Esperienze

ERA UN UFO

L’anziana autrice del racconto ci conferma ancora oggi che la vicenda andò proprio così, come lei la rivive  in questo ricordo del 1993.

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Dopo aver visitato la stupenda distesa archeologica dove riposa il gigante di Tolomei e dopo aver visitato la tomba di Terone, si andò verso la Valle dei Templi, dove si ergevano il tempio di Giunone, il tempio di Castore e Polluce, il tempio di Ercole; e mentre si andava i mandorli del viale scintillavano di frutti e di fiori  delicatissimi che inebriavano l’aria con il loro profumo di primavera precoce. A febbraio la primavera splendeva infatti già prepotentemente su quelle ondulate e folte chiome di alberi che sembravano prendere per mano i turisti, ammirati come davanti a un’incantevole processione fuori del tempo moderno.

Il Tempio della Concordia stava lì, in fondo al viale, maestoso nella sua fierezza, e mostrava a tutti la regalità della sua nobile mole vecchia di secoli. Un gruppo di turisti si sbizzarriva ad ammirare e fotografare i resti di quei templi con le loro sgretolature rose dai secoli, resti fascinosi nell’accogliere la folla dei visitatori provenienti da ogni parte del mondo. Mi ero innamorata di quei luoghi di pace e di bellezza: gli spettri degli “dei” mi avevano affascinata al punto d’infondermi il desiderio di trascorrere la notte lì da sola, magari abbracciata ad una colonna, ad ammirare la maestosità del cielo che trapunto di stelle costituiva in quel luogo incantato uno spettacolo unico al mondo. Mi nascosi dietro una colonna e quando tutti i mormorii intorno a me sparirono mi sedetti su di un gradino ad aspettare il tramonto. Il Tempio della Concordia mi sembrava ora ancora più grande e le sue colonne, che svettavano verso il cielo blu cupo, davano la sensazione che volassero portandomi con loro verso tutto quel paradiso siciliano”, paradiso in ogni stagione dell’anno.

Guardavo intorno affascinata mentre pian piano, all’orizzonte, calava un manto rosso-fuoco che incendiava le colline di mille colori intorno ai Templi, i quali tingendosi di scuro sembrava mi venissero incontro. Abbracciai una colonna e il suo tocco m’invase l’animo di un tenue tepore facendomi pensare che gli dei l’avevano accarezzata tanto tempo fa e avevano lasciata la loro indelebile impronta in ogni angolo di quella valle meravigliosa. Godevo il tramonto infuocato mentre le stelle cominciavano il loro ingresso nella distesa infinita. Pian piano il cielo si popolò delle più belle stelle del firmamento e il loro luccichio illuminò lo scenario irripetibile.

Ad un tratto m’accorsi che nel cielo una luce molto grande mi fissava, cambiando di tonalità. Un po’ impaurita cercai di guardare altrove, ma gli occhi mi andavano sempre lì e quella luce mi accecava con i suoi riflessi diretti proprio a me. Non sapevo cosa fare ed ero impaurita: mi misi a correre oltrepassando tutti i Templi e finalmente uscii dalla Valle finendo nel grande parcheggio sottostante, dove speravo di trovare un taxi che mi portasse in albergo. In un angolo vicino ad un chiosco già chiuso intravidi qualcuno che si muoveva: poi un’ombra mi venne incontro dicendomi: “Dove scappa, signorina! Guardi che andare in giro di notte ad Agrigento è pericoloso, potrebbero rubarle la borsetta e magari violentarLa…”.

