Beh, insomma: tanti di voi mi hanno scritto, o telefonato, chiedendomi "che succede". Succede che acceleriamo, succede che tutta la pazienza, la prudenza dell'attesa, la doverosa calma della costruzione, durata anni, se ne sono andate, giustamente: hanno esaurito il loro compito, e a noi è parso che onestà e intelligenza richiedessero che i nostri ideali, la nostra onestà, e, perchè no? il nostro amore per l'Italia, e per il sogno di un mondo più giusto, dovessero passare decisamente all'azione. E così mi è parso giusto scrivere. In questo modo, semplicemente, è nata Democrazia Comunitaria. Come ho detto su Feisbuc. Per costruire.
Preg.mi:
Cari amici,
il 18 gennaio 2019 appena trascorso abbiamo commemorato e approfondito, in tantissimi ed in tutta Italia, Luigi Sturzo e il suo grande messaggio all’Italia politica dei cattolici, dei laici di buona volontà, di tutti i “liberi e forti” animati da desiderio e volontà di bene comune.
Lo abbiamo fatto in diversi convegni di studio, accompagnati, a seconda dei casi, da momenti religiosi, da intenzioni culturali, da obiettivi dichiaratamente politici o prepolitici.
Personalmente ho partecipato a quello che si è tenuto presso il Senato della Repubblica, raccolto attorno a Gianni Fontana, con amici di diverse esperienze e provenienze d’Italia.
La sorpresa più bella, per me, in tale convegno, è stata costituita dalla presenza di un gruppo di giovani studiosi di diverse università italiane, del Nord e del Sud. Quanti mi conoscono sanno che sono contrario alle facili retoriche di categoria, e quindi anche a quella giovanilistica: e pertanto non le incoraggio. Ma, a mano a mano che questi giovani esprimevano le loro idee e l’approfondimento raggiunto dalle loro ricerche, mi dicevo: “Ecco pienamente confermata una delle meravigliose ricchezze italiane: il nostro paese è socialmente disordinato, amministrativamente affastellato, legislativamente elefantiaco, politicamente tribalizzato, economicamente frantumato… Eppure riesce sempre a produrre un livello alto di individualità, seminate in ogni campo: in questo caso, nel campo della pur confusa e clientizzata situazione universitaria. Quelli che stanno parlando ora sono bei cervelli, di valore molto promettente, personalità di nuovi italiani in crescita che sapranno farsi valere, in Italia o, eventualmente, anche al di là dei confini nazionali”.
L’Italia dei grandi sprechi, delle ingiuste sperequazioni, della burocrazia inefficiente e della politica parassitaria, riesce sempre a essere compensata, in effetti, dall’Italia delle belle intelligenze, delle coscienze ardenti, delle aspirazioni pulite, del coerente sentimento dei doveri… e anche degli angoli di efficienza e produttività straordinariamente eccellenti. E’ problema di persone, appunto, non di categorie.
E resta comunque, questa Italia, il paese più bello e più ricco del mondo: lo è in tanti suoi giovani, in tanti suoi vecchi, in tante sue donne, in tanti suoi imprenditori, in tanti suoi lavoratori, in tanti suoi artisti, in tanti suoi eroi della solidarietà quotidiana, nella sua sovrumana Roma e nelle altre mille città che, quanto a storia o arte o clima o sacralità di luoghi o santità di persone, valgono, ognuna, una nazione estera. Sì, sono felice di essere italiano, ma sono nel contempo anche indignato della così prolungata incapacità di noi italiani di darci finalmente un assetto anche organizzativamente efficiente, coeso, giusto, progrediente.
Ho ripetuto qualcuno di questi concetti nel mio breve intervento introduttivo al convegno, con la solita passione e forse anche con il solito eccesso di velocità espressiva: ma ho ripetuto soprattutto il mio noto pensiero centrale, cioè che è tempo che la politica, e in particolare quella di ispirazione cristiana, riassuma una diversa e superiore consapevolezza di visione e di etica della responsabilità quanto alla necessità di un rinnovato passaggio all’azione concreta. Ecco anzi il senso essenziale della mia presenza al convegno: il passaggio all’azione concreta.
