Il computer aziendale è un bene, appunto, “aziendale”: va usato per il lavoro aziendale. Ed è diritto dell’azienda verificare, a certe condizioni, che così effettivamente avvenga. Manuela Lupi spiega e commenta una interessante sentenza della Corte di Cassazione.
Con sentenza n. 13.266 del 2018, la Corte di Cassazione ha precisato che il controllo datoriale, attraverso un’indagine retrospettiva di carattere informatico sull’utilizzo del computer fornito in dotazione al dipendente, non viola la normativa sui controlli a distanza con la quale l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori tutela i lavoratori stessi.
In particolare, non rientrano nel campo di tutela dello Statuto dei lavoratori le verifiche effettuate dal datore di lavoro tramite il tracciamento informatico, quando siano dirette ad accertare comportamenti illeciti del dipendente che determinino un effetto lesivo sul patrimonio aziendale e sull’immagine dell’impresa. Ne consegue che i dati raccolti in un’indagine sull’utilizzo del computer da parte del dipendente possono essere validamente posti a fondamento di un licenziamento disciplinare.
Il caso de quo riguardava un lavoratore sorpreso dal direttore tecnico dell’impresa ad utilizzare il computer per finalità ludiche, così che la società aveva effettuato un’indagine retrospettiva sulle attività che il dipendente aveva svolto anche nelle settimane precedenti avvalendosi dello stesso computer. Poiché i riscontri avevano consentito di appurare un ampio ricorso al computer per giocare, il dipendente veniva sottoposto a contestazione disciplinare sfociata nel licenziamento
Al licenziamento il lavoratore si era opposto sul presupposto che i riscontri erano intervenuti in aperta violazione della disciplina che impone un previo accordo sindacale o, in difetto di questo, l’autorizzazione dell’Ispettorato.
La Cassazione ha escluso che la raccolta dei dati da parte dell’azienda sia avvenuta in violazione dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, in quanto il monitoraggio non riguardava l’esatto adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di lavoro bensì la tutela di beni estranei al contratto di lavoro in sé.
Il necessario bilanciamento tra l’esigenza datoriale di proteggere gli interessi e i beni aziendali, e le tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, comporta che l’uso degli strumenti di controllo avvenga in base a principi di ragionevolezza e proporzionalità, essendo necessario che il lavoratore sia stato previamente informato dal datore del possibile controllo delle sue comunicazioni. Ne consegue che, se i dati personali dei dipendenti relativi alla navigazione in internet, alla posta elettronica o alle utenze telefoniche da essi chiamate, sono estratti con lo scopo di tutelare beni estranei al rapporto di lavoro, tra cui rientrano il patrimonio e l’immagine aziendali, i dati acquisiti possono essere legittimamente utilizzati in funzione disciplinare contro il lavoratore.
(Manuela Lupi)
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Con sentenza n. 13.266 del 2018, la Corte di Cassazione ha precisato che il controllo datoriale, attraverso un’indagine retrospettiva di carattere informatico sull’utilizzo del computer fornito in dotazione al dipendente, non viola la normativa sui controlli a distanza con la quale l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori tutela i lavoratori stessi.
In particolare, non rientrano nel campo di tutela dello Statuto dei lavoratori le verifiche effettuate dal datore di lavoro tramite il tracciamento informatico, quando siano dirette ad accertare comportamenti illeciti del dipendente che determinino un effetto lesivo sul patrimonio aziendale e sull’immagine dell’impresa. Ne consegue che i dati raccolti in un’indagine sull’utilizzo del computer da parte del dipendente possono essere validamente posti a fondamento di un licenziamento disciplinare.
Il caso de quo riguardava un lavoratore sorpreso dal direttore tecnico dell’impresa ad utilizzare il computer per finalità ludiche, così che la società aveva effettuato un’indagine retrospettiva sulle attività che il dipendente aveva svolto anche nelle settimane precedenti avvalendosi dello stesso computer. Poiché i riscontri avevano consentito di appurare un ampio ricorso al computer per giocare, il dipendente veniva sottoposto a contestazione disciplinare sfociata nel licenziamento
Al licenziamento il lavoratore si era opposto sul presupposto che i riscontri erano intervenuti in aperta violazione della disciplina che impone un previo accordo sindacale o, in difetto di questo, l’autorizzazione dell’Ispettorato.
La Cassazione ha escluso che la raccolta dei dati da parte dell’azienda sia avvenuta in violazione dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, in quanto il monitoraggio non riguardava l’esatto adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di lavoro bensì la tutela di beni estranei al contratto di lavoro in sé.
Il necessario bilanciamento tra l’esigenza datoriale di proteggere gli interessi e i beni aziendali, e le tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, comporta che l’uso degli strumenti di controllo avvenga in base a principi di ragionevolezza e proporzionalità, essendo necessario che il lavoratore sia stato previamente informato dal datore del possibile controllo delle sue comunicazioni. Ne consegue che, se i dati personali dei dipendenti relativi alla navigazione in internet, alla posta elettronica o alle utenze telefoniche da essi chiamate, sono estratti con lo scopo di tutelare beni estranei al rapporto di lavoro, tra cui rientrano il patrimonio e l’immagine aziendali, i dati acquisiti possono essere legittimamente utilizzati in funzione disciplinare contro il lavoratore.
(Manuela Lupi)
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