Antologia

A ME GLI OCCHI... IL REGALO PERFETTO

La vita quotidiana, i suoi doni, le sue opportunità… Ma ci pensiamo davvero, almeno qualche volta?
Ad esempio gli occhi, i nostri occhi: il nostro sguardo, e attraverso di esso il nostro pensiero e la nostra anima, verso l’infinito, a dominare il creato regalatoci per essere contemplato e conquistato…
Piccola meditazione per la consapevolezza, scritta da Lauro Viscardo, sempre acutissimo. La pubblichiamo per la rubrica Antologia, perché il suo testo apparve già qualche anno fa nella versione di Studisociali inviata per posta elettronica, e ci sembra utile riproporlo.
 

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Chiudi gli occhi un momento ...
Ora dai, aprili ...
Un attimo, ecco, li sgrano:
Oh... oh, Dio, ma è mia, proprio mia questa meraviglia:
ma è vero? Ma no, ma non ci posso credere…
Gli occhi.
 
Oggi ti parlerò degli occhi, il regalo perfetto.
Veggenti e visionari lo siamo un pò tutti
senza bisogno di stare nelle favole e nelle apocalissi.
Perché la vita stessa è un poema che mi scorre davanti
e all'improvviso si arrampica e mi penetra dai sensi
e guai a farmela sfuggire.
 
Ma per averla e per gustarla ho bisogno degli occhi
non importa se di materia o di spirito
non importa se veri o immaginari
non importa se umani o divini
non importa se di carne o con i tasti del Braille.
Vedo, e tutto l'universo mi scivola dentro.
E però non come se dicessi “io sto di qua e il mondo di là”:
no, no: è il contrario, sono proprio io che me lo prendo,
io che me lo ingoio, io che me lo digerisco,
il mondo, la vita e tutto.
Cogli occhi.
 
E cosa sono gli occhi? Che gioiello ci portiamo in fronte?
A dirla facile,
gli occhi sono un pezzo di cervello che sbuca da due finestre.
Il sistema nervoso centrale, sempre così nascosto
misterioso, geloso, sotterraneo e sfuggente
a un certo punto si tira fuori, si affaccia, si mette in mostra
e sono gli occhi.
Resti a bocca aperta appena te lo studi, pezzo a pezzo.
L'occhio: foglietti uno sull'altro, cellule a prisma, a bastoncino, a spirale
una diversa dall'altra, una incastrata all'altra
bianco, nero, colori, e, subito dietro, i serbatoi d'acqua
e tutto è lubrificato e scorrevole, lenti e pellicole, nervi e muscoli,
miscele chimiche e proiezioni che s'incrociano, si specchiano
vanno a testa in giù e alla fine sbattono sullo schermo,
laggiù, al fondo della testa, proprio come al cinema.
 
Insomma, una perfezione che neanche riesco a dirtela;
e però, studiando,  studiando, e imitando, e copiando…
nasce la foto, e poi il film, e poi il video.
Capisci che roba?
Dimmi tu se vedere non è proprio il regalo definitivo.
E luce fu, come nella creazione.
 

Averceli, gli occhi buoni
(anche con un bel po' di diottrie in meno mi contento)
ci ho davvero l'universo sotto mano.
Che stai leggendo di questi tempi, che film t'è piaciuto ultimamente,
non mi dire che ti sei perso il festival.
Teatro, cinema, libri, paesi, mari, montagne, un paradiso, una giostra,
una mostra che non finisce mai.
Fisso, contemplo, ci vado a vivere in mezzo,
e gli occhi che non si riposano mai.
Sì, hai ragione, la sera mi ci sguercio sui libri, me l'ha detto pure l'oculista e… che vuoi, quando comincio non la smetto più.
 
E poi c'è uso e uso degli occhi.
Aspetta, gli dò un occhiata, un colpo d'occhio e ti dico,
vengo subito, ci prendiamo un caffè di corsa.
No, caro: tu mi devi guardare bene,
ho bisogno di leggertelo negli occhi se mi dici la verità,
per me è importante fissarci a lungo se è vero che ci capiamo
 e se è vero che ancora ci amiamo.
Allora apro gli occhi perbene, mi fermo, mi calmo, ti guardo,
ti contemplo e non la smetto più:
è il primo, secondo, terzo, infinito atto di amore.
Bastano gli occhi.
Te lo leggo negli occhi, te lo leggo nel cuore,
come nella bella canzone di Battiato.
Senza occhi, senza sguardi, senza ammiccamenti divertenti,
non c'è intesa, non c'è fiducia, non esiste accordo.
Tutto è possibile se lo sguardo è chiaro, è leale, è complice,
è innamorato.
 
Rileggo il capolavoro di Josè Saramago Cecità e tremo tutto:
un'intera città e alla fine tutti, proprio tutti, uno appresso all'altro,
brancolano, si oscurano e piano piano non vedono più niente.
Buio,  scuro, zero.
E le strade che sfumano e i volti che si sciolgono
 e il sole che è un disco vuoto e tutti che si fanno nemici
e si odiano e si combattono,
e un manto infernale copre l'intera città.
 
