Cattolici e politica

NON E' UNA BELLA PAGINA: PUNTIAMO DECISAMENTE ALLA SUCCESSIVA

Il sedici giugno 2018, cioè appena poco più di un mese fa, un piccolo manipolo di “democristiani del tesseramento 1992-93”, l’ultimo tesseramento riconosciuto valido dalla magistratura ai fini della possibile ripresa di attività del partito che fu di De Gasperi e Moro, si è riunito in un hotel di Roma per proseguire nell’estremo tentativo di porre fine alle interminabili controversie interne che per ventisei anni sono state autentico cappio al collo per la speranza di ripresa della presenza organizzata dei cattolici nello scenario politico italiano, attorno al simbolo e alla eredità politica dello Scudocrociato.
 
Piccolo manipolo, abbiamo detto: il giudice ha riconosciuto valido, e titolato a decidere, un elenco di circa 1.700 soci tesserati nell’ultimo anno di vita “ufficiale” del partito, cioè appunto il 1992-‘93. Se si pensa che la Dc, a quei tempi, viaggiava con oltre un milioni di iscritti, si ha la chiara idea della quasi risibile scialuppa di salvataggio che si sta cercando (finora inutilmente) di attivare per riportare a galla il grande transatlantico che molti effettivamente, nel paese, rimpiangono.
 
Il fatto è che ci vogliono, per questa impresa, insieme, forza di carattere, capacità decisionale, senso organizzativo, autodisciplina, moralità personale e profondità di vedute. Soprattutto, crediamo, le tre ultime caratteristiche. Che finora non ci sono state. O, meglio, non ci sono state tutte a livello sufficiente.
 
Nella sala dell’Hotel Tirreno, a Roma, il sedici giugno, era presente, intanto, meno di un centinaio di persone fra le citate 1.700 che ne avrebbero avuto titolo giuridico: e quasi tutte, ovviamente, ampiamente attempate, con appena qualche “giovanissimo” cinquantenne che, ai tempi della cessazione operativa del partito, venticinque anni orsono, doveva essere un iscritto al Movimento Giovanile.
 
E proprio questa caratteristica anagrafica dell’attuale “gregge piccolo e disperso” suggerisce una prima riflessione non priva di conseguenze pratiche: davvero ci vuole un grande orizzonte davanti a sé e dentro di sé, grande moralmente, politicamente e culturalmente, per restituire vita a una formazione politica che possa essere consegnata alle generazioni giovani ed al paese, spendendo credibilmente, da un lato, il richiamo ideale a De Gasperi, Moro, La Pira, Mattei, Sturzo e gli altri padri di quella grande storia, ed esprimendo concretamente, dall’altro, una capacità di organizzazione efficiente, che faccia coincidere visibilmente i comportamenti organizzativi e personali con la elevatezza delle affermazioni valoriali. E’ essenziale, questa grandezza di orizzonte, è proprio il fondamento minimo e necessario perché una nuova formazione politica possa mettere radici solide e qualitative, e durare,  nel tessuto reale attuale del paese. Altrimenti, essa è del tutto inutile, ennesima cianfrusaglia del confuso, recriminoso e sterile bailamme politico che ci circonda.
 
E purtroppo si tratta di un orizzonte ben difficilmente ravvisabile (ci scusiamo per la valutazione, che è ovviamente soggettiva, ma onesta) nel “manipolo”, frantumato in rivoli reciprocamente  ombrosi e sospettosi, quasi sempre scalmanati, spesso incivilmente maleducati, sempre disordinati, che abbiamo visto all’opera anche il sedici giugno. Lo spettacolo cui esso ci ha fatto assistere in questa occasione è stato francamente deprimente, anzi quasi miserabile. I più attivi in sala, dopo pochi minuti dall’inizio dei lavori si stavano già accapigliando, sia a parole sia anche alzandosi dalle sedie, avvicinandosi al tavolo di presidenza, minacciando, puntando il dito, gridando, rivendicando…. E non è la prima volta. Uno spettacolo triste e indegno, altro che di De Gasperi e Moro, persino dei modesti epigoni degli ultimi quindici anni di vita della DC storica. Oltre un quarto di secolo di rimpianti per la Democrazia Cristiana che non c’è più, dunque, e di recriminazioni per la bassura della politica attuale che l’ha sostituita, e… chi lotta per far rivivere quell’antica grandezza lo fa con questo deplorevole livello di comportamenti?! Follia? Stupidità? Irresponsabilità? Meschinità? Intromissione di pensieri e intenzioni non dichiarate? Certo, inadeguatezza praticamente totale all’obiettivo affermato.
 