Qui ed a voi non ripeto nulla di quanto già conoscete, in termini di analisi e di proposte per il desiderato “passaggio all’azione”: sono cose che, come altre volte vi ho detto, sono abbondantemente presentate nei documenti da noi stessi elaborati, che spiccano, nell’oceano di parole più o meno vuote di questi anni, spiccano per la loro meditatività di lungo periodo, per la loro attenzione valoriale, e anche per le loro concrete indicazioni di traduzione operativa. Sono soprattutto la ormai famosa “relazione Fontana al congresso Dc del 2012”, i documenti del Mantegna e del San Sisto, e pochi altri, epersino, da ultimo, il cosiddetto “documentino” che un gruppo di amici, fra cui voi, ha condiviso con me nel tentativo di catalizzare il passaggio della esigenza di rinnovamento verso l’accennata fase operativa.
In fondo, i capisaldi di tale visione e del relativo programma sono sintetizzati anche in quella “bozza di statuto” che fu elaborata, con particolare impegno di Fontana e del sottoscritto, nel momento cruciale nel quale, già intorno al 2013, pareva che i nostri propositi potessero finalmente tradursi in azione. Vi sono richiamati la centralità della persona nella sua duplice e inscindibile dimensione individuale e comunitaria, l’economia e l’impresa partecipativa, i sistemi formativi integrati in senso umanistico, lo Stato snello e le autonomie come sussidiarietà, l’Europa Unita come paradigma del mondo unito, la solidarietà diffusa e il bene comune, e così via.
Tenuto conto di ciò, questa mia lettera vuole semplicemente confermarvi, come ho ripetuto a voi ed al nostro riferimento di ideali politici, Gianni Fontana, che con il convegno di ieri è sostanzialmente finito davvero, per me, il tempo dell’attesa. E che da oggi passo, semplicemente e umilmente, all’azione per quanto mi riguarda, fosse pure soltanto in compagnia di voi tre, cari amici. Si tratta semplicemente, nella mia coscienza, di senso del dovere e della coerenza: si tratta di non caricarci più della responsabilità di non adempimento di un dovere storico di azione organizzata nei confronti del paese e del suo bene. Non sono infatti colpe e trame di altri partiti ad averci impedito finora di onorare tale responsabilità, ma la nostra incapacità e la nostra scarsa volontà di coesione.
Sento di dover aggiungere una sola precisazione: poiché la presente lettera annuncia con semplicità la nascita di un Gruppo che intende denominarsi “Gruppo di Democrazia Comunitaria”, regolato dallo statuto cui più sopra ho già fatto cenno, vedo indispensabile che questa esperienza di “passaggio all’azione” venga caratterizzata dai due connotazioni essenziali di cui ho già avuto modo di illustrarvi le motivazioni in più di una occasione:
a. la vincolatività senza eccezioni delle norme di comportamento associativo dettate dallo statuto;
b. la esemplarità, altrettanto senza eccezioni, dei comportamenti anche morali di chi partecipa a questa esperienza.
A molti di voi, nelle conversazioni personali o di gruppo scambiate di recente, in particolare a livello di “caffè chiacchierato”, ho anticipato lo spirito di questo Gruppo dicendo che esso vuole caratterizzarsi, più specificamente, come un modello monasteriale dal punto di vista organizzativo, nel senso della coesione associativa, e come una sensibilità quasi militare dal punto di vista del rispetto delle regole come criterio di certezza, di equità, di garanzia per tutti, ed anche di formazione al vivere comune. Potete immaginare con quale attenzione io pronunci l’aggettivo “militare”, al termine di tanti spettacoli tristi e scandalosi vissuti in questi anni e soprattutto in questi ultimi mesi nel nostro povero e confuso mondo rissoso di matrice democristiana: l’aggettivo “militare” vuole dunque, semplicemente ma fortemente, significare che la regola, in qualche modo sacra perché volta a garantire il bene comune, proprio come lo è la Regola monastica, è anche così esplicitamente esigente da richiamare una disponibilità di autodisciplina anche personale di tipologia, appunto, quasi militare: le regole si perfezionano secondo metodo di partecipazione democratica, costantemente, ma mentre si perfezionano si osservano.Questa sarà dunque, insieme alla citata esemplarità dei comportamenti morali, la “differenza competitiva” della esperienza del gruppo di Democrazia Comunitaria.
