Tempi di sintesi, sembra, per il venticinquennale processo di riflessione critica ed autocritica dei cattolici, e del mondo di ispirazione cristiana in genere, sugli effetti della “diaspora” che, dopo la fine della Democrazia Cristiana e degli altri partiti storici italiani, ha caratterizzato la loro presenza nella politica nazionale ed europea.
Non sappiamo come davvero i tormentati e tormentosi dibattiti in corso fra ex democristiani ad aspiranti nuovi democratico-cristiani termineranno, e con quali tempi reali: certo è però che in questi ultimi mesi si sono infittiti eventi e iniziative tese a trovare il modo di “passare alla fase organizzativa”. Non è affatto semplice, peraltro, questa impresa: fa ormai difetto da molto tempo l’abitudine alla grande disciplina organizzativa, e fa difetto anche l’abitudine alla formazione profonda ed organica delle coscienze che caratterizzava le leve storiche di questo e di altri partiti.
E proprio alla cruciale preoccupazione formativa fa riferimento il grande Giambattista Liazza, nella lettera inviatami fin dal luglio 2016 ( e in molte altre) che mi sembra interessante e utile ripubblicare qui di fronte al riaccelerarsi di dibattiti e speranze. Liazza fu uno dei grandi protagonisti, forse il maggiore, proprio dell’ultima stagione formativa che in Dc impostò la costruzione di nuovi quadri dirigenti all’altezza delle esigenze del paese: poi, prima che se ne potessero vedere i frutti, l’intero fronte della politica nazionale cedette all’avanzare veloce e prepotente di nuovi equilibri anche internazionali. Restò comunque sintomatico che proprio la trascuranza delle grandi esigenze formative, dopo la stagione affidata a Giampaolo D’Andrea allo stesso Gianni Liazza, apparisse, come appare tuttora agli studiosi più attenti, una delle cause decisive dell’indebolimento strutturale del partito e della politica nazionale.
°°°°°
Carissimo Giuseppe,
dopo la chiacchierata di ieri su Skype, sento il desiderio di scrivere a te e agli indimenticabili amici di cui abbiamo parlato a voce. Primo fra tutti Giampaolo. Quante cose abbiamo fatto insieme, lasciando un buon ricordo nelle persone giovani che abbiamo incontrato! Eppure sono passati anni. Qualcuna di tali persone ho avuto la buona sorte di ricontattarla e vedo che si è ben affermata nella vita: ma tutti questi giovani mi risulta che si siano ben realizzati, confermandosi anche come onesti e attivi cittadini.
Sono orgoglioso di ciò che abbiamo fatto insieme, con pochissimi mezzi e con un’organizzazione essenziale, quasi anemica: abbiamo avvicinato e aiutato a crescere migliaia di persone, in relativamente poco tempo. Sono orgoglioso del progetto Alone.
Lo dico a te e agli amici, con un poco di amarezza: è un grave peccato aver abbandonato quella strada. La crisi della nostra Italia è nelle coscienze dei cittadini ma anche nel suo funzionamento, ormai superato dall’evoluzione rapidissima che sta rendendo incerta ogni cosa, su questo pianeta. Abbiamo una penuria gravissima di classe dirigente preparata e onesta.
Diciamolo: gli eventi, non sempre brillanti (anzi…) come la riforma del titolo V° della Costituzione, hanno aperto accessi alle posizioni di guida del paese per gente non adeguatamente preparata e molto incline a cedere alle tentazioni. La corruzione è diffusa, e i politici non sono sempre i più corrotti, anzi… E’ meglio sottolinearlo. E, purtroppo, in questa situazione, spesso chi fa bene riesce appena a gestire correttamente l’ordinario: non vedo progetti importanti, innovatori. Non vedo costruire futuro, soprattutto per le giovani generazioni.
Non vengono formati i cittadini, non vengono nutrite le coscienze, non si impara ad essere, prima ancora di acquisire il sapere e il saper fare. L’analfabetismo funzionale ci vede peggiorare nelle classifiche e non perchè la gente non va più a scuola ma perché non impara a ragionare, neanche a collegare la mente al corpo: e pensare che la moderna fisica quantistica ci informa che la coscienza sopravvivrà in eterno. Lo spirito che è in ognuno di noi è energia immortale, il corpo finisce e si dissolve: ma siamo più preoccupati di curare il corpo mortale che di arricchire lo spirito immortale. Come se fossero dimensioni separate.
