Economia e società

"LA FABBRICA PER L'UOMO, NON L'UOMO PER LA FABBRICA

Le parole del titolo, virgolettate, sono di Adriano Olivetti. E forse… finalmente, ci siamo: una fiammella sembra, lenta lenta, principiare a riaccendersi sul pensiero e sull’esempio del grande imprenditore italiano. Si chiama centralità del lavoro nell’azienda, centralità della persona nell’economia.
 
Che le forze del male, e più superficialmente quelle brute del materialismo, tornino, nel corso della storia, a dare, con frequente successo, i loro assalti alla città dei diritti umani ed alla sua dimensione solidale e spirituale, non fa alcuna meraviglia: è il tessuto della storia umana, appunto.
 
Fa meraviglia, e non può non farla, che a lasciarsi irretire periodicamente nelle maglie paralizzatrici dell’assalto siano forze sociali nate esplicitamente per contrastarlo e far prevalere più duraturamente il bene. E’ come se la stessa lotta che esse conducono le infiacchisse periodicamente fino ad addormentarle ed a farle diventare acquiescenti in un letargo che, appena, sa gioire per qualche caramellina di consolazione che il moloch del potere imperante largisce loro in termini di piccole conquiste su grandi sconfitte. Prima di trovare la via dell’atteso risveglio.
 
Nell’attuale fase di letargo sono finiti, da alcuni decenni, anche in Italia, il migliore sindacalismo, diverse organizzazioni politiche che in passato ispiravano una concezione dell’economia e del lavoro densa di umanesimo, e altre organizzazioni di grandissima qualità sociale originaria: basterebbe pensare alle Acli.
 
Anche i letarghi tendono comunque, come accennavamo, ad avere periodicamente il loro termine e ad imporre la necessità di un qualche risveglio.
 
Così, veniamo assistendo in questi ultimi mesi a una lenta ripresa di attenzione sia attorno ad aziende che riaccentuano il primato della persona nel loro modo di fare economia e impresa, sia attorno a qualche piccola componente del movimento sindacale che riprende a sua volta graduale coscienza dell’unica ragione che motiva la sua stessa esistenza, cioè il cammino e la lotta concreti e ininterrotti verso una società del lavoro che sia più stabilmente ed esplicitamente a misura di persona e di comunità.  
 
Un esempio non rumoroso ma concreto di questi giorni ci è parso particolarmente significativo per il contesto nel quale si è generato: è uscito un efficace ed intenso comunicato della Federazione Cisl dei Lavoratori Elettrici, la Flaei, che esplicitamente reimposta una logica e un linguaggio che diremmo di stampo olivettiani, proprio in questa ottica: ed è un comunicato che fa seguito a qualche altro recente piccolo documento analogo della stessa organizzazione. Per lunghi anni, e in piccola parte tuttora, non siamo stati assenti dalla bella storia di questa antica federazione della Cisl tradizionalmente coerente sotto il profilo valoriale: ora, la coraggiosa e quasi imprevedibile ripresa di autorevole chiarezza di pensiero e di posizione strategica espressa dal comunicato in questione, frammezzo al torpore generale del sindacalismo attuale, è appunto un concreto segnale di speranza da cui è fondato attendersi sviluppi interessanti.  
 
Nel caso specifico, si prepara forse, potenzialmente, a esplodere, o a implodere, il caso Enel, una delle aziende-colosso della nostra economia e della nostra migliore immagine nel mondo, che, a nostro avviso, va ricondotta a essere, puramente, semplicemente e sanamente, pubblica, come era in passato: deve cioè del tutto cessare la stolida idea che essa debba “vendere energia sul mercato” e deve tornare decisamente la missione per la quale l’azienda nacque, cioè “erogare il servizio elettrico ai cittadini italiani ed alle loro imprese in logica sociale e di efficienza, e la sua prestigiosa competenza a chiunque nel mondo ne abbia bisogno”. Perché questo fu appunto l’Enel, creato con i soldi della collettività italiana e oggi criminosamente ridotto a grumo di scaltre operazioni privatistiche a sfondo finanziario. E non si tratta che di uno dei tanti, troppi casi simili. 
 