Mi accorsi che parlava un uomo di pelle nera, che si esprimeva bene in italiano ed era molto gentile; egli  proseguì dicendo che dormiva accanto ai chioschi, così al mattino era pronto e il primo chiosco che apriva gli consegnava dei souvenir da vendere ai turisti che visitavano la Valle dei Templi e i dintorni: e questo lavoro gli permetteva di comprarsi da mangiare. Gli chiesi se poteva accompagnarmi all’albergo perché, ancora più dopo il suo avvertimento, avevo paura ad andare da sola. Fu tanto gentile e chiacchierando ci avviammo verso il mio albergo, che non era molto distante. Nel salutarlo gli regalai 50.000 lire. Era così felice che mi prese fra le braccia e mi baciò, poi scappò via stringendo forte il pugno che forse non aveva mai stretto tutti quei soldi in una sola volta. In albergo feci una doccia, andai a letto e mi addormentai subito. Ma sognai che quella luce abbagliante mi aveva seguito ed ora stava dietro i vetri della mia finestra a guardarmi: mi svegliai di colpo, smarrita e madida di sudore, andai diritta alla finestra e scostai piano le taparelle; era buio fitto e nel cielo non c’era neanche una stella: ma quella luce grande era lì a fissarmi davvero e cambiava riflessi come per dirmi: “Ti abbiamo vista!”.

Percepivo ora un’intesa perfetta: appena io guardavo cambiavano i toni di luce e sapevo che i suoi misteriosi abitatori mi avevano vista. Dopo una mezzora di smarrimento chiusi le tende e andai a dormire cercando di levarmi dalla testa la luce e il suo strano movimento; erano le quattro del mattino e avevo bisogno di dormire per riprendere il mio giro turistico l’indomani. Alle otto del mattino ero infatti già fuori con il gruppo, composto di quarantatrè persone italo-australiane, e ci recammo verso gli antichi resti di Selinunte. Quanti campi enormi di limoni, aranci e mandarini splendevano al caldo sole primaverile e correvano veloci di fianco a noi! Poi il bus si inoltrava in distese gigantesche di carciofi e grano verdissimo che si piegava al  venticello creando onde sfumate di verde vibrante. Era bellissimo rivedere la mia Sicilia dopo venticinque anni e ritrovarla ancora più maestosa di prima! La Conca d’Oro era una delle meraviglie del mondo, con tutte quelle montagne intorno che la proteggevano da ogni intemperia e calamità.

Selinunte aveva subito la distruzione per mano dei cartaginesi, che vi avevano lasciato le loro orme nei secoli. Io guardavo estasiata il tempio G, il tempio F, la grandiosità del tempio E ricostruito con materiali preesistenti e riordinati da mani esperte. Sull’Acropoli , seduta tra le colonne, vidi di nuovo Abdul, il ragazzo africano che avevo conosciuto prima: “Ciao, come mai sei qui e non nella Valle dei Templi?”. “Ciao, Jenny: sono stato licenziato perché negli ultimi giorni ho venduto troppo poco; mi hanno cacciato dicendomi che sono un buono a nulla; sono venuto qui per parlarti. Ieri mi hai detto che saresti venuta a Selinunte e ti ho seguita: dove sei tu ci sarò anch’io, se vuoi”. “Senti, Abdul: io devo girare ancora tutta la Sicilia e non posso portarti con me. Tieni centomila lire e cercati un altro lavoro!”. Si sedette sopra la grande rotonda di pietra giallastra, rimasta affondata per metà nella terra perché impossibile alzarla e rimetterla al suo posto sul tempio ricostruito. E rimase lì a guardarmi, triste, mentre si passava dall’Acropoli al tempio D. e al tempio M. e poi al santuario di Malophoros.  

Lasciai Selinunte e tutto il suo fascino dorico. Per gli altri quindici giorni che rimasi in giro per la mia splendida Sicilia non vidi più il mio giovane amico africano. Lo rividi però a Vizzini, la mia stupenda cittadina, famosa per aver dato al mondo il grande scrittore Giovanni Verga, autore della Cavalleria Rusticana, di Mastro don Gesualdo, Jeli il Pastore, L’Amante di Gramigna, Pentolaccia, Libertà, Don Licciu Papa, La Roba, Il Mistero, Rosso Malpelo, Il Reverendo, Pane Nero, La Lupa... tutte opere  scritte appunto nei luoghi di Vizzini e rappresentate anche come opere teatrali nei posti dove sono immaginate le storie.