Formare le coscienze, dunque, rendere gli esseri umani consapevoli e liberi e capaci di essere responsabili su questa terra. Ma chi lo fa? La scuola? Le famiglie? Meglio addirittura la strada, per quanto a volte mi viene da pensare ricordandomi del ragazzo Gavroche de I Miserabili.
Mi hai detto di Giampaolo. Hanno lavorato seriamente, al ministero dei beni culturali, quando lui ci operava. Condivido ancora un pensiero colto al volo a suo tempo dall’allora capo del governo Renzi (mi si perdoni!...) e che cerco di riportare come lo ricordo; mi pare si riferisse al fatto ben conosciuto di essere depositari, come Italia, di tanta bellezza, ma di non esserne consapevoli, non saper vivere il ruolo storico dell’esserne custodi, e non saper organizzare una giusta “narrazione” in tal senso. Tutti nel mondo mangiano italiano (pensiamo alla diffusione della pizza e della pasta…), molti vestono italiano, scopriamo che la lingua italiana è una delle più studiate al mondo, e tanto altro. Molti stranieri visitano l’Italia proprio per vederne le bellezze. Ma è questa la cifra di consapevolezza e responsabilità degli italiani oggi?
La scuola è terribilmente deficitaria, non riesce a rinnovarsi; il mondo del lavoro non si rinnova nelle organizzazioni e nei metodi, i sindacati tacciono perchè non hanno nulla di significativo da dire e nessuno cura quello che alcuni giustamente chiamano il capitale umano, ma ci si ferma alle frasi retoriche che ormai rischiano di annoiare se non si sa come proseguire il discorso relativo al “cosa facciamo al riguardo”. Il capitale umano italiano dovrebbe essere arricchito e impregnato di storia e di bellezza, se non vogliamo lasciare anche questo patrimonio ad altri paesi, ad esempio ai tedeschi, che mostrano di apprezzarlo.
Serve coniugare il ruolo di chi custodisce e valorizza il patrimonio dei beni anche culturali, con chi dovrebbe lavorare ad arricchire il patrimonio dei giovani, che è il “capitale umano”. Creare classe dirigente con una cifra di identificazione specifica per la qualità umana, per i requisiti personali, per la competenza, per la capacità di servire il Paese. Per fare la differenza e cominciare a costruire futuro, finalmente.
Ci affidiamo alle Universita’? Non ne abbiamo avuto abbastanza? Hanno dilagato negli ultimi trent’anni dandoci quasi il nulla, in questa specifica dimensione. Hanno formato qua e là talenti che se ne sono andati, in gran parte: ma il nerbo della classe dirigente di cui abbisogna il paese non si è visto. Vuol dire che qualcosa non ha funzionato nel senso giusto.
C’è ancora qualcuno che ha voglia di ragionare di queste cose e magari di impostare qualche piccolo rinnovato esperimento, per vedere che effetto che fa, come cantava Jannacci? Se qualcuno, o la Scuola, volessero individuare e sperimentare qualcosa per rinnovare i processi di formazione delle persone, per un nuovo umanesimo (ricordi le chiacchierate con Pasquino su questo concetto?), siamo ancora in tempo a rimettere in campo tutte le nostre belle esperienze.
Come può cambiare la politica, altrimenti? Occorrono nuovi processi, liberi ma efficaci, per aiutare giovani talenti a diventare classe dirigente. In carenza (purtroppo) di “maestri” bisogna inventarsi laboratori sperimentali dove nessuno predichi ma ognuno cerchi di fare bene e lo faccia davvero. Io conobbi buoni maestri, che ricordiamo spesso insieme (basterebbe citare Dossetti…), ma adesso ne vedo pochi, in giro.
Non voglio tediarti oltre, ma mi dichiaro sempre disponibile a fare quattro chiacchiere ulteriori su questi temi, con te, come tante volte abbiamo già fatto, ma anche con gli amici che avessero ancora voglia di farne. Gli anni non hanno domato il mio spirito e la natura mi consente ancora di agitarmi come ai tempi in cui ci incontrammo per fare le cose che abbiamo fatto, tantissimi anni indietro, vedendo maturarne qualche bel frutto che tuttora fa onore al nostro paese, dovunque operi.
