Esperienze

CAMMINARE... NON STANCA

Ma ci pensiamo? Camminare, mangiare, respirare… Ciascuna di queste semplicissime dimensioni della nostra vita quotidiana costituisce un immenso miracolo permanente, la cui misteriosità dovrebbe continuamente lasciarci pieni di stupore, di gratitudine, di meditazione sul senso più profondo della vita e del suo dono.
 

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Sto in piedi, cammino.
 
A disegnare un uomo ci metto un minuto: un cerchietto, un rettangolino, due zeppetti per gambe, due trattini a fianco per braccia. Fatto. Tutto in verticale.
 
Un uomo, un uomo in piedi: ci pensi, che prodigio, stare in piedi? La pianta del piede, trenta- quaranta centimetri che reggono 80 e più chili.
 
Me ne rendo conto solo quando mi fanno male le ginocchia, quando ho il colpo della strega,  quando mi viene la sciatica. Solo allora mi accorgo che reggermi e muovermi da solo e allungare il passo è una fortuna e una grazia.
 
Un paio d'anni ci mette il cervello a maturare la zona dell'equilibrio: prima la regione del truncus poi il cervelletto poi il sistema vestibolare e, a completare tutto, certe zone della corteccia. Da quel momento so dove mi trovo, so da dove vengo, so dove vado. Intanto mi reggo in piedi e mi oriento, poi metterò un piede dietro l'altro, poi camminerò: ma la cosa più difficile è stare dritto. E sarà sempre la più faticosa. Un bambino, i primi anni corre, si agita sempre, non sta fermo un minuto,  non lo tieni a tavola perché non ce la fa: il suo sistema nervoso è immaturo, stare in equilibrio a lungo (in piedi o seduto) gli è impossibile. Ancora, per me in bicicletta sto in equilibrio solo se pedalo. Non sono un trapezista o un atleta, tanto meno una ballerina che volteggia, beata lei, sulle punte. Fare la fila mi riuscirà sempre più faticoso che un chilometro a piedi.
 
E questo, che ti sembra un ripasso di ortopedia, è invece una contemplazione. Certe volte mi fermo e guardo i tre nipotini: il primo disteso in culla, il secondo già gattona, il terzo barcolla, corricchia,  casca e si rialza da solo. In miniatura, l'evoluzione della nostra specie. E tenersi eretto su due piedi e non curvo su quattro zampe mi dà subito un orizzonte, mi fa allungare lo sguardo, mi fa organizzare lo spazio e il tempo.
 
Insomma, stare sulle gambe: da ringraziare Iddio a mani giunte.
 
Poi mi metto paura e immagino quando non ce la farò più e mi dovranno accompagnare e sostenere
sottobraccio e farmi tutto. Oggi ancora posso da solo, decido io, vado, non vado, mi chiudo in casa,
faccio una corsa al supermercato. Un istante e sto per strada: la metafora della mia libertà; e quando penso strada dico vita, quella che mi scelgo io e so io dove arrivare e nessuno me lo può imporre. Perché… Perché la strada che faccio a piedi tutti i giorni avanti e indietro mi riempie la testa di tanti pensieri. Tu pensa che sarei io oggi se non avessi scelto una strada mia, se non avessi seguito un sentiero mio, se avessi dovuto star dietro passo passo a qualcun altro, plagiato e schiavo della volontà di un altro. Invece a un certo punto ho detto signori io vi saluto, scendo, svolto e me ne vado per conto mio. Ne avevo le forze, dritto in piedi ci stavo, i mezzi per fare avanti e indietro li avevo. E la mia strada che porta a te… era la nostra ballata di tanti anni fa, col vento in poppa degli
anni giovanili.
 