Operativamente il gruppo prende spunto e accelerazione anche dalla necessità di consentire a chi oggi rappresenta e sintetizza più di altri la nostra concezione valoriale in politica, cioè Gianni Fontana, di passare con maggiore decisione alla citata fase necessaria di vera e propria organizzazione, che, a prescindere dalle eventuali opportunità elettorali, lo stesso Fontana ha più volte sottolineato, capace finalmente di “far politica” cominciando a parlare concretamente al paese attraverso iniziative che nascano e vivano credibilmente in mezzo alla gente, come veri e propri cenacoli comunitari di animazione sociale e di solidarietà sociale secondo la nostra visione valoriale.
Cari amici, non so se questo gruppo crescerà o resterà una semplice testimonianza attiva e onesta di impegno civile limitata… a noi tre. Ma in fondo, a ben pensarci, se siamo convinti dei nostri valori, il numero di tre costituisce già una realtà significativa: e allora… cominciamo! Invito intanto voi, se pensate di poter accettare con convinzione questa proposta, a fare anche un piccolo e simbolico, ma significativo, atto di impegno: aderire al gruppo. Formalmente costa soltanto un euro, più l’accettazione dello statuto, che vi comunico contestualmente alla presente; tanto, nella forma: nella sostanza, l’iscrizione “costa” invece la sincera adesione ideale e morale al programma appena richiamato ed ai suoi impegni; ma può rendere una speranza finalmente davvero concreta e operativa al rinnovamento della cultura del bene comune, per il nostro paese e oltre il nostro paese.
Giuseppe Ecca
Roma, 23 gennaio 2019.
°°°°°
mm
Preg.mi:
- Dott. Giuseppe Ecca
- Signor Ecca Giuseppe
- Egregio Mestesso
il 18 gennaio 2019 appena trascorso abbiamo commemorato e approfondito, in tantissimi ed in tutta Italia, Luigi Sturzo e il suo grande messaggio all’Italia politica dei cattolici, dei laici di buona volontà, di tutti i “liberi e forti” animati da desiderio e volontà di bene comune.
Lo abbiamo fatto in diversi convegni di studio, accompagnati, a seconda dei casi, da momenti religiosi, da intenzioni culturali, da obiettivi dichiaratamente politici o prepolitici.
Personalmente ho partecipato a quello che si è tenuto presso il Senato della Repubblica, raccolto attorno a Gianni Fontana, con amici di diverse esperienze e provenienze d’Italia.
La sorpresa più bella, per me, in tale convegno, è stata costituita dalla presenza di un gruppo di giovani studiosi di diverse università italiane, del Nord e del Sud. Quanti mi conoscono sanno che sono contrario alle facili retoriche di categoria, e quindi anche a quella giovanilistica: e pertanto non le incoraggio. Ma, a mano a mano che questi giovani esprimevano le loro idee e l’approfondimento raggiunto dalle loro ricerche, mi dicevo: “Ecco pienamente confermata una delle meravigliose ricchezze italiane: il nostro paese è socialmente disordinato, amministrativamente affastellato, legislativamente elefantiaco, politicamente tribalizzato, economicamente frantumato… Eppure riesce sempre a produrre un livello alto di individualità, seminate in ogni campo: in questo caso, nel campo della pur confusa e clientizzata situazione universitaria. Quelli che stanno parlando ora sono bei cervelli, di valore molto promettente, personalità di nuovi italiani in crescita che sapranno farsi valere, in Italia o, eventualmente, anche al di là dei confini nazionali”.