Continuo ad essere ottimista.
(Giambattista Liazza)
Non sappiamo come davvero i tormentati e tormentosi dibattiti in corso fra ex democristiani ad aspiranti nuovi democratico-cristiani termineranno, e con quali tempi reali: certo è però che in questi ultimi mesi si sono infittiti eventi e iniziative tese a trovare il modo di “passare alla fase organizzativa”. Non è affatto semplice, peraltro, questa impresa: fa ormai difetto da molto tempo l’abitudine alla grande disciplina organizzativa, e fa difetto anche l’abitudine alla formazione profonda ed organica delle coscienze che caratterizzava le leve storiche di questo e di altri partiti.
E proprio alla cruciale preoccupazione formativa fa riferimento il grande Giambattista Liazza, nella lettera inviatami fin dal luglio 2016 ( e in molte altre) che mi sembra interessante e utile ripubblicare qui di fronte al riaccelerarsi di dibattiti e speranze. Liazza fu uno dei grandi protagonisti, forse il maggiore, proprio dell’ultima stagione formativa che in Dc impostò la costruzione di nuovi quadri dirigenti all’altezza delle esigenze del paese: poi, prima che se ne potessero vedere i frutti, l’intero fronte della politica nazionale cedette all’avanzare veloce e prepotente di nuovi equilibri anche internazionali. Restò comunque sintomatico che proprio la trascuranza delle grandi esigenze formative, dopo la stagione affidata a Giampaolo D’Andrea allo stesso Gianni Liazza, apparisse, come appare tuttora agli studiosi più attenti, una delle cause decisive dell’indebolimento strutturale del partito e della politica nazionale.
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Carissimo Giuseppe,
dopo la chiacchierata di ieri su Skype, sento il desiderio di scrivere a te e agli indimenticabili amici di cui abbiamo parlato a voce. Primo fra tutti Giampaolo. Quante cose abbiamo fatto insieme, lasciando un buon ricordo nelle persone giovani che abbiamo incontrato! Eppure sono passati anni. Qualcuna di tali persone ho avuto la buona sorte di ricontattarla e vedo che si è ben affermata nella vita: ma tutti questi giovani mi risulta che si siano ben realizzati, confermandosi anche come onesti e attivi cittadini.
Sono orgoglioso di ciò che abbiamo fatto insieme, con pochissimi mezzi e con un’organizzazione essenziale, quasi anemica: abbiamo avvicinato e aiutato a crescere migliaia di persone, in relativamente poco tempo. Sono orgoglioso del progetto Alone.
Lo dico a te e agli amici, con un poco di amarezza: è un grave peccato aver abbandonato quella strada. La crisi della nostra Italia è nelle coscienze dei cittadini ma anche nel suo funzionamento, ormai superato dall’evoluzione rapidissima che sta rendendo incerta ogni cosa, su questo pianeta. Abbiamo una penuria gravissima di classe dirigente preparata e onesta.
Diciamolo: gli eventi, non sempre brillanti (anzi…) come la riforma del titolo V° della Costituzione, hanno aperto accessi alle posizioni di guida del paese per gente non adeguatamente preparata e molto incline a cedere alle tentazioni. La corruzione è diffusa, e i politici non sono sempre i più corrotti, anzi… E’ meglio sottolinearlo. E, purtroppo, in questa situazione, spesso chi fa bene riesce appena a gestire correttamente l’ordinario: non vedo progetti importanti, innovatori. Non vedo costruire futuro, soprattutto per le giovani generazioni.
Non vengono formati i cittadini, non vengono nutrite le coscienze, non si impara ad essere, prima ancora di acquisire il sapere e il saper fare. L’analfabetismo funzionale ci vede peggiorare nelle classifiche e non perchè la gente non va più a scuola ma perché non impara a ragionare, neanche a collegare la mente al corpo: e pensare che la moderna fisica quantistica ci informa che la coscienza sopravvivrà in eterno. Lo spirito che è in ognuno di noi è energia immortale, il corpo finisce e si dissolve: ma siamo più preoccupati di curare il corpo mortale che di arricchire lo spirito immortale. Come se fossero dimensioni separate.