Ben significativo, e non casuale, è che il testo del comunicato Flaei  inglobi alla sua conclusione  le inequivoche parole del grande Olivetti in materia di economia e impresa, che tornano in auge. Apparentemente il breve comunicato non è “rivoluzionario”, ma il contesto nel quale esso si riallaccia a una tradizione sindacale ben nota nel settore fa fondatamente sperare che, appunto, il lucignolo fumigante riprenda a sviluppare l’atteso vigore.
 

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COMUNICATO
(del 13 settembre 2018):
I LAVORATORI ELETTRICI SONO IN SCIOPERO
 
 
I lavoratori elettrici sono in sciopero.
 
Intendono richiamare l’attenzione della pubblica opinione e della politica intorno alle perniciose scelte dell’Enel.
 

Puntano a fermare l’ultimo taglieggiamento che esso si accinge a perpetrare.
 
La cultura della Flaei non è “scioperaiola” e - come ogni italiano sa - i lavoratori del settore, in tutta la storia repubblicana, non hanno mai creato un solo disagio o un’interruzione del servizio a danno dell’utenza per difendere i loro interessi.
 
Ora però si è superata la misura decidendo che, pezzo dopo pezzo, la struttura aziendale debba essere smantellata per esternalizzare quasi tutte le attività e far morire, per consunzione, ogni dimensione industriale e gestionale dell’impresa, nonostante sia patrimonio dello Stato e di milioni di italiani.
 
Crediamo che lo Stato, nel “concedere” all’Enel la rete elettrica, abbia imposto obblighi e richiesto garanzie nei confronti dei cittadini.
 

D’altra parte essere monopolisti di un servizio tanto importante come quello elettrico comporta dei doveri non solo nel presente, ma anche per le prospettive del paese, così come implica servire al meglio i cittadini nei territori dove capillarmente si distribuisce l’energia.
 
Non possiamo credere che il mandato conferito ai vertici aziendali, all’atto della loro nomina, si limiti alla creazione di valore finanziario, né si può accettare che un’infrastruttura strategica e decisiva per lo sviluppo e la vita de cittadini diventi libero terreno di speculazione finanziaria.
 

I segnali di cedimento diffuso degli impianti in più di un evento atmosferico degli ultimi anni, ci dicono che qualcosa non va, che non basta far girare le carte e i numeri per dimostrare sicurezza.
 
L’Enel è un’Azienda efficiente. E’ soggetta al controllo dell’autorità pubblica di settore, oltre che al controllo della corte dei conti e dei ministeri competenti. In questi anni tutti hanno assistito peraltro alla continua compressione dei costi di gestione, perseguita con riduzioni forsennate di forza lavoro interna. Tutti hanno preso visione dei bilanci e delle scelte di sviluppo. Ma poiché i processi di liberalizzazione hanno riguardato anche le altre aziende del settore e quelle di altre nazioni continentali, inevitabile diventa la comparazione con i comportamenti e i risultati raggiunti, in particolare, dai concessionari degli altri paesi europei.
 
D’altra parte sulla rete non esistono concorrenti, non esiste mercato. Esiste l’obbligo di economizzare non più di quanto si richieda in termini di compatibilità con le esigenze di qualità del servizio.
 
Ma se i risultati societari dell’ex ente di Stato evidenziano clamorosamente che dal lato finanziario tutti gli indicatori pongono al primo posto il Gruppo Enel, qual è lo scopo di questa rincorsa al disfacimento? Perché si continua a smantellare un’azienda che ha raggiunto i risultati i più alti su scala mondiale? Lo chiede il governo? Lo chiedono gli azionisti? Lo chiede l’autorità di settore?
 
Noi siamo convinti che lo voglia il management, perché ha scambiato l’impresa per una palestra
dove esercitare e misurare i successi personali dei responsabili di turno.
Sulla pelle del paese e dei lavoratori.
 
Proveremo a dimostrarlo col prossimo comunicato.
 
                                                                                                              
                                                                                                               (La Segreteria Nazionale FLAEI)
 
 
La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti.
Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia.
Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica”

(Adriano Olivetti)


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