L’Italia dei grandi sprechi, delle ingiuste sperequazioni, della burocrazia inefficiente e della politica parassitaria, riesce sempre a essere compensata, in effetti, dall’Italia delle belle intelligenze, delle coscienze ardenti, delle aspirazioni pulite, del coerente sentimento dei doveri… e anche degli angoli di efficienza e produttività straordinariamente eccellenti. E’ problema di persone, appunto, non di categorie.
E resta comunque, questa Italia, il paese più bello e più ricco del mondo: lo è in tanti suoi giovani, in tanti suoi vecchi, in tante sue donne, in tanti suoi imprenditori, in tanti suoi lavoratori, in tanti suoi artisti, in tanti suoi eroi della solidarietà quotidiana, nella sua sovrumana Roma e nelle altre mille città che, quanto a storia o arte o clima o sacralità di luoghi o santità di persone, valgono, ognuna, una nazione estera. Sì, sono felice di essere italiano, ma sono nel contempo anche indignato della così prolungata incapacità di noi italiani di darci finalmente un assetto anche organizzativamente efficiente, coeso, giusto, progrediente.
Ho ripetuto qualcuno di questi concetti nel mio breve intervento introduttivo al convegno, con la solita passione e forse anche con il solito eccesso di velocità espressiva: ma ho ripetuto soprattutto il mio noto pensiero centrale, cioè che è tempo che la politica, e in particolare quella di ispirazione cristiana, riassuma una diversa e superiore consapevolezza di visione e di etica della responsabilità quanto alla necessità di un rinnovato passaggio all’azione concreta. Ecco anzi il senso essenziale della mia presenza al convegno: il passaggio all’azione concreta.
Qui ed a voi non ripeto nulla di quanto già conoscete, in termini di analisi e di proposte per il desiderato “passaggio all’azione”: sono cose che, come altre volte vi ho detto, sono abbondantemente presentate nei documenti da noi stessi elaborati, che spiccano, nell’oceano di parole più o meno vuote di questi anni, spiccano per la loro meditatività di lungo periodo, per la loro attenzione valoriale, e anche per le loro concrete indicazioni di traduzione operativa. Sono soprattutto la ormai famosa “relazione Fontana al congresso Dc del 2012”, i documenti del Mantegna e del San Sisto, e pochi altri, epersino, da ultimo, il cosiddetto “documentino” che un gruppo di amici, fra cui voi, ha condiviso con me nel tentativo di catalizzare il passaggio della esigenza di rinnovamento verso l’accennata fase operativa.
In fondo, i capisaldi di tale visione e del relativo programma sono sintetizzati anche in quella “bozza di statuto” che fu elaborata, con particolare impegno di Fontana e del sottoscritto, nel momento cruciale nel quale, già intorno al 2013, pareva che i nostri propositi potessero finalmente tradursi in azione. Vi sono richiamati la centralità della persona nella sua duplice e inscindibile dimensione individuale e comunitaria, l’economia e l’impresa partecipativa, i sistemi formativi integrati in senso umanistico, lo Stato snello e le autonomie come sussidiarietà, l’Europa Unita come paradigma del mondo unito, la solidarietà diffusa e il bene comune, e così via.
Tenuto conto di ciò, questa mia lettera vuole semplicemente confermarvi, come ho ripetuto a voi ed al nostro riferimento di ideali politici, Gianni Fontana, che con il convegno di ieri è sostanzialmente finito davvero, per me, il tempo dell’attesa. E che da oggi passo, semplicemente e umilmente, all’azione per quanto mi riguarda, fosse pure soltanto in compagnia di voi tre, cari amici. Si tratta semplicemente, nella mia coscienza, di senso del dovere e della coerenza: si tratta di non caricarci più della responsabilità di non adempimento di un dovere storico di azione organizzata nei confronti del paese e del suo bene. Non sono infatti colpe e trame di altri partiti ad averci impedito finora di onorare tale responsabilità, ma la nostra incapacità e la nostra scarsa volontà di coesione.
