Il diritto al lavoro. Diritto, non facoltà, non legittima aspettativa. Diritto e anche dovere. Così fondamentali che la costituzioe italiana fonda su di essi la repubblica e la sua vita. I padri costituenti avevano ben presente questo valore della impostazione costituzionale. Eppure, dopo oltre settant'anni di vita costituzionale, questo principio resta inattuato e tutti i governi di fatto continuano a muoversi come se si trattasse soltanto di fare una politica più incentivante o meno incentivante in materia di occuapzione. Noi torniamo a dire dell'assurdità morale e tecnica di tale inattuazione. L'articolo che qui pubblichiamo risale al 2017 e fu scritto per essere pubblicato in altra sede e in diverso contesto, ma mantiene del tutto intatta la sua validità. E lo riproponiamo.
A volte mi hanno replicato: “Questa è una tua fisima di cattolico sociale”. Ma io osservo facilmente che parole sostanzialmente uguali alle mie sono state usate, ad esempio, dal grande padre costituente Piero Calamandrei, che non era né cattolico né “democristiano” come me, ma laico e socialdemocratico; e ricordo il grande Federico Caffè con la sua teoria dello Stato come “occupatore di ultima istanza”: non era cattolico né democristiano, neanche lui; e ricordo, soprattutto, che il grandissimo industriale (quindi non operaio, non “lavoratore qualunque”, e neppure cattolico ma ebreo) Adriano Olivetti, diceva che il vertice dell’azienda, cioè egli stesso, era giusto che non guadagnasse più di cinque volte il suo dipendente operaio. Cinque volte… Lo corresse l’allora amministratore delegato della Fiat, Valletta, il quale sostenne che sarebbe stato più giusto un divario da uno a dieci. Sarei d’accordissimo! Anche da uno a venti! Ma pensate agli amministratori delegati e presidenti di grandi aziende pubbliche e private tipo Fiat, Finmeccanica, o grandi banche, che pongono fra sé e il loro operaio un divario di uno a diverse centinaia di volte! Come possono mai capirsi ed avere la stessa idea dello sviluppo umano e sociale, della giustizia, delle opportunità, della democrazia, l’amministratore delegato della Fiat (con rispetto per le sue probabili generiche buone intenzioni) e il suo operaio della stessa Fiat? Un ragionamento del tutto analogo a quello dei citati Calamandrei o Caffè lo faceva, in altro contesto, il grande economista Francesco Forte, docente all’Università di Torino, e, anche lui, non cattolico né democristiano, ma laico e socialista, quando parlando d’impresa spiegava la saggezza lungimirante del criterio del “profitto fino a un certo limite”.
Ma noi, in concreto, cosa possiamo fare? Beh, intanto cominciamo a… non far finta che non possiamo farci nulla. Fra i tanti uffici, forse non tutti indispensabili allo stesso modo, di cui ogni comune e ogni regione, oltre allo Stato, sono dotati, c’è senz’altro ampio spazio, senza spendere neppure un centesimo, per un ufficio che si occupi a tempo pieno di ricercare davvero, e far attivamente incontrare, nel rispettivo territorio, tutte le offerte di lavoro e tutte le domande di lavoro: il primo passo è conoscere le opportunità e guardarsi in faccia, fra domandante e offerente. Poi, a seguire, si apprende la seconda fase del cammino: quella del “costruire” lavoro. Mai, comunque, restare con le mani in mano: che è un triste spettacolo cui ci fanno assistere troppi comuni e regioni e lo stesso Stato con l’insipiente scusa del “non ci sono soldi” o accontentandosi di costruire qualche condizione che “favorisca” il sorgere di occupazione. Nelle economie capaci di sviluppo si osserva costantemente, fra l’altro, che il lavoro non nasce dalla previa disponibilità di “molti” soldi ma sono questi a venir generati dalla capacità di mettere in movimento talenti e risorse presenti nella comunità. Esperienze vissute non a migliaia, ma a decine di migliaia.
La trasformiamo in slogan? Eccovelo: “Dividendo si moltiplica!”.
Non è la formula adottata dalla Fiat, che è azienda privata, ma non è neppure la formula adottata dalla Rai, che è azienda pubblica, quando ha offerto il suo contratto milionario a Fabio Fazio: a parte la valutazione dei contenuti culturali offerti dalla trasmissione di Fabio Fazio, che sono nella ragionevole e a volte discutibile media delle cose fatte dalla Rai, l’unico criterio usato è stato, a quanto si è potuto capire, quello della “audience” e del timore che la concorrenza scippasse il personaggio: ancora una volta. Ho sempre suggerito che, se il problema è l’”audience”, tanto varrebbe aprire in Rai una organizzatissima casa-mercato d’appuntamenti galanti, che certamente avrebbe successo strepitoso di “audience”. Che se invece il criterio è, come deve essere, quello per il quale formalmente la legge ci chiede di pagare un canone, cioè la informazione e formazione culturale dei cittadini, di cui lo Stato è custode, beh…. con il contratto offerto a Fazio si sarebbe potuto realizzare il diritto al lavoro per tante decine di cittadini italiani che non lo hanno, senza perdere nulla, ma davvero nulla, della qualità dei programmi Rai: anzi… Lo Stato, insomma, usa il criterio opposto a quello da noi suggerito: Moltiplicando (gli emolumenti) si divide (la giustizia distributiva).
E il nostro paese resta purtroppo drammaticamente diviso.
