Democrazia Comunitaria

QUALE RINNOVATO UMANESIMO SOCIALE PER L'ITALIA CHE RIPRENDE?

La evidenza e la forza dei problemi posti in luce dalla pandemia di coronavirus in corso sottolineano per l’Italia (ma sostanzialmente anche per tutti i paesi del mondo) tre priorità e urgenze strategiche ai fini di una ripresa che non sia effimera e che, nello stesso tempo, sia socialmente equa.
La prima priorità e urgenza è quella di restituire al Paese una politica alta ed organica, con impostazione valoriale fondata realmente sulla Costituzione e sui suoi principi, segnatamente sulla sua Prima Parte, finora o parzialmente inapplicata o parzialmente distorta da una legislazione, e ancor più da una normazione attuativa, prive di luce e di coerenza.
Tale politica alta fa oggi drammaticamente appello a tutti i cittadini di buona volontà, e nella coscienza di Democrazia Comunitaria fa appello soprattutto al senso di responsabilità dei cattolici, affinchè, questi ultimi in particolare, sappiano superare l’attuale frammentazione patologica e sterile di atteggiamenti e comportamenti, e trovare nelle loro energie storiche, culturali e spirituali, la forza di offrire all’Italia, in concreto, un nuovo partito politico nazionale in grado di riprendere organicamente e attivamente il pensiero, il programma e lo stile che furono dei De Gasperi, Dossetti, La Pira, Olivetti, Mattei, Tina Anselmi, Moro e gli altri grandi padri anche non cattolici della nostra esperienza democratica, da Einaudi a Pertini a Calamandrei e, ancora, a tanti altri. Superando, essi cattolici, non soltanto l’attuale infertile frammentazione ma anche la frequente incultura per la quale prevale inavvertitamente nella loro iniziativa, di fatto, la critica alle insufficienze altrui piuttosto che la tensione ai concreti doveri propri, compresa la esigenza di una coraggiosa e responsabile autodisciplina di organizzazione nel campo dell’azione politica e sociale per il bene del Paese.
Occorre al Paese, ed al movimento cattolico in modo specifico, un nuovo partito che sappia dare altissima testimonianza in materia di democrazia interna, di pluralismo, di cultura delle regole, di dedizione al servizio della comunità, di etica della responsabilità individuale e collettiva, di alto senso dello Stato unito armonicamente ad alto senso delle autonomie al servizio della sussidiarietà e intorno al valore delle persone e della comunità a partire dalla famiglia. Un partito fondato comunque su persone, sempre titolari finali di ogni diritto e di ogni dovere, non su realtà organizzate portatrici di interessi di tipo direttamente o indirettamente lobbistico.
La seconda priorità e urgenza è quella di oltrepassare con franchezza il drammatico Rubicone dell’economia e del lavoro, caratteristico di questi ultimi quarant’anni di parziale democrazia e di piena libertà di mercato, e decidere definitivamente e coraggiosamente la transizione verso l’impresa partecipativa e l’economia solidale: introducendo il criterio generale della cointeressenza istituzionale di tutti gli operatori, e segnatamente dei lavoratori dipendenti, nei risultati d’impresa, e tenendo presente che anche lo Stato è, in questo senso, impresa: impresa di tutti i cittadini. Olivetti, Ferrero, la Economia di Comunione, il primo Eni di Enrico Mattei, l’attuale Loccioni, e molte altre realtà, possono costituire esempi significativi di riferimento per sviluppare tale politica economica di efficienza permanentemente collegata a equità.
Nell’attuale contingenza particolare di pandemia, inoltre, DemocraziaComunitaria ritiene molto più importante liberare e sostenere il lavoro che non seminare fra imprese e cittadini finanziamenti a fondo perduto con pura logica e psicologia assistenziale.
In questo spirito di rinnovamento i due principali provvedimenti da assumere quale stile di governo sono da un lato la effettiva e materiale semplificazione della burocrazia compreso lo snellimento dell’apparato statuale e regionale (ogni normativa semplificata per liberare il lavoro e la vita dei cittadini vale, anche in termini di potenziale economico, più di una erogazione finanziaria a fondo perduto) e dall’altro la finalizzazione dei sostegni finanziari soltanto ai concreti e verificati investimenti in ripresa e sviluppo di ogni singola impresa, quali sono non solo macchinari e tecnologie ma anche spazi e organizzazione del lavoro innovativi atti a consentire  stabilmente un distanziamento e rallentamento nei ritmi dell’ormai becero e antiumano produttivismo meccanicistico da massimo profitto, per transitare a una moderna produttività di benessere diffuso e integrale: che non è nemico del profitto ma è, al contrario, suo esaltatore di stabilità e qualità totale. Il lavorare meno per lavorare tutti presenta in questo quadro la sua massima attualità, insieme con la transizione tendenziale alla settimana lavorative di quattro giorni ed alla giornata lavorativa di sei ore, mentre va posto drasticamente fine, per converso, all’immorale concetto di reddito di cittadinanza, da sostituire con il reddito da lavoro collegato con il diritto soggettivo ed  effettivo, e l’altrettale dovere, al lavoro stesso.
La terza priorità e urgenza è costituita dalla restituzione ai sistemi formativi del paese, a tutti i livelli, di un approccio profondamente umanistico e di pedagogia integrata e integrale per la comunità e per la persona lungo tutto l’arco della vita di questa.
Gli attuali sistemi formativi si caratterizzano essenzialmente e negativamente, dalla scuola elementare all’università ed alle tipologie variamente manageriali, politiche, sindacali, professionali, aziendali, etc., come una incoerente galassia ricca di nozioni e povera di pensiero, e spesso ancor più povera di consistenze valoriali, finendo per immiserire la caratura sociale della comunità e l’autorealizzazione compiuta delle persone.
Un cammino di ripresa credibile e sollecito in tale spirito può venire indicato, ad esempio, dal recente studio “Il sentiero stretto: formazione è un’altra cosa”, che delinea appunto i criteri irrinunciabili per un’alta e diffusa ripresa della centralità della questione pedagogica nel nostro paese, facendo riferimento sia alle generali esperienze degli ultimi cinquant’anni nel mondo sia alle migliori testimonianze educative della nostra storia, da Giovanni Bosco a Lorenzo Milani, da Maria Montessori a Piero Calamandrei, da Carlo Carretto a Vittorio Bachelet.
Vogliamo una Italia realmente democratica e realmente pluralista, realmente valoriale e realmente solidale, realmente protagonista e realmente al servizio “di tutto l’uomo e di tutti gli uomini”. E intendiamo doverosamente assumerci in questa impresa anche la nostra personale e collettiva responsabilità.

Roma, 16 maggio 2020.
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MM


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