Sento di dover aggiungere una sola precisazione: poiché la presente lettera annuncia con semplicità la nascita di un Gruppo che intende denominarsi “Gruppo di Democrazia Comunitaria”, regolato dallo statuto cui più sopra ho già fatto cenno, vedo indispensabile che questa esperienza di “passaggio all’azione” venga caratterizzata dai due connotazioni essenziali di cui ho già avuto modo di illustrarvi le motivazioni in più di una occasione:
a. la vincolatività senza eccezioni delle norme di comportamento associativo dettate dallo statuto;
b. la esemplarità, altrettanto senza eccezioni, dei comportamenti anche morali di chi partecipa a questa esperienza.
A molti di voi, nelle conversazioni personali o di gruppo scambiate di recente, in particolare a livello di “caffè chiacchierato”, ho anticipato lo spirito di questo Gruppo dicendo che esso vuole caratterizzarsi, più specificamente, come un modello monasteriale dal punto di vista organizzativo, nel senso della coesione associativa, e come una sensibilità quasi militare dal punto di vista del rispetto delle regole come criterio di certezza, di equità, di garanzia per tutti, ed anche di formazione al vivere comune. Potete immaginare con quale attenzione io pronunci l’aggettivo “militare”, al termine di tanti spettacoli tristi e scandalosi vissuti in questi anni e soprattutto in questi ultimi mesi nel nostro povero e confuso mondo rissoso di matrice democristiana: l’aggettivo “militare” vuole dunque, semplicemente ma fortemente, significare che la regola, in qualche modo sacra perché volta a garantire il bene comune, proprio come lo è la Regola monastica, è anche così esplicitamente esigente da richiamare una disponibilità di autodisciplina anche personale di tipologia, appunto, quasi militare: le regole si perfezionano secondo metodo di partecipazione democratica, costantemente, ma mentre si perfezionano si osservano.Questa sarà dunque, insieme alla citata esemplarità dei comportamenti morali, la “differenza competitiva” della esperienza del gruppo di Democrazia Comunitaria.
Operativamente il gruppo prende spunto e accelerazione anche dalla necessità di consentire a chi oggi rappresenta e sintetizza più di altri la nostra concezione valoriale in politica, cioè Gianni Fontana, di passare con maggiore decisione alla citata fase necessaria di vera e propria organizzazione, che, a prescindere dalle eventuali opportunità elettorali, lo stesso Fontana ha più volte sottolineato, capace finalmente di “far politica” cominciando a parlare concretamente al paese attraverso iniziative che nascano e vivano credibilmente in mezzo alla gente, come veri e propri cenacoli comunitari di animazione sociale e di solidarietà sociale secondo la nostra visione valoriale.
Cari amici, non so se questo gruppo crescerà o resterà una semplice testimonianza attiva e onesta di impegno civile limitata… a noi tre. Ma in fondo, a ben pensarci, se siamo convinti dei nostri valori, il numero di tre costituisce già una realtà significativa: e allora… cominciamo! Invito intanto voi, se pensate di poter accettare con convinzione questa proposta, a fare anche un piccolo e simbolico, ma significativo, atto di impegno: aderire al gruppo. Formalmente costa soltanto un euro, più l’accettazione dello statuto, che vi comunico contestualmente alla presente; tanto, nella forma: nella sostanza, l’iscrizione “costa” invece la sincera adesione ideale e morale al programma appena richiamato ed ai suoi impegni; ma può rendere una speranza finalmente davvero concreta e operativa al rinnovamento della cultura del bene comune, per il nostro paese e oltre il nostro paese.
Giuseppe Ecca
Roma, 23 gennaio 2019.
°°°°°
mm
Condividi questo articolo