Si susseguono i dpcm, strumento leggero per mentalità e impostazioni non profonde. Non inseguiremo l’ultimo in ordine di tempo, appena emanato, in ogni sua giravolta, a cominciare da quella che stabilisce confini regionali per un virus che cammina su frontiere ben più articolate; ma responsabilmente cercheremo di approfondire via via, con critica costruttiva e propositiva, le tematiche toccate da questo tipo di provvedimenti e dalle politiche normative in generale, meritevoli di attenzione e gestione meno superficiali. Per aiutare una maggiore responsabilizzazione concreta di tutti. Cominciamo con la scuola, e con chiarezza.
La “didattica a distanza” non è una didattica efficace, anzi, come didattica che sostituisce la normale presenza a scuola, è pessima. Questa constatazione è tanto più incontrovertibile quanto più l’età degli studenti è bassa. Nei bambini delle elementari la sua efficacia è quasi nulla e ampiamente aleatoria, nei ragazzi del liceo è scarsa ed in ogni caso, per tutti, è discriminatrice perché legata alla disponibilità di attrezzatture, di logistiche familiari e di capacità tecniche, per le quali non c’è stata alcuna preparazione significativa di lunga ed equa gittata negli anni scorsi.
Se poi, invece che di didattica, parliamo di pedagogia, che è il termine più appropriato per affrontare il tema della scuola, la situazione è ancora peggiore: a distanza non si fa pedagogia, per i ragazzi della scuola: la “pedagogia a distanza” non funziona se non per singole evenienze di brevissima portata e durata (un giorno, o al massimo una settimana).
Nello stesso tempo, sospendere la scuola è la peggiore cosa che si possa fare, subito dopo la pessima fra tutte, che è sospendere il lavoro. Come chiudere la vita, come chiudere il paese.
Allora? Allora il lavoro e la scuola vanno tenuti aperti. Ma come si fa? Oggi ci limitiamo a tornare sul tema della scuola (da anni, e ben prima della presente pandemia, andiamo trattando anche di come si fa a non chiudere il lavoro: e riprenderemo presto l’argomento). Come si fa, dunque, a non chiudere la scuola? I “banchi con le rotelle” sono l’emblema della scipitaggine estrema cui la mente priva di esperienza ma ricca di saccenza, priva di cultura ma ricca di superficialità, giunge ormai fra i politici anche più titolati (ma non solo fra i politici). E’ ovvio che non è affatto questa brillantezza superficiale di idee che consente di affrontare la serissima problematica della scuola (a parte la considerazione di costi, sprechi e affari non trasparenti collegati con simili ideuzze).
La scuola va tenuta aperta, dunque; ma perché funzioni bene senza cadere preda del carognavirus, l’orario di ingresso va scaglionato per singole classi e dunque l’orario complessivo di apertura della scuola va allungato; l’orario di presenza della singola classe va ridotto a non oltre due ore (più che adeguate per ogni didattica e per ogni pedagogia anche in tempi ordinari); ogni gruppo classe va a sua volta affidato a un solo insegnante che accompagna i ragazzi nello studio di tutte le materie; e ogni gruppo classe, specialmente nelle classi inferiori, data la istintiva e difficilmente controllabile spinta dei piccoli a non tener conto del necessario distanziamento fisico (fisico, balordini di politici e giornalisti che siete: fisico, non sociale!!), ogni gruppo, dicevo, va ulteriormente diviso non soltanto in sottogruppi più piccoli e controllabili, anche soltanto di cinque o sei persone, ma se occorre anche in tanti individui singoli per altrettanti incontri personalizzati di docenza: dentro la scuola, però, non a casa!
Ed è del tutto inaccettabile che si obietti sulla non preparazione degli insegnanti a guidare un ragazzo in tutte le materie: come si potrà pretendere infatti che il ragazzo diventi sufficientemente bravo in tutte le materie dando per scontato che il medesimo obiettivo è proibitivo per l’insegnante?! Ogni insegnante è particolarmente bravo in una materia ma è sufficientemente bravo in tutte, tanto quanto basti ad essere guida dei ragazzi per questo obiettivo: per definizione, altrimenti non è un insegnante!
E naturalmente un simile adeguamento della organizzazione pedagogica e didattica esige che gli insegnanti si coordinino fra loro sui singoli ragazzi, e conseguentemente che il capo di istituto (preside o direttore didattico) sia effettivamente un “capo” di istituto, cioè un responsabile che curi effettivamente coordinamento e aggiornamento permanente dei docenti; ed esige che i livelli superiori di regione e di ministero sostengano tutto questo lavoro (sostengano, e smettano di sfornare circolari con la frequenza e la mentalità dei dpcm!).
La realtà si affronta allontanandocisi il meno possibile da essa e governandola per quello che è, non travisandola e creando realtà diverse. Solo in questo modo si può avere un anno scolastico eccezionale per difficoltà ma tutto sommato di normale efficacia, e forse anche di accresciuta efficacia formativa sulla coscienza dei ragazzi. Che è obiettivo essenziale, altrimenti si rischia di perdere un anno di formazione per una intera generazione e per il paese, con danni gravi e in qualche misura anche irreparabili. Non è lecito, con la scuola, giocare a rimpiattino né politico né professionale.
