da lei posta è vera, profonda, e importantissima: bisogna restituire respiro lungo alla politica economica dello Stato ed alle sue strategie di sviluppo. Non ne possiamo più di bellocci senza cultura profonda che appaiono in tv con linguaggio fluente ma vuoto di contenuti, a pontificare sugli ultimi provvedimenti congiunturali od a pioggia che hanno deciso di largire a questa o quella corporazione del paese.  Ministri e politici che sono purtroppo, allo stato attuale e da molti anni, di profilo preoccupantemente basso, nel nostro paese, a prescindere dalle loro appartenenze politiche, e devono reimparare proprio a pensare lungo, oltre che a pensare bene. Ci vuole dunque uno strumento che li aiuti.

E chiedo, ad esempio: perché non reintrodurre intanto quegli antichi “comitati interministeriali per la programmazione” che così proficuamente funzionavano un tempo, durante la prima repubblica, e facevano  semplicemente ma efficacemente incontrare ministri e rispettivi esperti sui  problemi o programmi o progetti di comune o contiguo interesse, proprio per consentire al governo di “programmare” con lungo ed organico respiro? La loro abolizione, con la quasi contemporanea creazione di mostriciattoli costosi ed inutili come le ambigue “authorities”, aggiuntesi al già esistente e parassitario Cnel, è una delle astruserie inventate dalla superficialità della “nuova” politica.
 
Oppure… ci restituiscano quei lenti ma espertissimi direttori generali di lungo corso che costituivano spesso la luce e la continuità delle gestioni ministeriali, e aiutavano i ministri a ragionare, appunto, in termini di decenni e non di semestri. E pongano termine allo spettacolo dei ragazzotti masterizzati e delle bellocce rifatte, che il sistema dello “spoilsystem” piazza ormai anche nei ruoli ministeriali più delicati senza che sappiano neppure parlare in italiano e dirigere la loro lavastoviglie domestica. E ne vediamo e paghiamo gli amari risultati.
Insomma, siamo del tutto d’accordo sul fatto che ci sia necessità di restituire respiro lungo all’azione dei governi: ma va fatto alleggerendo e collegando le attuali strutture, non creandone di nuove. (Giuseppe Ecca).
 

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Se si osservano le varie aree di intervento della politica economica degli ultimi anni (e non solo), se si considerano le diverse articolazioni delle politiche pubbliche, se si considerano le destinazioni cui è stata indirizzata la spesa pubblica, non si può non avere l’impressione che  tutto questo riveli un disordinato brancolare nel buio. Non prendiamo in considerazione per il momento quella parte di scelte di politica economica e di spesa pubblica ascrivibile a tutela di interessi privati se non addirittura a collusioni col mondo degli affari o del malaffare. Sebbene non possiamo escludere che per molti protagonisti della vita politica questa rappresenti soltanto uno strumento per inserirsi a proprio vantaggio nel mondo degli affari, non è di ciò che ora vogliamo parlare.

A costo di apparire ingenui assumiamo quindi l’ipotesi che le scelte e le misure predisposte non siano influenzate da elementi di quel genere, ma siano formulate con l’obiettivo di rispondere alle esigenze di un sano governo dei processi economici e sociali per massimizzare il benessere collettivo. Ma esaminando sotto questa luce i provvedimenti adottati si notano due cose. In primo luogo una mancanza di integrazione e anche di semplice coordinamento tra gli interventi adottati nei diversi settori. Gli interventi in materia di politiche del lavoro non sono integrati con gli interventi in materia di politica industriale, gli interventi in materia di politica industriale non sono integrati con le linee della politica di sviluppo; quest’ultima non appare come punto focale di tutte  le politiche, incluse quindi le politiche fiscali, le politiche della ricerca, le politiche ambientali, le politiche energetiche, le quali tutte a loro volta non appaiono coordinate fra loro. E così si potrebbe continuare. In secondo luogo, si nota che anche all’interno di uno stesso ambito le misure adottate non sono organicamente concepite come parti di un disegno coerente finalizzato al raggiungimento di obiettivi chiaramente definiti. Se questi due aspetti rappresentano due vizi strutturali rilevabili nella azione continua degli organi di governo nazionale e locale, si raggiungono poi punte di manifesta assurdità quando si vedono infilare, in provvedimenti legislativi formalmente intestati ad un obiettivo specifico, emendamenti di natura completamente estranea a questo, contenenti misure e impegni di spesa che dovrebbero essere invece formulati e valutati nell’ambito del quadro programmatico cui per loro natura appartengono.

Comunemente la causa di questa situazione viene attribuita ad un difetto di “governance”: secondo questa opinione l’architettura istituzionale e la configurazione dei processi decisionali sarebbero tali da impedire quel coordinamento e quella armonizzazione degli interventi di politica economica necessari per garantire efficacia ed efficienza all’azione delle politiche pubbliche. In effetti, accade spesso che una amministrazione o un assessorato predisponga misure e piani di azione non soltanto senza alcun  coordinamento ma addirittura ignorando l’azione degli assessorati o delle amministrazioni vicine. Questo è sicuramente vero, e un profondo aggiustamento dei processi decisionali che impedisca questa pratica sarebbe necessario. Tuttavia esiste un’altra ragione  più profonda all’origine di tale situazione, una ragione che non verrebbe meno neanche se i meccanismi decisionali venissero migliorati. Questa ragione consiste nell’assenza di un quadro strategico di riferimento di lungo periodo.

