Esperienze

STORIA DI CLAUDIO

Lo conosciamo da tanto ed in tanti, don Viscardo, in questa nostra realtà romana. Prete per convinzione e vocazione profonde, ogni tanto ci racconta qualcosa di ciò che gli accade. Volutamente il suo linguaggio è sempre quello poco aulico e molto popolare della comunità nella quale vive e della quale condivide i problemi.
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Gesù disse anche questa parabola: "Un tale aveva un albero di fico piantato nella vigna e venne a cogliervi frutti, ma non ne trovò. 
Allora disse al vignaiolo: Sono tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico e non ne trovo mai. Taglialo. Perché sfruttare così il terreno? 
Ma quello rispose: Padrone, lascialo ancora quest'anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l'avvenire; se no, lo taglierai (Vangelo secondo Luca, capitolo 13).
  • Te la senti?
  • Che vuol dire “te la senti”? Non mi conosci?
  • Beh, andare venerdì non solo al processo, ma pure a trovarlo al carcere di Civitavecchia, non è proprio il meglio per te. Fai il parroco, mica sei in pensione.
  • Che discorso mi fai? È oppure non è importante che io vada là? L’avvocato sei tu; dimmelo chiaro: vuoi che vada, sì o no?
  • Scherzi? Per un affare del genere la testimonianza di un prete, per di più parroco e sulla breccia, conta il doppio, te l’assicuro.
  • E allora vado e stop. A che ora? Anzi, no no; aspetta: fammi appuntare le cose importanti che dovrei dire in udienza.
Michele è un giovane avvocato, non proprio alle prime armi ma, insomma… insomma a lui gliene danno parecchie di grane da “avvocato d’ufficio”. Certe volte senza beccare una lira.
 
  • Ecco, sì: prendi una penna che ti detto i passi più importanti.
È per un povero diavolo. Claudio. Claudio fa su e giù da Rebibbia a Viterbo a Regina Coeli e appunto a Civitavecchia. Piccole cose, un balordo. E pure sfigato. Quasi sempre lo beccano.
Quella volta l’avevano preso che guidava un’Ape, ovviamente rubata, mentre usciva da un vivaio dell’Aurelia Antica. Dodici vasi di ciclamini, aveva fregato. Pensa tu che reato... Lì vicino c’era stata in passato una rapina col morto… e allora avevano fatto due per due e ci avevano infilato pure il fascicolo di quello scemo di Claudio.
 
Udienza:
  • Reverendo, come lo conosce, che ci dice di Claudio?
 
Era entrato tutto incatenato a una ragazzina. Pensa tu: una zingarella che al Verano faceva razzia di borse alle donne che cambiavano l’acqua ai fiori. Incatenati come due schiavi del film Quo Vadis. Da morire dal ridere (si fa per dire).
 
  • Beh, presidente, Claudio…. Claudio è un ragazzo… che vuole… un po’ disturbato, incostante, nervoso. Praticamente randagio. Con un’infanzia non facile da raccontare. Qualche volta càpita in parrocchia da noi. Mangia e dorme da noi e poi… poi per un po’ sparisce.
  • Fa il sagrestano?.
 
 
- Ma no, presidente, che sagrestano, non so neanche se crede… A noi… non ci piace chiedere troppo. Se possiamo diamo una mano: un piatto, un letto,stop. Ora per Claudio abbiamo iniziato un progetto di lavoro. Farà l’arrotino, signor presidente. A giorni dovrebbe arrivarci una bicicletta attrezzata. Un ragazzo ingenuo, Claudio, in fondo un bravo ragazzo, stupido sì ma non cattivo. Presidente, rispondo io....
  • Lo affido a lei, reverendo… Guardi che è l’ultima volta. Lei lo sa che Claudio ha una fedina lunga come I Promessi Sposi?
 
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  • Perché non mi dici mai niente di te, Claudio? Sei nato a Roma?… Uhm non parli tanto bene il romanesco spinto… mi sa di no… I tuoi genitori?
  • Ma che me stai a chiede, ma che me voi prenne pel….a Viscà? Ma quali genitori. Io nun so manco dove so’ nato. Certo a Roma no, un po’ de romanesco lo mastico, sennò  sarebbero guai peggio. No, io so’ Claudio e basta. E nun so  gniente, nun conto gniente e nun ci ho niente. E soprattutto nun me ne frega gniente, vabbè?
  • Neanche, che so, una casa-famiglia?
  • Uuhhh, ancora. Peggio me sento. So’ scappato da tutte, Viscà, scappo sempre io, lo voi capì? Le quattro mura me soffocano e le regole…oh Dio le regole, e fai questo e non fare quest’altro e lo psicologo e l’assistente sociale e il mezzo giudice. No guarda, nun è… ste cose nun so’  proprio pe’ me. Te dirò: sto’ mejo in galera. Almeno ci ho un letto, tre pasti caldi, sigarette che nun mancano mai e di tanto in tanto sì, di tanto in tanto pure un po’ de roba. Quella vera però. Quella speciale quella costosa, ma pe’ noi lì dentro aggratis. Perché nun te crede, Viscà, il carcere, te lo dico in perfetto italiano, per chi ci sa vivere, è un mondo. Fai amicizie, gente sincera, di parola. A me m’avevano praticamente adottato. Che se fai il carogna te massacrano ma se fai il bravo vivi bene. Certo comandano i capi, mica le guardie. Che nun te se filano proprio. Mejo così.
    Che voi sapé? Dicono che m’hanno raccorto da un cassonetto ma nun è      vero, so’  tutte stron…io so n’artra storia. Viscà: sarà che mì madre, da poraccia che era, non ce l’avrebbe fatta a tenemme. Ecco. Che colpa je do? Che t’ho da dì, càpita no? Càpita a un sacco de gente, e lì dentro a quer mucchio ce sto pure io, Claudio. È andata così. Volontà di Dio: non dite così, voi preti?
 