Abbiamo lasciato i lavori della riunione, o meglio la indecente gazzarra che stava iniziando. Prima di ora non avevamo mai abbandonato uno di questi incontri: ciascuno di noi infatti deve sempre dare fino in fondo il contributo migliore che può. Questa volta però abbiamo valutato,  sintetizzando nella memoria tutti gli incontri precedenti, che no, non ci sono proprio le basi culturali, né politiche, né morali, per l’impresa annunciata e di cui fin troppo enfaticamente si chiede anche la benedizione della gerarchia ecclesiastica, del resto a sua volta poco propensa a posizioni o iniziative risolutive; una impresa, comunque, già di per sé sull’orlo della malinconica autofrustrazione anche per altri aspetti: ad esempio la rigidità preconcetta e immatura della “fissazione mentale” sui lati formalistici della Dc storica, a cominciare dagli stessi simulacri di simbolo e nome, certo importanti ma su cui Sturzo o De Gasperi o Moro o Fanfani non si sarebbero davvero lasciati paralizzare.
 
E non è forse infondato pensare, purtroppo, che non sia solo l’attaccamento ideale alla memoria della grande Dc storica e dei suoi valori ispirati al popolarismo sturziano, a rodere segretamente il fegato di alcuni (troppi, decisamente) fra questi vetero-democristiani componenti il manipolo, o ruotanti attorno al manipolo: nei comportamenti osservati il sedici giugno, e prima del sedici giugno, qualcuno dei più avvertiti e spassionati fra gli stessi protagonisti ha potuto rilevare, ad esempio, indizi di un vampiresco pensiero rivolto alla sia pur lontanissima e ormai stramba questione della possibile riacquisizione di quello che fu il rilevante patrimonio materiale della Dc, a partire dalle sue sedi (comprese quelle romane del grande Palazzo Sturzo e le altre più note).
 
Comunque si è trattato, per la ennesima volta, di un comportamento e di una testimonianza sconfortanti: soprattutto per chi ha in mente il grande e vasto mondo attuale delle generazioni giovani in attesa, che chiedono il ritorno di una opportunità di grande iniziativa politica laica e cristianamente ispirata, ricca di speranza per tutti, avendo davanti agli occhi, contemporaneamente, le gravi debolezze dell’assetto politico attuale del paese nella sua complessività, che vanno assolutamente superate. Con il piccolo gesto dell’abbandono dei lavori del 16 giugno abbiamo semplicemente voluto dare un altrettanto piccolo ma coerente segnale della nostra valutazione circa lo stato attuale della situazione: non si tratta certo di abbandonare la speranza e l’impresa, bensì di deciderci finalmente a un cambiamento di stile e di caratura dei comportamenti, collettivi e personali.
 
Insomma, l’Italia continua ad aspettare. Aspetta una politica di nuova qualità, e ne continua a cercare i segnali dovunque, tanto nei possibili ambiti della società esterna ai partiti ma viva e sensibile a questi problemi, quanto in quelli specifici dei partiti attualmente operanti. E se dalla società esterna non ne emergono ancora, dagli attuali partiti abbiamo l’impressione che qualche segnale potrebbe pur cominciare a generarsi, forse, in seno alla Lega guidata da Salvini, se l’attuale esperienza di governo la indirizzasse a una graduale coscienza più alta e profonda sul presente e sul futuro del paese. Ove questo accadesse (del resto, come cittadini è onesto augurarlo) l’attuale situazione dei “cattolici democratici” così politicamente divisi, rissosi e mediocri, renderebbe ancora più umiliante questa ormai quasi surreale rincorsa verso la ricostituzione formalistica della Dc storica. In teoria, comunque, qualche possibilità di germoglio nuovo non può essere esclusa a priori neanche nel seno del pur superficiale Movimento Cinque Stelle, o del quasi decotto Partito Democratico, al cui interno non mancano del tutto singole coscienze di più attento orizzonte. Il cammino appare comunque parecchio complesso.
   
Abbiamo sentito diversi cattolici, o sedicenti tali, appartenenti al “manipolo” o ai suoi paraggi, insorgere indignati contro questa ipotesi che “qualcosa di buono possa nascere anche da altri”: ma, a parte la considerazione che è ben difficile coniugare una simile indignazione con la ispirazione cristiana, e a parte il fatto che proprio i grandi padri del pensiero popolare e democratico-cristiano, da Sturzo a De Gasperi ed a Moro, hanno agito una politica esattamente contraria a tale indignazione, c’è semplicemente da osservare che, pur nella loro lampante mediocrità, sia la Lega sia il Movimento Cinque Stelle hanno comunque fatto qualcosa, si sono proposti, si sono presentati, si sono organizzati, sono scesi in campo: i democristiani del manipolo e dei suoi paraggi sono ancora davanti allo specchio del loro narcisismo, a crogiolarsi con l’evidenziare le imperdonabili pecche di Lega e Cinquestelle. E no, cari amici: decisamente, così non va. Ne’ politicamente ne’ moralmente.
 
