Quante volte ci capita… Siamo appassionati di confronti fra l’ieri e l’oggi, il passato e il presente, un poco in tutti i campi. “Ai nostri tempi… oggi invece…”. Naturale, il confronto fra noi e chi venne prima di noi, istintivo, e utile. Come il tentativo di immaginare il futuro. Ma attenzione ai luoghi comuni, alla frasi fatte, alla superficialità dei giudizi basati su conoscenze che spesso… (spesso!) neanche gli storici dominano bene.
Domenico De Masi ci richiama l’importanza di una consapevolezza più attenta con alcuni raffronti istruttivi... fra l’ieri e l’oggi della storia umana.
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Due tesi irrefutabili: 1) questo in cui viviamo non è il migliore dei mondi possibili ma è certamente il migliore dei mondi esistiti fino ad oggi; 2) mai la realtà è stata così complessa ma mai la vita è stata così semplice.
In che epoca avreste preferito vivere? Nell’Atene di Pericle, quando quarantamila uomini liberi avevano a loro disposizione 150mila schiavi, quando per strada potevate fare quattro chiacchiere con Socrate o con Platone, quando i giorni festivi erano duecento all’anno? O nella Roma di Cesare, quando in un solo colpo arrivò un milione di schiavi dalla Gallia, quando la capitale del mondo era una metropoli brulicante di architetti, poeti e teatranti, quando in un solo giorno i 70.000 spettatori del Colosseo potevano godersi la vista di 5.000 coppie di gladiatori che si sbudellavano? O nella Firenze dei Medici, quando il meglio dell’arte e della letteratura gareggiava con banche, corporazioni ed eserciti? o nella Vienna di Klimt, Musil e Mahler, quando un mondo stravecchio conviveva con l’adolescenza della civiltà moderna?
In ognuna di queste epoche, per godersi la vita, anzitutto occorreva essere degli aristocratici. I borghesi erano poveracci relegati in case scomode e squallide. I plebei erano morti di fame stivati in tuguri puzzolenti. Dunque, se non siete di nobile casato, meglio per voi essere nati nel ventesimo secolo.
Ma neppure il sangue blu sarebbe riuscito ad assicuravi una vita decente: oltre al censo e allo stemma nobiliare, occorreva avere una salute di ferro. Ve lo immaginate un Aristotele o un Augusto o un Luigi XIV alle prese con il mal di denti? Niente analgesici, niente dentisti: solo cerusici nerboruti, che asportavano denti con tenaglie funeste e approssimative. Dunque, se di tanto in tanto soffrite di colite o di bruciori allo stomaco o anche solo di un raffreddore, meglio per voi essere nati nel ventesimo secolo: quelli che oggi sono malesseri passeggeri, un secolo fa sarebbero bastati a mandarvi all’altro mondo.
E pure in tempi di pestilenze e pandemie le cose andavano meglio di oggi. Ve l’immaginate il lockdown durante la febbre spagnola del 1919 che fece un milione e mezzo di morti per 50 settimane consecutive? Niente Pfizer, niente DAD, niente smart working, niente Amazon, niente televisione, niente Spotify, niente Glovo, niente Deliveroo, niente informatica in soccorso della salute, dell’economia, della scuola, dei servizi, dell’ambiente.
Spesso gli snob vagheggiano presunte età felici in cui tutto scorreva semplice e leggero. In realtà, la stragrande maggioranza di chi nasceva nell’Ottocento poteva contare su una vita media di 32 anni; era destinato all’analfabetismo; mancava di tutto: dall’acqua corrente alla luce elettrica, dagli antibiotici agli analgesici ai mezzi di trasporto; da Fedez a Barbara D’Urso. Ogni problema era complicatissimo perché non c’erano gli strumenti per risolverlo. Quello si che era un mondo complesso!
Poiché sembrava che la natura andasse avanti per gradi, si credeva che ogni progresso, anche quello sociale e conoscitivo, fosse lineare, che le risorse del pianeta fossero infinite e anche il PIL potesse crescere infinitamente.