La bicicletta arriva.
 
  • Claudio, beh come va, come ti trovi, va bene? Ti danno lavoro? La bici?
  • Ah, sí, la bici… la bici… la bici purtroppo s’è rotta, Viscà. L’ho portata dal meccanico. Me la ridà dopodomani.
 
Capisco subito che se l’è bella e venduta! Claudio era quello che era e, a suo modo, ci era grato, riconoscente. Serviva a tavola. Gliene fossero rimaste due sole di sigarette, una era per Franco, che a quel tempo ancora fumava.
 
Citofono.
  • Chi è?
  • - Sono Marco. Viscardo, vengo su?
 
È Marco, il maresciallo di polizia che lavora al Commissariato di via Cavallotti.
  • Vieni, Marco. Mangi con noi?
  • No, scappo: m’aspettano a casa. Per …
 
E ride. “Pure voi eh, pure voi avete messo su un piccolo business? Eh, reverendi?”.
  • Ma che dici? Marco…
  • E che ci ho, qui nel pacco? Ci ho un tesoro, Viscardo. Ma pensa te. Io a Porta Portese non mi ci allungo praticamente mai, la domenica mattina. Stamattina mi dico quasi quasi m’affaccio…. No, non è possibile. Che ti vedo? Di sguincio, oh Signore, mi pare lui, ma sì, è proprio lui, quel ragazzo che ogni tanto ospitate. Come si chiama… Eccola qua. Non è… come la chiamate?…”.
  • Sì è ‘una pianeta’ da messa, quelle ovali, noi le chiamiamo scherzando ‘le pianete a mandolino’. Si usavano prima del Concilio. Caspita, ma è di valore. Ma sì, credo un fine-Settecento. La regalò  Pio XI nel ‘35 quando inaugurò  la parrocchia qui al Gianicolense. Portata di peso dalla sagrestia di San Pietro. Arrivò insieme alla bella pala d’altare della scuola di Raffaello che vedi nell’abside.
  • E insomma, ti dicevo, stava già contrattando… che io comincio a strillare” Ferma, ferma, fermaaaa!”. E il bancarellaro che trema come una foglia, e lui…lui sparito in un lampo. Ma, dico io, li tenete così a portata di mano questi tesori, Viscardo?
Due-tre giorni e tornava. Feci finta di niente. Sarebbe servito solo a umiliarlo e io a passare da pappa e ciccia con gli sbirri.
  • Viscardo, stasera, ecco qua, pe’ cena v’ho portato una bella torta… come si chiama? Mimosa, ecco, sì, una bella mimosa. Oggi non è la festa di Franco? La prima fetta a Franco. Auguri.
La pasticceria Desideri a via Carini ancora la piange, la bella mimosa. Insomma, Claudio ladruncolo, sì, ma di cuore...

Così una bella mattina vado per dire la messa e in punta di piedi allungo il braccio per prendere il mio piccolo calice. Un regalo della mia ordinazione sacerdotale. Quando nel ‘61 feci l’ultima notte per lei al Policlinico, a mamma la fede gliela sfilai dal dito appena spirata: prima che gliela fregassero giù in sala settoria. La feci poi incastonare sotto la coppa del mio calice per tenerla sempre con me.
 
  • Dov’è? Franco, Andrea, sapete dov’è finito il mio calice?…
Mi guardano sconsolati.
  • No. Stavolta però glielo dico, ci tengo troppo alla fede di mamma.
  • Ma che, era d’oro? - mi fa lui con quel sorrisetto malandrino - . Perché non me l’hai detto? L’avrei venduta meglio, no?
 
Mi mette la mano sulla spalla.
  • Giuro, Viscardo, che stavolta avrai tutto e pure di più. Te la riporto, promesso, mano sul cuore e se non è quella, una che le somiglia.
  • Ma no, Claudio, no. Credo che non fosse… sì, la fede d’oro credo l’avesse regalata al duce nel ‘36 al tempo delle sanzioni. L’oro alla patria. Lascia perdere, per favore. Hai capito? Te lo ripeto, lascia perdere, Claudio.
Non mi sbagliavo. Lo fregarono per sempre in una rapina (a mano armata ma con pistoloni giocattolo) a una gioielleria di viale Marconi. Erano in tre. A lui, nel palmo della mano sinistra, gli trovarono una fedina d’oro.
                                                           
                                                                                                                         (Lauro Viscardo)
 
                                                                                      °°°°°
                                                                                       MM

 


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