Mi trovavo in piazza Umberto I per visitare appunto i luoghi che parlano dello scrittore: il suo palazzo, che si erge maestoso in un angolo della piazza e che sul retro si affaccia nella piazzetta di Santa Teresa; la chiesa della Cavalleria Rusticana, la locanda di compare Turiddu, la casa di Santuzza e più in là la casa di Lola… Ma  davanti alla locanda di compare Turiddu c’era ancora Abdul, che appena mi vide corse ad abbracciarmi dicendo che aveva girato tanto per trovarmi, poi aveva ricordato che Vizzini era la mia ultima tappa e vi si era recato. Aveva cambiato tanti lavori e sempre li perdeva per futili motivi: ora era lì per la festa della ricotta e vendeva papiri provenienti dall’Egitto e non dal “Centro del Papiro” di Siracusa, dove pure si fabbricano i migliori papiri del mondo, provenienti dalla folta vegetazione curata lungo il fiume Ciane nei dintorni di Siracusa: ma nessuno comprava i suoi papiri. Quella enorme folla era attratta soltanto dal veder fare la ricotta e mangiarla. La sagra della ricotta a Vizzini si fa il 25 aprile e attira gente da ogni parte della Sicilia, con una manifestazione folcloristica dove centinaia di pentoloni, in piazza Marconi, nel piazzale di Santa Maria di Gesù e anche in viale Margherita, fanno bollire enormi quantità di latte da dove esce ricotta gustosissima e caldissima per tutti. Si mangia all’aperto e la folla enorme si accalca felice a mangiare, guardare e divertirsi mentre teorie di carretti siciliani stupendamente addobbati sfilano per il viale Marconi e il viale Margherita alternandosi a cortei d’auto d’epoca, a sbandieratori e a spettacoli dei Pupi siciliani, e mentre nelle sale, nella pace che qualcuno sogna dopo tutta quella baraonda, si rappresentano le opere teatrali del nostro Giovanni Verga. 

“Abdul – gli dissi – i papiri li compro tutti io, me li porto in Australia: faranno bella mostra nel mio salotto e nel mio studio, ma tu rimarrai a Vizzini, nel mio meraviglioso paese, dove sono nata e dove sono i miei cari. Te lo cerco io un lavoro sicuro”. Lo Lasciai allibito e andai da mio fratello, ragioniere commercialista, un bellissimo giovane che ha lo studio in piazza Marconi, mentre mia mamma e l’altro fratello anch’egli più giovane di me  abitano in Santa Maria di Gesù: tutte le feste si svolgono lì. Che meraviglia assistere anche ai fuochi d’artificio da una delle bellissime terrazze in casa di mia mamma! Mio fratello, ragioniere commercialista e revisore dei conti di parecchi comuni della Sicilia, ha un grande edificio tutto per sé, con uno stanzone dove c’è lo studio condiviso con sua moglie, anch’essa ragioniera, un altro studio in comune con sua moglie e con la sua segretaria, un ulteriore studio solo per mio fratello, una grande sala d’attesa, una stanza per l’archivio, una stanza vuota, una simpatica stanza da cucina e un bagno completo di ogni comfort, una bellissima terrazza affacciante su piazza Marconi con una vista stupenda su un panorama magnifico e in lontananza  la vista del monte Lauro e i boschi verdeggianti. Loro se volevano potevano abitare nello studio ma avevano anche una bellissima casa in fondo al viale Margherita, che non potevano lasciare inabitata: lo studio rimaneva perciò abitualmente vuoto alla sera e nei giorni festivi, con tutti gli impegni che mio fratello aveva in altre città, e i tantissimi clienti. Pensai che una persona che tenesse in ordine lo studio stesso e lo sorvegliasse di notte non sarebbe dispiaciuta a mio fratello. Chiesi allora  a lui e a mia cognata se volessero un ragazzo che tenesse in ordine lo studio e stesse attento di notte dormendo lì. Dapprima mio fratello credette che scherzassi, ma quando gli raccontai di quel ragazzo marocchino accettarono la mia idea: lo avrebbero aiutato mentre lui poteva aiutare loro, in uno scambio reciproco di cui peraltro avevano tanto bisogno; ci voleva davvero qualcuno che si prendesse cura della pulizia dello studio e vigilasse su eventuali ladri e vandali. Accettarono, dunque, e io mi recai a dare la bella notizia ad Abdul che ne fu felice e mi abbracciò dicendomi: “Tu sei il mio angelo italo-australiano!”.