Poi, durante il Novecento, grazie a geni come Einstein, Freud, Le Corbusier, Wiener e Steve Jobs abbiamo capito che la nostra realtà attuale è complessa ma che, usando i potenti mezzi di cui ci siamo dotati, anche i problemi più ardui possono essere semplificati e risolti con disinvoltura crescente. Abbiamo capito che il progresso non è sempre lineare né uniformemente accelerato, che la natura fa dei salti imprevisti, che ogni problema ammette più soluzioni a seconda dei punti di vista. Soprattutto abbiamo imparato a trasformare molti vincoli in opportunità, molti punti di debolezza in punti di forza.
Giulio Cesare e Napoleone sono vissuti alla distanza di diciotto secoli l’uno dall’altro, ma se avessero voluto coprire il tragitto da Roma a Parigi avrebbero avuto entrambi bisogno di alcune settimane. Tra Napoleone e i nostri giorni ci sono poco più di due secoli eppure noi, pur non godendo di nessun privilegio imperiale, possiamo andare da Roma a Parigi in meno di tre ore.
Per salire in cima a un grattacielo, ci basta premere il bottone dell’ascensore; per liberarci di un’appendicite, ci basta fare un’operazione chirurgica; per ascoltare una sinfonia, ci basta spingere il pulsante del telecomando, per vedere le mie figlie all’altro capo della città o del mondo, mi bastano Skype o Zoom. Mai prima d’ora la realtà è stata così complessa e la vita è stata così semplice.
La progressiva semplificazione dei problemi pratici, grazie alle infinite protesi meccaniche di cui disponiamo, ci consente di dedicare maggiore tempo e impegno alla soluzione (cioè alla semplificazione) di problemi sempre più complessi, di ordine scientifico, economico, filosofico ed estetico.
Per quanto inquinate siano le nostre città, per quanto violenti siano i nostri rapporti umani, per quanto squallide siano le nostre periferie urbane, tuttavia il nostro ambiente è di gran lunga più sano, pacifico e bello di un secolo fa. Non a caso, la nostra vita media dura il doppio della vita dei nostri bisnonni. Non a caso qualsiasi impiegato statale può scegliere tra vestiti e oggetti più abbondanti e più belli di quanti ne potesse avere Lorenzo il Magnifico.
In un suo incantevole racconto, intitolato La rosa di Paracelso, l’ineffabile Borges ci ricorda che il paradiso esiste: ed è questa terra. Poi ci ricorda che anche l’inferno esiste: ed è vivere su questa terra senza accorgerci che è un paradiso.
Auguriamoci di non farci del male vivendo ad occhi chiusi.
(Domenico De Masi)
Domenico De Masi ci richiama l’importanza di una consapevolezza più attenta con alcuni raffronti istruttivi... fra l’ieri e l’oggi della storia umana.
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Due tesi irrefutabili: 1) questo in cui viviamo non è il migliore dei mondi possibili ma è certamente il migliore dei mondi esistiti fino ad oggi; 2) mai la realtà è stata così complessa ma mai la vita è stata così semplice.
In che epoca avreste preferito vivere? Nell’Atene di Pericle, quando quarantamila uomini liberi avevano a loro disposizione 150mila schiavi, quando per strada potevate fare quattro chiacchiere con Socrate o con Platone, quando i giorni festivi erano duecento all’anno? O nella Roma di Cesare, quando in un solo colpo arrivò un milione di schiavi dalla Gallia, quando la capitale del mondo era una metropoli brulicante di architetti, poeti e teatranti, quando in un solo giorno i 70.000 spettatori del Colosseo potevano godersi la vista di 5.000 coppie di gladiatori che si sbudellavano? O nella Firenze dei Medici, quando il meglio dell’arte e della letteratura gareggiava con banche, corporazioni ed eserciti? o nella Vienna di Klimt, Musil e Mahler, quando un mondo stravecchio conviveva con l’adolescenza della civiltà moderna?
In ognuna di queste epoche, per godersi la vita, anzitutto occorreva essere degli aristocratici. I borghesi erano poveracci relegati in case scomode e squallide. I plebei erano morti di fame stivati in tuguri puzzolenti. Dunque, se non siete di nobile casato, meglio per voi essere nati nel ventesimo secolo.