Ormai le trasformazioni strutturali dei processi economici e geopolitici sono talmente rapide e talmente profonde che un sistema economico rischia di trovarsi al collasso se le azioni di governo, anziché basarsi su scelte strategiche fondate su una attenta e corretta individuazione delle linee evolutive in atto, vengono episodicamente decise senza un orientamento strategico,senza una visione sistemica. Se si continua a procedere con misure di corto respiro, volte a tamponare con interventi disorganici di breve periodo questa o quella singola emergenza senza aggredire, anzi senza nemmeno individuare, le cause di fondo,  il rischio di un irreversibile sfacelo economico e sociale è troppo alto.
Occorre esaminare a fondo i termini della sfida che le profonde trasformazioni dello scenario economico globale pongono alla nostra economia ed alla nostra società. E’ assurdo pensare che i problemi dell’approvvigionamento energetico, i problemi dell’occupazione e delle condizioni di lavoro, i problemi della diseguaglianza nella distribuzione del reddito, i problemi della divisione internazionale del lavoro, della struttura produttiva e della produttività, i problemi delle migrazioni, i problemi del sistema educativo, i problemi dello stato sociale, i problemi di natura ambientale e climatica, i problemi della stabilità finanziaria, i problemi della globalizzazione, i problemi dell’Unione Europea, in altre parole i problemi fondamentali che mettono oggi sotto scacco la nostra società, possano essere affrontati senza un orientamento strategico fondato su una comprensione delle trasformazioni economiche e geo-politiche in atto. Tutto questo deve essere oggetto di approfondita analisi con l’obiettivo di definire una strategia organica in cui tutto il sistema si inquadri ed alla quale le scelte di governo possano ispirarsi e coerentemente collegarsi.

Ma di ciò non è traccia nel nostro paese. Il governo (uso il termine in senso lato per indicare l’insieme dei soggetti che a tutti i livelli sono responsabili delle politiche pubbliche) procede come un’armata “brancaleone”; un incentivo di qua, un sussidio di là; un’opera stradale di qua, un raccordo ferroviario di là; un taglio di tasse di qua, una nuova tassa di là, e così via.

E’ mai possibile che non si trovi un momento e una sede istituzionale in cui esperti, studiosi  e operatori si raccolgano non per fare chiacchiere ma per mettere a fuoco (senza l’affanno e i condizionamenti delle scadenze immediate)  i nuovi i termini di questi problemi fondamentali e per delineare le appropriate linee strategiche per affrontarli? A questo scopo sarebbe necessario che un qualche soggetto (e non potrebbe essere certo il governo, che correrebbe il rischio di intervenire con logiche poco appropriate) convocasse una sorta di “Stati Generali” per fare “il punto nave” e stabilire la rotta migliore e le priorità da affrontare perché il sistema Italia possa navigare senza il rischio di affondare in questa fase di tumultuose trasformazioni.  E’ un appello quasi disperato che ci viene da fare perché un soggetto, o una coalizione di soggetti, prenda l’iniziativa e si faccia carico di questo compito di grande responsabilità.  Potrebbe  essere il Cnel (che non essendo stato abolito dovrebbe avere l’obbligo di dimostrarsi utile); potrebbero essere (azzardiamo) i Centri Studi di riferimento delle organizzazioni sindacali; potrebbero essere altri, ma qualcosa deve nascere.

Tuttavia, questo, che pure costituisce un primo passo necessario, non sarebbe sufficiente. C’è bisogno di qualcosa di più strutturale e di carattere permanente, che superi i limiti di una riflessione circoscritta ad un solo istante del tempo. C’è bisogno di verifiche e di  aggiornamenti continui della strategia di fronte al continuo evolvere degli scenari economici e sociali. Ci sarebbe bisogno di una sorta di Comitato permanente per la strategia”, del tipo dell’organismo costituito in Francia. Lì il  “Commissariat général à la stratégie et à la prospective (CGSP) ”, costituito nel 2013, ha il compito di elaborare per il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio dei Ministri e il Parlamento un rapporto annuale sui grandi orientamenti per l’avvenire della nazione, sugli obiettivi di medio e lungo termine dello sviluppo economico e sociale e sulle riforme necessarie. Esso è formato da studiosi (non da esponenti  “istituzionali”, come invece sarebbe successo in Italia) e a sua volta coordina una rete di commissioni specialistiche per approfondire specifiche aree problematiche. I suoi rapporti forniscono le linee guida per tutte politiche pubbliche. Forse questa esperienza è degna di considerazione, se si vuole abbandonare il consueto procedere episodico e frammentato che, oltre ad essere inadeguato rispetto alle grandi sfide, si rivela molto spesso fonte di sprechi di spesa pubblica e di interventi sbagliati.
                                                                
                                                                                                                                      (Sebastiano Fadda, per Isril)