Il punto della situazione, secondo noi, mentre ininterrottamente fervono i tentativi di raggiungere finalmente la meta: cosa, oltre che pienamente legittima, del tutto auspicabile per l'Italia, politicamente povera di cultura politica e partitica allo stato attuale delle cose.
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Venticinque anni di diaspora del movimento di ispirazione cristiana nella politica italiana, seguita alla scomparsa per autoscioglimento della storica Democrazia Cristiana, costituiscono un lasso di tempo sufficiente per una visione compiuta e limpida di quanto accaduto nel nostro paese, e rendono ormai necessario che tale visione si traduca in una nuova assunzione di responsabilità attiva e preclara nei confronti del paese stesso, ponendo fine alla sterile profluvie retorica, documentale e a prevalenza recriminosa.
Due elementi risaltano incontrovertibili dall’analisi di tali venticinque anni:
Orbene, nel quadro complesso, ma a volte più complicato che complesso, di tale frantumazione, le iniziative che continuano a proliferare per la ripresa di un ruolo politico di ispirazione cristiana di alto e universale respiro si rivelano assunte in grande prevalenza da personalità variamente ricche di esperienza ai diversi livelli della vita del paese, amministratori locali, parlamentari, docenti universitari, animatori sociali, tecnici delle istituzioni, sindacalisti, professionisti, e così via, alla guida di gruppi di cittadini di diversificata consistenza.
E’ una situazione che richiama la doverosità, quanto meno, di un valore di principio e di due conseguenze operative. Il valore di principio è che l’auspicato nuovo soggetto politico di ispirazione cristiana non può che avere il carattere di una associazione di persone, mai di organizzazioni o espressioni organizzate di interessi. Perché è solo la persona a essere portatrice iniziale e finale di diritti, doveri e responsabilità (anche questo è personalismo).
La prima conseguenza è che principio inderogabile di successo dell’impresa comune resta quello secondo cui ciascuna singola persona, qualunque siano il suo pregresso e attuale ruolo presso la opinione pubblica interessata, non può che aderire al nuovo soggetto politico in assoluta pari dignità rispetto a tutte le altre persone. Lo diciamo con accorato convincimento davanti alla constatazione negativamente sintomatica di persone che prospettano per sé l’aspettativa aprioristica di vedersi riconoscere nel nuovo soggetto politico ruoli garantiti o comunque di maggior riguardo, siano esse parlamentari che vantano il peso di una già operativa spendibilità istituzionale ed elettorale, sindacalisti che vantano una pregressa copertura di ruoli nazionali, cattedratici che vantano una già riconosciuta notorietà nei mondi accademici, rappresentanti di organismi portatori di potenziali consensi collettivi, e così via.
Una simile pretesa di ruoli pregiudizialmente riconosciuti è incompatibile con il necessario carattere di assoluta e trasparente connotazione democratico-associativa incarnata nei valori del personalismo e popolarismo politico di matrice cristiana che si vogliono riproporre, conosciuti dalla tradizione valoriale sturziana come da quelle degasperiana e dossettiana e lapiriana e morotea e così via.
La seconda e correlativa conseguenza è che, posta l’accettazione piena dello statuto del nuovo soggetto politico e le sue prescrizioni valoriali e comportamentali, a nessuna persona che lo desideri può essere preclusa a priori la partecipazione al nuovo partito. Come a nessun gruppo di persone può essere precluso di concorrere alla sua costituzione.
Ove così non fosse, la nuova realtà organizzata, piuttosto che rappresentare per l’Italia e per il mondo una grande speranza, rappresenterebbe la sterile reiterazione di modelli di oligarchia negatori in radice dei valori richiamati. Quando occorre invece un rinnovato potente modello di umanesimo ad alta caratura di cultura delle regole e di visione comunitaria, che in altre occasioni abbiamo già avuto modo di definire “di rigorosità e luminosità monastiche”.
Mi permetto infine di richiamare per sintetiche espressioni alcuni altri concetti già in passato illustrati, e cioé:
(Giuseppe Ecca)
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Venticinque anni di diaspora del movimento di ispirazione cristiana nella politica italiana, seguita alla scomparsa per autoscioglimento della storica Democrazia Cristiana, costituiscono un lasso di tempo sufficiente per una visione compiuta e limpida di quanto accaduto nel nostro paese, e rendono ormai necessario che tale visione si traduca in una nuova assunzione di responsabilità attiva e preclara nei confronti del paese stesso, ponendo fine alla sterile profluvie retorica, documentale e a prevalenza recriminosa.