Ma neppure il sangue blu sarebbe riuscito ad assicuravi una vita decente: oltre al censo e allo stemma nobiliare, occorreva avere una salute di ferro. Ve lo immaginate un Aristotele o un Augusto o un Luigi XIV alle prese con il mal di denti? Niente analgesici, niente dentisti: solo cerusici nerboruti, che asportavano denti con tenaglie funeste e approssimative. Dunque, se di tanto in tanto soffrite di colite o di bruciori allo stomaco o anche solo di un raffreddore, meglio per voi essere nati nel ventesimo secolo: quelli che oggi sono malesseri passeggeri, un secolo fa sarebbero bastati a mandarvi all’altro mondo.
E pure in tempi di pestilenze e pandemie le cose andavano meglio di oggi. Ve l’immaginate il lockdown durante la febbre spagnola del 1919 che fece un milione e mezzo di morti per 50 settimane consecutive? Niente Pfizer, niente DAD, niente smart working, niente Amazon, niente televisione, niente Spotify, niente Glovo, niente Deliveroo, niente informatica in soccorso della salute, dell’economia, della scuola, dei servizi, dell’ambiente.
Spesso gli snob vagheggiano presunte età felici in cui tutto scorreva semplice e leggero. In realtà, la stragrande maggioranza di chi nasceva nell’Ottocento poteva contare su una vita media di 32 anni; era destinato all’analfabetismo; mancava di tutto: dall’acqua corrente alla luce elettrica, dagli antibiotici agli analgesici ai mezzi di trasporto; da Fedez a Barbara D’Urso. Ogni problema era complicatissimo perché non c’erano gli strumenti per risolverlo. Quello si che era un mondo complesso!
Poiché sembrava che la natura andasse avanti per gradi, si credeva che ogni progresso, anche quello sociale e conoscitivo, fosse lineare, che le risorse del pianeta fossero infinite e anche il PIL potesse crescere infinitamente.
Poi, durante il Novecento, grazie a geni come Einstein, Freud, Le Corbusier, Wiener e Steve Jobs abbiamo capito che la nostra realtà attuale è complessa ma che, usando i potenti mezzi di cui ci siamo dotati, anche i problemi più ardui possono essere semplificati e risolti con disinvoltura crescente. Abbiamo capito che il progresso non è sempre lineare né uniformemente accelerato, che la natura fa dei salti imprevisti, che ogni problema ammette più soluzioni a seconda dei punti di vista. Soprattutto abbiamo imparato a trasformare molti vincoli in opportunità, molti punti di debolezza in punti di forza.
Giulio Cesare e Napoleone sono vissuti alla distanza di diciotto secoli l’uno dall’altro, ma se avessero voluto coprire il tragitto da Roma a Parigi avrebbero avuto entrambi bisogno di alcune settimane. Tra Napoleone e i nostri giorni ci sono poco più di due secoli eppure noi, pur non godendo di nessun privilegio imperiale, possiamo andare da Roma a Parigi in meno di tre ore.
Per salire in cima a un grattacielo, ci basta premere il bottone dell’ascensore; per liberarci di un’appendicite, ci basta fare un’operazione chirurgica; per ascoltare una sinfonia, ci basta spingere il pulsante del telecomando, per vedere le mie figlie all’altro capo della città o del mondo, mi bastano Skype o Zoom. Mai prima d’ora la realtà è stata così complessa e la vita è stata così semplice.
La progressiva semplificazione dei problemi pratici, grazie alle infinite protesi meccaniche di cui disponiamo, ci consente di dedicare maggiore tempo e impegno alla soluzione (cioè alla semplificazione) di problemi sempre più complessi, di ordine scientifico, economico, filosofico ed estetico.
Per quanto inquinate siano le nostre città, per quanto violenti siano i nostri rapporti umani, per quanto squallide siano le nostre periferie urbane, tuttavia il nostro ambiente è di gran lunga più sano, pacifico e bello di un secolo fa. Non a caso, la nostra vita media dura il doppio della vita dei nostri bisnonni. Non a caso qualsiasi impiegato statale può scegliere tra vestiti e oggetti più abbondanti e più belli di quanti ne potesse avere Lorenzo il Magnifico.
In un suo incantevole racconto, intitolato La rosa di Paracelso, l’ineffabile Borges ci ricorda che il paradiso esiste: ed è questa terra. Poi ci ricorda che anche l’inferno esiste: ed è vivere su questa terra senza accorgerci che è un paradiso.
Auguriamoci di non farci del male vivendo ad occhi chiusi.
(Domenico De Masi)
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