Giuseppe Ecca
(Testo originale del 2017)
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Molti anni orsono, predisponendo un grande convegno sindacale sui problemi del lavoro, e incaricato di coniare uno slogan, mi era venuto in mente un concetto del quale tuttora sono convintissimo; diceva: Diritto al lavoro “è” diritto alla vita. Era un modo diverso di ripetere che il diritto al lavoro è un diritto assoluto di ogni persona in quanto senza l’attuazione di questo diritto la persona perde la sua dignità e nessun altro discorso di democrazia e di sviluppo può essere fatto. E continuavo affermando che oggi è ampiamente dimostrato come l’attuazione di questo diritto è del tutto possibile e addirittura facile, se si parte dal concetto di redistribuire davvero le opportunità di occupazione e la ricchezza. E’ dimostrato da esempi concreti in paesi concreti, oltre che dalla semplice razionale analisi dei dati della economia.A volte mi hanno replicato: “Questa è una tua fisima di cattolico sociale”. Ma io osservo facilmente che parole sostanzialmente uguali alle mie sono state usate, ad esempio, dal grande padre costituente Piero Calamandrei, che non era né cattolico né “democristiano” come me, ma laico e socialdemocratico; e ricordo il grande Federico Caffè con la sua teoria dello Stato come “occupatore di ultima istanza”: non era cattolico né democristiano, neanche lui; e ricordo, soprattutto, che il grandissimo industriale (quindi non operaio, non “lavoratore qualunque”, e neppure cattolico ma ebreo) Adriano Olivetti, diceva che il vertice dell’azienda, cioè egli stesso, era giusto che non guadagnasse più di cinque volte il suo dipendente operaio. Cinque volte… Lo corresse l’allora amministratore delegato della Fiat, Valletta, il quale sostenne che sarebbe stato più giusto un divario da uno a dieci. Sarei d’accordissimo! Anche da uno a venti! Ma pensate agli amministratori delegati e presidenti di grandi aziende pubbliche e private tipo Fiat, Finmeccanica, o grandi banche, che pongono fra sé e il loro operaio un divario di uno a diverse centinaia di volte! Come possono mai capirsi ed avere la stessa idea dello sviluppo umano e sociale, della giustizia, delle opportunità, della democrazia, l’amministratore delegato della Fiat (con rispetto per le sue probabili generiche buone intenzioni) e il suo operaio della stessa Fiat? Un ragionamento del tutto analogo a quello dei citati Calamandrei o Caffè lo faceva, in altro contesto, il grande economista Francesco Forte, docente all’Università di Torino, e, anche lui, non cattolico né democristiano, ma laico e socialista, quando parlando d’impresa spiegava la saggezza lungimirante del criterio del “profitto fino a un certo limite”.
Ma noi, in concreto, cosa possiamo fare? Beh, intanto cominciamo a… non far finta che non possiamo farci nulla. Fra i tanti uffici, forse non tutti indispensabili allo stesso modo, di cui ogni comune e ogni regione, oltre allo Stato, sono dotati, c’è senz’altro ampio spazio, senza spendere neppure un centesimo, per un ufficio che si occupi a tempo pieno di ricercare davvero, e far attivamente incontrare, nel rispettivo territorio, tutte le offerte di lavoro e tutte le domande di lavoro: il primo passo è conoscere le opportunità e guardarsi in faccia, fra domandante e offerente. Poi, a seguire, si apprende la seconda fase del cammino: quella del “costruire” lavoro. Mai, comunque, restare con le mani in mano: che è un triste spettacolo cui ci fanno assistere troppi comuni e regioni e lo stesso Stato con l’insipiente scusa del “non ci sono soldi” o accontentandosi di costruire qualche condizione che “favorisca” il sorgere di occupazione. Nelle economie capaci di sviluppo si osserva costantemente, fra l’altro, che il lavoro non nasce dalla previa disponibilità di “molti” soldi ma sono questi a venir generati dalla capacità di mettere in movimento talenti e risorse presenti nella comunità. Esperienze vissute non a migliaia, ma a decine di migliaia.
La trasformiamo in slogan? Eccovelo: “Dividendo si moltiplica!”.
Non è la formula adottata dalla Fiat, che è azienda privata, ma non è neppure la formula adottata dalla Rai, che è azienda pubblica, quando ha offerto il suo contratto milionario a Fabio Fazio: a parte la valutazione dei contenuti culturali offerti dalla trasmissione di Fabio Fazio, che sono nella ragionevole e a volte discutibile media delle cose fatte dalla Rai, l’unico criterio usato è stato, a quanto si è potuto capire, quello della “audience” e del timore che la concorrenza scippasse il personaggio: ancora una volta. Ho sempre suggerito che, se il problema è l’”audience”, tanto varrebbe aprire in Rai una organizzatissima casa-mercato d’appuntamenti galanti, che certamente avrebbe successo strepitoso di “audience”. Che se invece il criterio è, come deve essere, quello per il quale formalmente la legge ci chiede di pagare un canone, cioè la informazione e formazione culturale dei cittadini, di cui lo Stato è custode, beh…. con il contratto offerto a Fazio si sarebbe potuto realizzare il diritto al lavoro per tante decine di cittadini italiani che non lo hanno, senza perdere nulla, ma davvero nulla, della qualità dei programmi Rai: anzi… Lo Stato, insomma, usa il criterio opposto a quello da noi suggerito: Moltiplicando (gli emolumenti) si divide (la giustizia distributiva).
E il nostro paese resta purtroppo drammaticamente diviso.
Giuseppe Ecca
(Testo originale del 2017)
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