Due elementi risaltano incontrovertibili dall’analisi di tali venticinque anni:
- il primo è che la Democrazia Cristiana storica si dissolse essenzialmente per le proprie debolezze morali e culturali interne, nel quadro di un dissolvimento più complessivo che colpiva contemporaneamente tutto il quadro politico e socio-culturale del paese: non si dissolse per oscure congiure di nemici esterni, come troppe volte viene ripetuto a modo di autoscusante; ed è onesto e soprattutto utile riconoscerlo;
- il secondo è che i venticinque anni di diaspora sono venuti evidenziando una strutturale frantumazione del movimento volto a ricomporre in unità coerente, credibile e operativa quella esperienza storica e quella cultura politica, aggiornandole alle esigenze del ventunesimo secolo: frantumazione nella prevalenza dei casi non assimilabile a un sano e fertile pluralismo dialettico di idee e proposte ma piuttosto riconducibile a quelle medesime patologiche debolezze morali e culturali interne sopra accennate, che hanno reso sterile fino a oggi il pur copioso proliferare di proposte, ipotesi, auspici e tentativi di dar vita alla citata ricomposizione.
Orbene, nel quadro complesso, ma a volte più complicato che complesso, di tale frantumazione, le iniziative che continuano a proliferare per la ripresa di un ruolo politico di ispirazione cristiana di alto e universale respiro si rivelano assunte in grande prevalenza da personalità variamente ricche di esperienza ai diversi livelli della vita del paese, amministratori locali, parlamentari, docenti universitari, animatori sociali, tecnici delle istituzioni, sindacalisti, professionisti, e così via, alla guida di gruppi di cittadini di diversificata consistenza.
E’ una situazione che richiama la doverosità, quanto meno, di un valore di principio e di due conseguenze operative. Il valore di principio è che l’auspicato nuovo soggetto politico di ispirazione cristiana non può che avere il carattere di una associazione di persone, mai di organizzazioni o espressioni organizzate di interessi. Perché è solo la persona a essere portatrice iniziale e finale di diritti, doveri e responsabilità (anche questo è personalismo).
La prima conseguenza è che principio inderogabile di successo dell’impresa comune resta quello secondo cui ciascuna singola persona, qualunque siano il suo pregresso e attuale ruolo presso la opinione pubblica interessata, non può che aderire al nuovo soggetto politico in assoluta pari dignità rispetto a tutte le altre persone. Lo diciamo con accorato convincimento davanti alla constatazione negativamente sintomatica di persone che prospettano per sé l’aspettativa aprioristica di vedersi riconoscere nel nuovo soggetto politico ruoli garantiti o comunque di maggior riguardo, siano esse parlamentari che vantano il peso di una già operativa spendibilità istituzionale ed elettorale, sindacalisti che vantano una pregressa copertura di ruoli nazionali, cattedratici che vantano una già riconosciuta notorietà nei mondi accademici, rappresentanti di organismi portatori di potenziali consensi collettivi, e così via.
Una simile pretesa di ruoli pregiudizialmente riconosciuti è incompatibile con il necessario carattere di assoluta e trasparente connotazione democratico-associativa incarnata nei valori del personalismo e popolarismo politico di matrice cristiana che si vogliono riproporre, conosciuti dalla tradizione valoriale sturziana come da quelle degasperiana e dossettiana e lapiriana e morotea e così via.
La seconda e correlativa conseguenza è che, posta l’accettazione piena dello statuto del nuovo soggetto politico e le sue prescrizioni valoriali e comportamentali, a nessuna persona che lo desideri può essere preclusa a priori la partecipazione al nuovo partito. Come a nessun gruppo di persone può essere precluso di concorrere alla sua costituzione.
Ove così non fosse, la nuova realtà organizzata, piuttosto che rappresentare per l’Italia e per il mondo una grande speranza, rappresenterebbe la sterile reiterazione di modelli di oligarchia negatori in radice dei valori richiamati. Quando occorre invece un rinnovato potente modello di umanesimo ad alta caratura di cultura delle regole e di visione comunitaria, che in altre occasioni abbiamo già avuto modo di definire “di rigorosità e luminosità monastiche”.
Mi permetto infine di richiamare per sintetiche espressioni alcuni altri concetti già in passato illustrati, e cioé:
- più elevata è la cultura del nuovo soggetto politico, meno senso ha porsi un problema di schieramento al centro piuttosto che al centrosinistro o al centrodestro della politica italiana: Il popolarismo è altro;
- il nuovo soggetto politico non è in funzione centrale del momento elettorale, bensì quest’ultimo è conseguenza diretta e forte del partito immerso socialmente ed operativamente fra la gente;
- la sovraproduzione particolaristica di proposte programmatiche per l’Italia costituisce un gigantismo verboso che nuoce alla chiarezza e identità forte del programma: la nostra storia e la nostra identità valoriale sono bastantemente espresse da pochi e chiari caposaldi, fra i quali il diritto al lavoro, l’impresa partecipativa, lo Stato snello, la formazione di base umanistica, e pochi altri. Il restante è corretto e sacrosanto e rispettoso che venga riservato alla futura elaborazione democratica degli organi democratici del nuovo partito.
(Giuseppe Ecca)
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