Abdul cominciò la sera stessa. Non avrei più permesso che si coricasse sui marciapiedi o nelle rovine delle case diroccate. Portammo un lettino nella stanza vuota dello studio e lì avrebbe dormito da quella sera in poi. Era così contento che ci baciava tutti con tanta riconoscenza, specialmente quando mio fratello gli portò anche due paia di pantaloni con due camicie e un paio di scarpe nuove. Abdul, oltre a pulire, teneva in ordine e sistemava tutto con grande entusiasmo. Abitava lì e si prendeva anche una piccola paga mensile; era un tipo simpatico e intelligente, aveva anche un buon [G1] grado di cultura: era scappato dal suo paese solo perché non c’era lavoro e gli piaceva troppo l’Italia. Avrebbe fatto sacrifici di ogni genere pur di rimanerci. Ora il suo sogno finalmente si avverava.

Dopo un paio di settimane rientrai in Australia,  e lasciare i miei fu ancora una volta terribile: ma la speranza che sarei tornata in Sicilia mi dava ora il coraggio di partire. L’Australia era la mia seconda patria e l’amavo, era un paese stupendo, ma pensavo sempre anche ai meravigliosi  giorni trascorsi in Italia tra i miei cari che non vedevo da venticinque anni; e pensavo ad Abdul finalmente felice nel mio favoloso paese, il paese che avevo lasciato a vent’anni. Eravamo partiti con mio marito per un secondo viaggio di nozze in Australia e ci eravamo innamorati di quelle distese immense di verde, di quelle case tutte con splendidi giardini di fiori colorati, delle vastissime praterie e dei deserti immensi, delle strade larghissime e pulite e dei sontuosi grattacieli di Melbourne, che si specchiavano maestosi nel fiume Yarra, il quale divideva la città in due e ne disegnava un panorama da favola: meraviglie che ci avevano incantato al punto di farci decidere a rimanere. La facilità di trovare un lavoro, la fortuna inaspettata di poterci comprare una casa circondata da un giardino bellissimo, l’agiatezza della vita di tutti i giorni, hanno fatto il resto. Poi due bambini: e le loro esigenze dello studio ci hanno fatto decidere ancora più solidamente di restare per donare loro un avvenire sicuro in una terra in continuo sviluppo ed evoluzione.

Dopo parecchie settimane dal mio rientro in Australia ricevetti una lettera da Abdul, in cui mi diceva che fra pochi mesi si sarebbe sposato con la segretaria di mio fratello, una bella ragazza che si era innamorata subito di lui e l’aveva incoraggiato a coltivare quel loro bellissimo amore nato in uno studio di ragioniere commercialista fra scartoffie e computer, iva e faccende tributarie; un amore romantico tra una ragazza color di pesca, piccola e molto magra, e un ragazzo alto con tanti muscoli e color caffelatte.

Un mattino, dopo ore insonni, pensando ai miei cari lontani non riuscivo più a stare a letto e, sentendo il rientro di mio figlio che era stato al disco-night (erano le due del mattino del periodo pasquale del 1993) mi alzo e chissà perché scosto le persiane della mia finestra della camera da letto; c’era tanto buio, un cielo plumbeo, senza stelle nell’immenso firmamento sopra di me: ma una luce grande mi fissava cambiando toni; e io la fissavo stupita. Quella luce era stata tra i Templi di Agrigento: cosa ci faceva ora di rimpetto alla mia casa in Australia, altissima in cielo, bella in mostra, in un punto dove mi riusciva naturale portare il mio sguardo, proprio qui a Melbourne e precisamente nella mia città di Avondale Heights?

