Giancarlo Lorefice ci ha lasciati da pochi giorni. Ha lasciato il grande mondo della Cisl, della Flaei, quello storico della Democrazia Cristiana, e il mondo della umanità lavoratrice, solidale, generosa e coraggiosa. E’ stato per tutta la vita, soprattutto, un sindacalista dal cuore ardente e dall’iniziativa inarrestabile. Un coraggioso che negli anni del terrorismo in Italia, quello delle “brigaterosse” (non meritano certo la lettera maiuscola) e delle sigle neofasciste, non temeva di andare per le strade ad affiggere, anche da solo, manifesti per la democrazia, per la libertà, per l’associazionismo, per i valori umani di fratellanza e solidarietà, per un sindacalismo di lotta e di corresponsabilità partecipativa. Sapeva di rischiare. Ma non si fermava. Lo animava un senso della giustizia grande e attenta agli umili, di fronte al quale metteva da parte anche amicizie e inimicizie. Ci vedevamo, ogni tanto, per un “caffè chiacchierato”. Nelle modalità esteriori poteva apparire facilmente, e appariva a volte, un poco irruento, disordinato, talvolta eccessivo: in realtà amava la cultura, l’attenzione al prossimo, le cose fatte bene.
Lo avevo chiamato, l’ultima volta, per gli auguri di Natale e del nuovo anno, e mi aveva risposto con voce fioca:
Qualche giorno dopo mi ha raggiunto la notizia della sua morte. Di fronte alla quale so soltanto rivolgermi, oltre che a Dio per una preghiera, ai suoi amori sociali e lavoristi di sempre, la Flaei e la Cisl, e dire loro: “Cara sua famiglia prediletta di impegno sociale, non dimenticare Giancarlo e non dimenticare queste figure umili ma a loro modo straordinariamente grandi per generosità, appassionate e ardenti di ideali. Portale a esempio di come si cresce e ci si forma, raccontane la storia prima di perdere tempo con le teorie accademiche e i dibattiti televisivi”.
Giancarlo Lorefice era, insomma, l’opposto della serpeggiante tentazione di autocompiaciuta medietà che minaccia anche tanta parte del mondo delle grandi intermediazioni sociali. E quando gli ho chiesto, sarà un anno fa, come mai ancora, “vecchietto pensionato come sei”, si agitasse e si desse da fare come trent’anni fa, mi ha risposto: “Ma tu lo sai bene quali maestri e quali esempi io ho conosciuto. Anzi… ti ricordi quando, qualche anno fa, ti avevo proposto di scrivere insieme un libro su Enrico Mattei, il grande fondatore dell’Eni? Ho iniziato praticamente a lavorare con lui, e ti assicuro che erano orizzonti pieni di efficienza e umanità insieme…”.
Fra i ricordi che affiorano nella mia mente ora che lui non c’è più, mi piace segnalarne uno, di pochi anni orsono, che testimonia con particolare efficacia l’impegno antifascista (ma anche anticomunista, e antidittatura in genere) che lo animava e che riprendeva vigore anche polemico quando si riandava a ragionare delle vicende storiche del nostro paese. Un giorno mi scrisse dunque:
“Caro Giuseppe,
eccoti il link riguardante il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, l’aberrazione del regime fascista, di cui ti parlavo l’altra volta..
Oltre a quanto potrai leggere nell'intera e odiosa legge, ti segnalo la seguente, testuale parte specifica:
"Nei procedimenti pei delitti preveduti dalla presente legge si applicano le norme del Codice penale per l’esercito sulla procedura penale in tempo di guerra. Tutte le facoltà spettanti, ai termini del detto Codice, al comandante in capo, sono conferite al Ministro per la guerra".