Formare le coscienze, dunque, rendere gli esseri umani consapevoli e liberi e capaci di essere responsabili su questa terra. Ma chi lo fa? La scuola? Le famiglie? Meglio addirittura la strada, per quanto a volte mi viene da pensare ricordandomi del ragazzo Gavroche de I Miserabili.
Mi hai detto di Giampaolo. Hanno lavorato seriamente, al ministero dei beni culturali, quando lui ci operava. Condivido ancora un pensiero colto al volo a suo tempo dall’allora capo del governo Renzi (mi si perdoni!...) e che cerco di riportare come lo ricordo; mi pare si riferisse al fatto ben conosciuto di essere depositari, come Italia, di tanta bellezza, ma di non esserne consapevoli, non saper vivere il ruolo storico dell’esserne custodi, e non saper organizzare una giusta “narrazione” in tal senso. Tutti nel mondo mangiano italiano (pensiamo alla diffusione della pizza e della pasta…), molti vestono italiano, scopriamo che la lingua italiana è una delle più studiate al mondo, e tanto altro. Molti stranieri visitano l’Italia proprio per vederne le bellezze. Ma è questa la cifra di consapevolezza e responsabilità degli italiani oggi?
La scuola è terribilmente deficitaria, non riesce a rinnovarsi; il mondo del lavoro non si rinnova nelle organizzazioni e nei metodi, i sindacati tacciono perchè non hanno nulla di significativo da dire e nessuno cura quello che alcuni giustamente chiamano il capitale umano, ma ci si ferma alle frasi retoriche che ormai rischiano di annoiare se non si sa come proseguire il discorso relativo al “cosa facciamo al riguardo”. Il capitale umano italiano dovrebbe essere arricchito e impregnato di storia e di bellezza, se non vogliamo lasciare anche questo patrimonio ad altri paesi, ad esempio ai tedeschi, che mostrano di apprezzarlo.
Serve coniugare il ruolo di chi custodisce e valorizza il patrimonio dei beni anche culturali, con chi dovrebbe lavorare ad arricchire il patrimonio dei giovani, che è il “capitale umano”. Creare classe dirigente con una cifra di identificazione specifica per la qualità umana, per i requisiti personali, per la competenza, per la capacità di servire il Paese. Per fare la differenza e cominciare a costruire futuro, finalmente.
Ci affidiamo alle Universita’? Non ne abbiamo avuto abbastanza? Hanno dilagato negli ultimi trent’anni dandoci quasi il nulla, in questa specifica dimensione. Hanno formato qua e là talenti che se ne sono andati, in gran parte: ma il nerbo della classe dirigente di cui abbisogna il paese non si è visto. Vuol dire che qualcosa non ha funzionato nel senso giusto.
C’è ancora qualcuno che ha voglia di ragionare di queste cose e magari di impostare qualche piccolo rinnovato esperimento, per vedere che effetto che fa, come cantava Jannacci? Se qualcuno, o la Scuola, volessero individuare e sperimentare qualcosa per rinnovare i processi di formazione delle persone, per un nuovo umanesimo (ricordi le chiacchierate con Pasquino su questo concetto?), siamo ancora in tempo a rimettere in campo tutte le nostre belle esperienze.
Come può cambiare la politica, altrimenti? Occorrono nuovi processi, liberi ma efficaci, per aiutare giovani talenti a diventare classe dirigente. In carenza (purtroppo) di “maestri” bisogna inventarsi laboratori sperimentali dove nessuno predichi ma ognuno cerchi di fare bene e lo faccia davvero. Io conobbi buoni maestri, che ricordiamo spesso insieme (basterebbe citare Dossetti…), ma adesso ne vedo pochi, in giro.
Non voglio tediarti oltre, ma mi dichiaro sempre disponibile a fare quattro chiacchiere ulteriori su questi temi, con te, come tante volte abbiamo già fatto, ma anche con gli amici che avessero ancora voglia di farne. Gli anni non hanno domato il mio spirito e la natura mi consente ancora di agitarmi come ai tempi in cui ci incontrammo per fare le cose che abbiamo fatto, tantissimi anni indietro, vedendo maturarne qualche bel frutto che tuttora fa onore al nostro paese, dovunque operi.
Continuo ad essere ottimista.
(Giambattista Liazza)
MM
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