D’altro lato resta pur sempre giusto e doveroso che chi appartiene per convinzione profonda ed onesta al mondo dei valori duraturi e della migliore esperienza storica democratico-cristiana, e  vede un possibile orizzonte della politica italiana e internazionale nuovamente illuminato da un umanesimo integrale di quella matrice, continui a puntare decisamente su tale prospettiva, e non demorda. Per farlo è però assolutamente indispensabile superare altrettanto decisamente lo stallo e la stridente “squalità” attuale, che vede il manipolo “giuridicamente legittimo” del tutto ripiegato su sestesso, senza proposta politica né programmatica rivolta davvero al paese, ma soprattutto senza aver saputo ancora riunire in un embrione di organizzazione effettiva e autodisciplinata neppure un salottino con quattro persone e altrettante sedie per discutere davvero conclusivamente e ordinatamente di queste cose, e passare all’azione.
 
Eppure il manipolo ha prodotto, sul piano teorico, soprattutto fra il 2012 ed il 2015, in una fase particolarmente riscaldata da genuina aspettativa del grande miracolo possibile, alcuni documenti teorici di eccellenza qualitativa assoluta, tali che non si riscontrano, per lucidità di analisi del paese e visione programmatica, nella produzione teorica di nessuna delle forze politiche oggi presenti in parlamento. Avendovi concorso, con il presidente Gianni Fontana, ne conosciamo dall’interno la consapevolezza, organicità e lucidità particolari: il fatto è che, nello stesso tempo, mai si è visto un connubio così distruttivo fra tale eccellenza di documenti e la corrispondente incapacità totale di agire in senso organizzato ed autodisciplinato per trasformarli in fatto politico.
 
Cosa fare, dunque? Intanto ci pare giusto osservare che se anche questo maldestro tentativo in corso dovesse, come tutti i precedenti, fallire, sarebbe di fatto impensabile programmarne uno ulteriore: perché la storia che continua a camminare sta oggettivamente consumando le condizioni per le quali una tale prospettiva mantenga senso, davanti alle dinamiche di trasformazione complessiva della società globale in cui viviamo. In realtà ciò che, secondo noi, occorre fare, è semplicemente distinguere subito, e mantenere distinti, i due problemi compresenti, e purtroppo  confusi invece che semplicemente collegati: quello giuridicistico della Dc storica, che può e deve essere gestito come semplice fatto importante ma secondario e collaterale rispetto al problema sostanziale del nuovo soggetto politico da generare: importante perché è giusto, fino a un certo punto, che ogni fase storica abbia una sua conclusione anche formalmente certa; e quello appunto sostanziale, per il quale occorre passare francamente oltre il dato storico e giuridicistico, e pervenire alla nitida e forte costituzione del partito nuovo di ispirazione cristiana disegnato e necessario per il ventunesimo secolo: un partito anche piccolissimo in partenza, eventualmente, ma qualificato subito per: a. oggettiva pratica esemplare della democrazia interna, b. evidente elevatezza di elaborazione e proposta politica, c. concreta primazia di un’azione di formazione permanente  profonda delle coscienze (formazione delle coscienze, non addestramento alla propaganda!) nelle sedi che via via si organizzano, e d. tangibile opera di animazione sociale e culturale nel tessuto quotidiano della vita dei cittadini a ogni livello e in ogni territorio.
 
Né si illudano quegli altri resti dispersi e mediocri del mondo veterodemocristiano, che tanto tengono a distinguersi dal “manipolo” a suon di ricorsi giudiziari ed altre furberie o proposte subdole di pre-spartizione  delle presunte tessere e dei presumibili costituendi organi (parliamo delle cento risibili e personalistiche democraziecristiane sparpagliate indegnamente negli anfratti del parlamento e delle amministrazioni locali): il loro credito presso la parte seria e pulita del paese è sostanzialmente uguale a zero, e per quanti fra questi si sono intestarditi a negarlo è venuta, logica e irrefutabile, la comprova elettorale del 4 marzo scorso.
 