Come se non bastasse, quanto previsto da una legge di inaudita inciviltà giuridica, la Legge 25 novembre 1926 - senza precedenti in nessuna nazione nel XX secolo - a cittadini civili, considerati meno che sudditi, viene applicata in tempo di pace la procedura penale militare prevista per l'esercito in tempo di guerra, l'obbrobrio del giudizio unico, inappellabile e non cassabile. Nemmeno nella Romania di Ceausescu si era arrivati a tanto. E la firma di tale legge era: Vittorio E. III, Mussolini e il giurista Rocco. Tre criminali.
Giancarlo”.
Era così, Giancarlo. Lo ricorderò insomma come una persona anche ruvida ma di coraggio, di solidarietà e di lealtà.
Giuseppe Ecca
MM
Lo avevo chiamato, l’ultima volta, per gli auguri di Natale e del nuovo anno, e mi aveva risposto con voce fioca:
- Sono all’ospedale, Giuseppe, con una brutta broncopolmonite….
- Guarisci bene, Giancarlo: ci aspetta uno dei nostri grandi caffè…”
Qualche giorno dopo mi ha raggiunto la notizia della sua morte. Di fronte alla quale so soltanto rivolgermi, oltre che a Dio per una preghiera, ai suoi amori sociali e lavoristi di sempre, la Flaei e la Cisl, e dire loro: “Cara sua famiglia prediletta di impegno sociale, non dimenticare Giancarlo e non dimenticare queste figure umili ma a loro modo straordinariamente grandi per generosità, appassionate e ardenti di ideali. Portale a esempio di come si cresce e ci si forma, raccontane la storia prima di perdere tempo con le teorie accademiche e i dibattiti televisivi”.
Giancarlo Lorefice era, insomma, l’opposto della serpeggiante tentazione di autocompiaciuta medietà che minaccia anche tanta parte del mondo delle grandi intermediazioni sociali. E quando gli ho chiesto, sarà un anno fa, come mai ancora, “vecchietto pensionato come sei”, si agitasse e si desse da fare come trent’anni fa, mi ha risposto: “Ma tu lo sai bene quali maestri e quali esempi io ho conosciuto. Anzi… ti ricordi quando, qualche anno fa, ti avevo proposto di scrivere insieme un libro su Enrico Mattei, il grande fondatore dell’Eni? Ho iniziato praticamente a lavorare con lui, e ti assicuro che erano orizzonti pieni di efficienza e umanità insieme…”.
Fra i ricordi che affiorano nella mia mente ora che lui non c’è più, mi piace segnalarne uno, di pochi anni orsono, che testimonia con particolare efficacia l’impegno antifascista (ma anche anticomunista, e antidittatura in genere) che lo animava e che riprendeva vigore anche polemico quando si riandava a ragionare delle vicende storiche del nostro paese. Un giorno mi scrisse dunque:
“Caro Giuseppe,
eccoti il link riguardante il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, l’aberrazione del regime fascista, di cui ti parlavo l’altra volta..
Oltre a quanto potrai leggere nell'intera e odiosa legge, ti segnalo la seguente, testuale parte specifica:
"Nei procedimenti pei delitti preveduti dalla presente legge si applicano le norme del Codice penale per l’esercito sulla procedura penale in tempo di guerra. Tutte le facoltà spettanti, ai termini del detto Codice, al comandante in capo, sono conferite al Ministro per la guerra".
Come se non bastasse, quanto previsto da una legge di inaudita inciviltà giuridica, la Legge 25 novembre 1926 - senza precedenti in nessuna nazione nel XX secolo - a cittadini civili, considerati meno che sudditi, viene applicata in tempo di pace la procedura penale militare prevista per l'esercito in tempo di guerra, l'obbrobrio del giudizio unico, inappellabile e non cassabile. Nemmeno nella Romania di Ceausescu si era arrivati a tanto. E la firma di tale legge era: Vittorio E. III, Mussolini e il giurista Rocco. Tre criminali.
Giancarlo”.
Era così, Giancarlo. Lo ricorderò insomma come una persona anche ruvida ma di coraggio, di solidarietà e di lealtà.
Giuseppe Ecca
MM
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