Sfoglio l'ultima pagina e sospiro e non mi escono preghiere e parole:
alzo la testa e pure stamattina è una visione
e pure oggi è un'apparizione
e pure oggi sarà una rivelazione.
Che grazia.
La luce negli occhi e sono un re.
Oggi… cos'è che sarebbe oggi se non aprissi gli occhi?
Invece è una sorpresa, è un'emozione forte,
è uno schianto di felicità e non mi lascia respiro,
e io che mi do i pugni in testa: “Ma quando la smetti di lamentarti per fesserie e non ti tieni stretto questo gioiello?”.
 
Però, calma: c'è guardare e guardare.
Va’ a testa alta diceva mio padre,
non ti vergognare mai di quello che sei, non abbassare lo sguardo
di fronte a nessuno, fosse il più potente e prepotente.
La gente la devi guardare in faccia
senza che nessuno ti metta paura e ti infili nel sacco.
E non fidarti di chi ti sfugge cogli occhi mentre ci parli,
forse ha già parlato male di te o non ti sopporta.
 
Gli occhi. Gesù sembra ossessionato con la faccenda degli occhi
e prima di chiamarlo, un discepolo, lo fissa dritto negli occhi.
Lucerna del tuo corpo è il tuo occhio,
se il tuo occhio è chiaro tutto in te sarà luminoso
ma se il tuo occhio è opaco tutto in te sarà buio.
Mi appari e ci hai gli occhi sorridenti, ohé come stai, che bello dopo tanto…
e già siamo uno nelle braccia dell'altro.
Gli occhi che sorridono (e meglio se ridono) s'illuminano,
anzi sfavillano e quasi quasi vorrebbero uscire dalle orbite,
tanta è la felicità.
Ma come abbiamo fatto a stare lontani tanto tempo.
Gli occhi ridenti… e tutto cambia.
 
E fermiamoci un altro momento. Di occhi in realtà ne abbiamo due:
uno fuori e uno dentro,
ma connessi, stretti, appiccicati uno sull'altro.
Lo vedo, me ne accorgo subito se ti bolle il cervello,
se ti passa una grana e non la vuoi dire a nessuno
e ti porti un peso sullo stomaco
e hai passato una nottataccia: lo vedo subito, ti conosco,
sbatti le palpebre, i bulbi sono slavati
e torno torno rossi rossi
e forse ci hai pianto sopra, forse..
Che posso fare per te, cosa stai passando?
 
Dell'occhio di fuori te n'ho parlato e non mi basta:
è nell'occhio di dentro che tutto succede.
E ognuno lo chiama come gli pare.
Per psichiatri e neurologi si dice sistema sottocorticale,
per psicologi è psiche e inconscio,
per poeti e religiosi è anima e vita interiore.
Basta metterci d'accordo, ma il risultato è quello.
Là dietro, là dentro e là sotto, quello che ricevo da fuori io me lo organizzo,
me lo trasformo, me lo manipolo, 
e alla fine ci lavoro sopra: costruisco, creo, compongo,
come se fosse mio;
ed è mio: immagine o pensiero, fantasia o sogno,
memoria o pretesa, felicità o disperazione.
L'occhio di dentro è la mia sibilla, il mio profeta, il mio artista,
ma anche la mia voglia di vivere
o la mia depressione e la mia distruzione.
Che mondo sconosciuto, gli occhi.
 

Non è ancora tutto.
Perché quell'occhio di dentro non è detto che invecchi
e cogli anni si logori;
anzi.
Anzi… potrebbe perfino migliorare, se voglio ci lavoro,
mi ci appassiono
o semplicemente sono fortunato e pieno di grazia.
Dipende. Lo chiamerò l'occhio di fondo, tanto per capirci.
Pochi ce l'hanno, beati loro.
Sì, l'occhio di fondo è il più raro,
l'occhio magico delle radio a valvola dell'infanzia,
quando mamma diceva aspetta, si allarga, si allarga, si fa verde e...
ora è pronto e puoi girare la manopola e lui parlerà.
Se mi si aprisse l'occhio di fondo io sarei vigile, sarei teso, sarei spalancato.
E qualcuno mi direbbe vai.
È l'occhio del Buddha, l'occhio del mistico, l'occhio del genio,
l'occhio di colui che è sveglio, che è iniziato e ha le braccia aperte:
attento! attento!
Ora ti verrà sussurrato il verbo, ora ti si spalancherà il vero,
ora disegnerai il bello che col primo occhio non vedresti mai.
Dai, apri l'occhio vero
e tutto conoscerai e tutto ammirerai

e non ci saranno più segreti per te
e una vita sconfinata ti scorrerà di fronte
e tu a bocca chiusa,
inerme, istupidito, intontito, saprai.
 
La contemplazione dei mistici inizia così:
notte che non ha più tenebre,
notte che non fa paura,
notte che non dà angoscia.
Tutto segreto, tutto silenzio, tutto appartato.
Occhio di anima, non di corpo,
occhio quasi divino, occhio penetrante.
Veggente, e non importa se con religione o senza.
È nato il Veda, il Quarto Vangelo, la Sistina, la Settima, il Parsifal.
 
In quel sole accecante io brancolo: ma sono felice lo stesso.
 
                                                                                           (Lauro Viscardo)
 
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