(Giuseppe Ecca)
La “didattica a distanza” non è una didattica efficace, anzi, come didattica che sostituisce la normale presenza a scuola, è pessima. Questa constatazione è tanto più incontrovertibile quanto più l’età degli studenti è bassa. Nei bambini delle elementari la sua efficacia è quasi nulla e ampiamente aleatoria, nei ragazzi del liceo è scarsa ed in ogni caso, per tutti, è discriminatrice perché legata alla disponibilità di attrezzatture, di logistiche familiari e di capacità tecniche, per le quali non c’è stata alcuna preparazione significativa di lunga ed equa gittata negli anni scorsi.
Se poi, invece che di didattica, parliamo di pedagogia, che è il termine più appropriato per affrontare il tema della scuola, la situazione è ancora peggiore: a distanza non si fa pedagogia, per i ragazzi della scuola: la “pedagogia a distanza” non funziona se non per singole evenienze di brevissima portata e durata (un giorno, o al massimo una settimana).
Nello stesso tempo, sospendere la scuola è la peggiore cosa che si possa fare, subito dopo la pessima fra tutte, che è sospendere il lavoro. Come chiudere la vita, come chiudere il paese.
Allora? Allora il lavoro e la scuola vanno tenuti aperti. Ma come si fa? Oggi ci limitiamo a tornare sul tema della scuola (da anni, e ben prima della presente pandemia, andiamo trattando anche di come si fa a non chiudere il lavoro: e riprenderemo presto l’argomento). Come si fa, dunque, a non chiudere la scuola? I “banchi con le rotelle” sono l’emblema della scipitaggine estrema cui la mente priva di esperienza ma ricca di saccenza, priva di cultura ma ricca di superficialità, giunge ormai fra i politici anche più titolati (ma non solo fra i politici). E’ ovvio che non è affatto questa brillantezza superficiale di idee che consente di affrontare la serissima problematica della scuola (a parte la considerazione di costi, sprechi e affari non trasparenti collegati con simili ideuzze).
La scuola va tenuta aperta, dunque; ma perché funzioni bene senza cadere preda del carognavirus, l’orario di ingresso va scaglionato per singole classi e dunque l’orario complessivo di apertura della scuola va allungato; l’orario di presenza della singola classe va ridotto a non oltre due ore (più che adeguate per ogni didattica e per ogni pedagogia anche in tempi ordinari); ogni gruppo classe va a sua volta affidato a un solo insegnante che accompagna i ragazzi nello studio di tutte le materie; e ogni gruppo classe, specialmente nelle classi inferiori, data la istintiva e difficilmente controllabile spinta dei piccoli a non tener conto del necessario distanziamento fisico (fisico, balordini di politici e giornalisti che siete: fisico, non sociale!!), ogni gruppo, dicevo, va ulteriormente diviso non soltanto in sottogruppi più piccoli e controllabili, anche soltanto di cinque o sei persone, ma se occorre anche in tanti individui singoli per altrettanti incontri personalizzati di docenza: dentro la scuola, però, non a casa!
Ed è del tutto inaccettabile che si obietti sulla non preparazione degli insegnanti a guidare un ragazzo in tutte le materie: come si potrà pretendere infatti che il ragazzo diventi sufficientemente bravo in tutte le materie dando per scontato che il medesimo obiettivo è proibitivo per l’insegnante?! Ogni insegnante è particolarmente bravo in una materia ma è sufficientemente bravo in tutte, tanto quanto basti ad essere guida dei ragazzi per questo obiettivo: per definizione, altrimenti non è un insegnante!
E naturalmente un simile adeguamento della organizzazione pedagogica e didattica esige che gli insegnanti si coordinino fra loro sui singoli ragazzi, e conseguentemente che il capo di istituto (preside o direttore didattico) sia effettivamente un “capo” di istituto, cioè un responsabile che curi effettivamente coordinamento e aggiornamento permanente dei docenti; ed esige che i livelli superiori di regione e di ministero sostengano tutto questo lavoro (sostengano, e smettano di sfornare circolari con la frequenza e la mentalità dei dpcm!).
La realtà si affronta allontanandocisi il meno possibile da essa e governandola per quello che è, non travisandola e creando realtà diverse. Solo in questo modo si può avere un anno scolastico eccezionale per difficoltà ma tutto sommato di normale efficacia, e forse anche di accresciuta efficacia formativa sulla coscienza dei ragazzi. Che è obiettivo essenziale, altrimenti si rischia di perdere un anno di formazione per una intera generazione e per il paese, con danni gravi e in qualche misura anche irreparabili. Non è lecito, con la scuola, giocare a rimpiattino né politico né professionale.
(Giuseppe Ecca)
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