Come trovare la forza, la coesione e la lucidità per decidere e fare una cosa così semplice, così pura e così grande come quella che proponiamo? Bisogna essere semplici, puri e grandi. Cioè maturi e umili. L’umiltà, soprattutto, è indispensabile non soltanto per la impresa in sé, di cui garantisce lo spirito altruistico di servizio e il senso spassionato di comunità, ma anche per la consapevolezza storica profonda sul fatto che ciò che si costruisce trova nel patrimonio spirituale del passato e nei suoi ideali rinnovati la forza per mettere definitivamente da parte le zavorre accumulate nell’ultimo quindicennio di vita della Dc storica e nel venticinquennio della diaspora, e che furono causa reale della fine della Democrazia Cristiana: per poter finalmente mettere davvero tale patrimonio a disposizione della società attuale in modo moralmente credibile ed esemplarmente testimoniante.
 
Uno degli inviti più forti a tale umiltà, del resto, può venire anche dalla semplice constatazione del fatto che lo stesso fondamento formale dei 1.700 iscritti dell’ultimo tesseramento della Dc storica, che fa sentire così gelosamente e aggressivamente esclusivisti molti componenti del “manipolo”, è in realtà il rimasuglio di una situazione che non era affatto nobile come viene descritta; chi infatti conosce davvero la macchina del tesseramento della Democrazia Cristiana storica in quella torbida fase di passaggio dell’ultimo quindicennio citato, sostanzialmente dopo la morte di Moro, sa benissimo che il tesseramento era ormai abitualmente tanto corrotto e sporco, ma tanto sporco e corrotto, che negli ambienti della direzione centrale correva la battuta che i veri Dc non erano quelli degli elenchi del tesseramento, i quali elenchi erano invece “dominati dalle clientele”, mentre “ i veri democratici-cristiani sono fuori”.
 
Nessuno può smentirci in questo richiamo storico, per il semplice fatto che a quei tempi operavamo nella direzione centrale del partito e ricordiamo bene che la parte pulita di un partito già corroso al suo interno doveva addirittura allontanarsi fisicamente, a volte, dal contatto diretto con quegli elenchi, per non essere costretta a una guerra che non le avrebbe dato scampo. La Dc non era molto migliore degli altri partiti, in quella stagione storica. Diciamo con amarezza tutto questo, avendo partecipato con convinzione piena al tentativo di rinascita in corso della Dc più grande e degna:  avendovi partecipato in tutte  le sue fasi fin dal 2012, convinti che alla grande esperienza del Partito Popolare e della Democrazia Cristiana come seppe svilupparsi fino ad Aldo Moro, e solo a quella, meriterebbe effettivamente tornare per il bene profondo del nostro Paese e anche dell’Europa, del Mediterraneo, del mondo.
 
Occorre, insomma, piena e grande consapevolezza della importanza storica della impresa che si sta tentando di compiere, e anche della nostra dignità che vi è pienamente coinvolta e che non ha il diritto di lasciarsi trascinare nel baratro di un livello che sta tradendo tutti i valori della storia alta del movimento democratico dei cattolici italiani. In questo senso abbiamo sempre sostenuto che chi oggi rappresenta formalmente la Democrazia Cristiana storica, e sta cercando faticosamente di guidare il tentativo oltre il difficile guado, cioè il presidente Gianni Fontana, ha sì il dovere politico e morale di portare fino in fondo la soluzione della questione giuridica della Dc storica, ma sapendo bene, come accennavamo, che questo è solo l’obiettivo di dare giusto compimento a un processo storico e giuridico, non è affatto il futuro del movimento unitario dei cattolici italiani in politica,  non è affatto la prosecuzione sostanziale della storica Democrazia Cristiana: e che pertanto è semplicemente e urgentemente necessario passare al gia’ citato nuovo soggetto politico che su quelle ceneri nobili e con gli stessi valori e principi incarni esigenze e risposte necessarie al ventunesimo secolo.  
 
Del resto, fin dal congresso del 2012 tale è stata in effetti la idea chiara di Fontana, come del sottoscritto e di altri, sia appartenenti al “manipolo” sia amici fuori del manipolo, che hanno cercato di dargli man forte in questo cammino. Per quanto poi ci riguarda personalmente, abbiamo ripetuto a Fontana, più decisamente ancora, che, secondo noi, ove riuscisse la laterale soluzione positiva della questione giuridicistica della Dc storica, con assoluta sollecitudine sarà necessario, subito dopo tale soluzione, anzi pressoché contestualmente con essa, dichiarare comunque anche il nuovo nome ed il nuovo simbolo del rinnovato soggetto politico, con apertura immediata e trasparente del nuovo tesseramento e della nuova organizzazione, dando così inizio alla vita franca del partito adeguato appunto al ventunesimo secolo, di cui l’Italia ha bisogno.
 
Noi infatti vogliamo essere continuatori e sviluppatori di valori, non idolatri di schemi e nostalgie storiche.
 
                                                                                                    Giuseppe Ecca
 


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