Il coronavirus lo ha brutalmente imposto, il lavoro snello, come risorsa di ultima istanza per affrontare una pandemia che altrimenti avrebbe avuto effetti di gran lunga più drammatici, connessi con il puro e semplice blocco di una grande quantità ulteriore di attività economiche.
Ora, terminata la fase acuta della pandemia, sarebbe un errore molto grave limitarsi a tornare al semplice modo di lavorare precedente, perdendo la occasione di studiare, perfezionare, implementare e diffondere la modalità del lavoro snello, articolandola intelligentemente con la necessaria quota di lavoro “in presenza e collettivo”, che non può essere superato.
Sulla tematica, molto prima che il carognavirus facesse sentire la sua mano pesante, si esprimevano già diversi studiosi, e la giurista Manuela Lupi, in questo quadro, due anni fa precisò in un breve essenziale articolo lo stato, appunto giuridico, alcuni aspetti della situazione. Riproponiamo la sua riflessione per la attualità concreta che essa esprime a livello di chiarimento concettuale, e dalla quale è corretto ripartire dopo la pandemia per non limitarci stupidamente a riprendere tutto come se nulla fosse stato.
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La legge 22 maggio 2017 n.81, intitolata "Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi di lavoro subordinato" e' entrata in vigore il 14 giugno 2017.
Essa istituisce presso i Centri per l'Impiego uno sportello dedicato al lavoro autonomo per raccogliere le domande e le offerte di questo tipo di prestazione, e dare informazioni alle aziende che ne facciano richiesta.
Fermiamoci a considerare il capo secondo della legge, che regola il “lavoro agile” o “smart working” o “lavoro snello”.
La legge colloca questa modalità di lavoro nell'ambito del lavoro subordinato, differenziandola dal telelavoro. E’ una forma di lavoro stabilita mediante accordo tra le parti, con forme di organizzazione per fasi, cicli ed obiettivi, senza vincoli di orario o di luogo di lavoro, senza postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario.
Il lavoro agile si basa sull'utilizzo da parte del lavoratore di strumenti tecnologici del cui buon funzionamento è responsabile il datore di lavoro. Le disposizioni si applicano anche ai dipendenti della pubblica amministrazione e gli incentivi di carattere fiscale e contributivo devono essere riconosciuti anche a tale lavoro.
L'accordo relativo al lavoro agile va stipulato per iscritto e deve individuare i tempi di riposo, le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche al termine degli orari di lavoro, e deve individuare quelle modalità di esercizio della prestazione che possano dare origine a sanzioni disciplinari.
Il lavoro agile può, inoltre, essere a tempo determinato o indeterminato: e in questo secondo caso il recesso può avvenire con un preavviso non inferiore a 30 giorni.
In materia di trattamento economico, poi, la legge introduce:
1) il diritto a un trattamento non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei colleghi che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all'interno dell'azienda;
2) il diritto all’apprendimento permanente e alla periodica certificazione delle relative competenze.
Il datore di lavoro garantisce anche la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di “lavoro agile”, e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.
Il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali.
Il lavoratore ha diritto inoltre alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali.
Il lavoratore ha diritto infine alla tutela contro gli infortuni sul lavoro occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative, e risponda a criteri di ragionevolezza.
(Manuela Lupi)
Ora, terminata la fase acuta della pandemia, sarebbe un errore molto grave limitarsi a tornare al semplice modo di lavorare precedente, perdendo la occasione di studiare, perfezionare, implementare e diffondere la modalità del lavoro snello, articolandola intelligentemente con la necessaria quota di lavoro “in presenza e collettivo”, che non può essere superato.
Sulla tematica, molto prima che il carognavirus facesse sentire la sua mano pesante, si esprimevano già diversi studiosi, e la giurista Manuela Lupi, in questo quadro, due anni fa precisò in un breve essenziale articolo lo stato, appunto giuridico, alcuni aspetti della situazione. Riproponiamo la sua riflessione per la attualità concreta che essa esprime a livello di chiarimento concettuale, e dalla quale è corretto ripartire dopo la pandemia per non limitarci stupidamente a riprendere tutto come se nulla fosse stato.
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La legge 22 maggio 2017 n.81, intitolata "Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi di lavoro subordinato" e' entrata in vigore il 14 giugno 2017.
Essa istituisce presso i Centri per l'Impiego uno sportello dedicato al lavoro autonomo per raccogliere le domande e le offerte di questo tipo di prestazione, e dare informazioni alle aziende che ne facciano richiesta.
Fermiamoci a considerare il capo secondo della legge, che regola il “lavoro agile” o “smart working” o “lavoro snello”.
La legge colloca questa modalità di lavoro nell'ambito del lavoro subordinato, differenziandola dal telelavoro. E’ una forma di lavoro stabilita mediante accordo tra le parti, con forme di organizzazione per fasi, cicli ed obiettivi, senza vincoli di orario o di luogo di lavoro, senza postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario.
Il lavoro agile si basa sull'utilizzo da parte del lavoratore di strumenti tecnologici del cui buon funzionamento è responsabile il datore di lavoro. Le disposizioni si applicano anche ai dipendenti della pubblica amministrazione e gli incentivi di carattere fiscale e contributivo devono essere riconosciuti anche a tale lavoro.
L'accordo relativo al lavoro agile va stipulato per iscritto e deve individuare i tempi di riposo, le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche al termine degli orari di lavoro, e deve individuare quelle modalità di esercizio della prestazione che possano dare origine a sanzioni disciplinari.
Il lavoro agile può, inoltre, essere a tempo determinato o indeterminato: e in questo secondo caso il recesso può avvenire con un preavviso non inferiore a 30 giorni.
In materia di trattamento economico, poi, la legge introduce:
1) il diritto a un trattamento non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei colleghi che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all'interno dell'azienda;
2) il diritto all’apprendimento permanente e alla periodica certificazione delle relative competenze.
Il datore di lavoro garantisce anche la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di “lavoro agile”, e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.
Il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali.
Il lavoratore ha diritto inoltre alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali.
Il lavoratore ha diritto infine alla tutela contro gli infortuni sul lavoro occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative, e risponda a criteri di ragionevolezza.
(Manuela Lupi)
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