Chiamai mio figlio e anche lui rimase a fissarla stupito, mentre la luce continuava a sua volta a fissarci e cambiava riflessi. Non ci dicemmo niente, con mio figlio, ma entrambi sapevamo cos’era quella strana luce. Uscimmo in giardino davanti alla nostra casa ed essa ci fissava ancora di tra le folte chiome degli alberi. Rientrammo e aprimmo le persiane della finestra del salotto: essa era sempre lì, ombrata dagli alberi. Tornammo nella mia stanza da letto parlando dello strano avvenimento. Cosa più strana, mio marito con tutto quel nostro chiacchierio continuava a dormire placidamente senza sentire niente di tutto il rumore che noi due facevamo mentre continuavamo a fissare la luce da dietro le persiane aperte della mia finestra, perché  sapevo che solo da lì si poteva vedere chiara e precisa, in un continuo scambio telepatico intenso fra me e i suoi abitatori. Ad un tratto chiesi a mio figlio di telefonare alla polizia; ma lui non volle. Gli dissi allora di telefonare all’aeroporto domandando se il radar avesse avvistato una luce grande e strana nel bel mezzo del cielo buio di Keilor Avondale Heights, vicinissima all’aeroporto, ma lui mi disse di non pensarci più e di andare a dormire. Però a sua volta non andò a dormire: si mise a guardare la televisione e ogni tanto scostava le taparelle e sbirciava nel cielo e attraverso le fronde degli alberi la luce penetrava ancora i suoi potenti riflessi dorati anche su di lui!

Dalla mia camera continuai a guardare la mia sfera di luce stravagante, che mi fissava come corteggiandomi. Ora, guardandola, non avevo più paura: mi sentivo protetta e subentravano in me una forza ed un coraggio mai avuti prima, e mi prendeva una sicurezza inaspettata, guardavo estasiata e sentivo un’intesa perfetta da entrambe le parti. Tranquilla m’infilai allora nel letto, ma la mia mente mi chiedeva sempre di tornare ad alzarmi e scostare le persiane per guardare nel cielo buio la mia splendida stella luminosa e scintillante di luce fosforescente, con i raggi che mi entravano diritti al cuore e lo scaldavano come un sole d’estate, tanto erano diretti a me e solo a me.

Tutto questo durò fino alle quattro e trenta: col chiarore dell’alba i miei amici scomparvero, ma lasciarono in me un ricordo indelebile e la speranza che sarebbero tornati ancora. Sì, li aspetterò e ancora li aspetto,  ogni sera e ogni mattina, ed è diventato un rito per me spostare le persiane e fissare quel punto fantastico dove la mia grande sfera splendente ha lasciato la sua luce. La mia grande stella con gli occhi invisibili fissati su di me verrà.

Nessuno dei due, fra me e mio figlio, ha mai nominato la parola Ufo. Ma sappiamo che era un ufo, un extraterrestre venuto da lontano per manifestarsi a me, ed io sono qui che lo aspetto sempre; quell’intesa perfetta era nata a poco a poco e la cosa più strana è che la desidero tuttora e vivo nell’attesa di vederla ancora nel mio cielo di Avondale Heights Keylor per proteggermi e farmi diventare più coraggiosa.

Nei giornali del mattino, comunque, appariva un articolo in cui spiccava a grandi caratteri il titolo “Stanotte una strana, grande sfera di luce ha sostato per ore nel cielo di Avondale Heights Keylor”.

L’Ufo l’ho veramente visto, era la notte di Pasqua del 1993 e non dimentico mai la sua visione abbagliante di luce.

 
(Anonimo PremiopratoRaccontiamoci)
 
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