S'infilano qui le belle pagine che abbiamo letto tante volte: i percorsi dei maestri della vita spirituale
oppure i poemi quasi disperati dei poeti laici. Beh, qualche riga del Canto del pastore errante di
Leopardi me la ricordo ancora ma il finale di Meriggiare pallido e assorto di Montale te lo trascrivo perché è troppo bello:
e andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
come tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare di muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
 
Strade dure, strade accidentate, strade in salita, strade col fiatone, col magone, fermandomi mille volte, farò bene farò male, perché tu sai cos’è restare in mezzo a una strada e ti senti abbandonato e non sai se andare di qua oppure prendere per laggiù.
 
Eh sì: camminare significa tante cose; e se non hai uno scopo e un traguardo vero tutto quel
camminare diventa una disperazione. Andare tanto per andare, camminare alla cieca, sbandare: ti
viene la tentazione di mandare tutto al diavolo e buttarti per terra e dire “basta, ho sbagliato strada,  ho imboccato un sentiero che non era il mio e, alla fine, che ne ho avuto...”.
 
Invece, anche se al buio e anche se in salita, una fiammella i maestri della vita spirituale, in testa, ce
l'hanno sempre, e un calore lo conservano sempre nell'anima, e quella tua macchinetta, che secondo
te solo allo sfascio dovresti portarla, loro ti dicono ma no, ma che dici, vieni qua, mettiamoci le mani, proviamo a darle un'aggiustatina, vedrai che ci cammini ancora. Insomma, piano piano pure io mi oriento, metto la freccia, ingrano le marce e ci provo ancora, a camminare, proprio come Giovanni della Croce che cerca di prendere di petto il suo immaginario monte Carmelo. Come?
Ecco, t'infili in macchina e ti fai il giro, di notte, nientemeno, che del grande raccordo anulare di
Roma, e a un certo punto ti metti a seguire le ambulanze con la sirena che strilla e ogni tanti ti fermi da una parte e dai un'occhiata a quello che è successo e alla fine dici mamma mia e te ne torni a casa. Ma che stupido a lamentarmi di tante cose invece di ringraziare Dio che ci ho ancora la buona salute e posso ancora camminare.
 
Ma camminare non è sempre così serio e duro. Quando camminare è invece un piacere...
 
E dai, facciamo due passi, tanto per muoverci, passeggiare, divertirci con lo struscio della domenica e un'occhiata alle vetrine, approfitto dei saldi, vuoi un caffè, ci sediamo, pronto, sì, certo, veniamo (dice che ha sotto mano una pizzeria che è un amore), ok, alle otto e mezzo, perfetto, veniamo, ciao. Lo vedi quanti regali la vita… e mi viene una fitta allo stomaco per impormi un grazie che non spunta mai da solo.
 
Non ti dico le foto di capodanno, ma davvero quello sono io: oh Dio, che ballo, volteggio, tango,  polka, qualche rock un po' sbilenco, un po' così, ma che importa, ma che ridere, ma che divertimento, che spasso, che allegria, e chi se le scorda quelle ore... “Tic tac”… fermi con i tappi dello spumante,  ancora non è mezzanotte. Abbracci, baci, e poi brindisi, in alto i calici e vieni,  balliamo il valzer del Gattopardo.
 
Il mappamondo non si ferma mai, gli do una giratina e plaf si ferma in America e resto col dito
puntato lì e ora papà ti fa vedere dove andremo l'estate prossima. Guarda da qui a qui: aereo a
Fiumicino e via sull'azzurro dell'Atlantico fino qui, a New York: guarda i grattacieli, la statua della
Libertà, il Central Park. I viaggi. I viaggi che solo a immaginarli ti faranno galleggiare in un sogno.
Vieni a papà, decidiamo insieme, prenotiamo, clic, ecco il volo, ecco qua l'albergo e se vogliamo
strafare pure i traghetti al largo di Manhattan. Pensa la felicità: per lui è il primo viaggio.
 
Ora però smetto, mi vengono le lacrime agli occhi. Per tanta grazia.
 
                                                                                                    (Viscardo Lauro)
 


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