Società

COSTA DI PIU' FIDARCI O NON FIDARCI?


 
 
Lo stile di Ugno Righi, esperto consulente di gestione aziendale: uno stile essenzialissimo, veloce, senza fronzoli di sorta: ma una buona occasione, per chi legge, di riflettere sulla importanza centrale dei rapporti di fiducia e sui loro meccanismi, nella vita in generale e nel lavoro in particolare.
 
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Chiunque trascura la verità nelle cose di poco conto non può essere degno di fiducia con le questioni più importanti. (Albert Einstein). 
 
Parla, lo guardo, lo ascolto, è credibile ma non lo sento vero. Quindi non mi fido.
 
Quante volte accade questo, e sempre di più…
 
Nel micro dei contatti quotidiani e nel macro degli scenari.
 
Stiamo assistendo da tempo a questo fenomeno in politica, dove la percezione diffusa di sfiducia e inaffidabilità (intreccio di assenza di etica e di competenza) è che esse prevalgono su tutto.
 
Il tema della fiducia è davvero complicato, complesso, pieno di contraddizioni e di vicoli ciechi.
 
È difficile darla, la fiducia, e a volte non conviene farlo. È difficile riceverla, e a volte è bene che non ce la diano perché neanche noi abbiamo fiducia in noi stessi.
 
Si perde facilmente ed è difficilissimo riaverla; nelle relazioni d’amore o di amicizia è quasi impossibile.
 
Fidarsi dei banditi è da stupidi; fidarsi degli stupidi è da incoscienti.
Siamo circondati da banditi e da stupidi, che, giustamente, non si fidano tra loro.
 
Però sappiamo, ed è inesorabilmente vero, che la fiducia è fondamentale per il benessere sociale ed economico.
 

Possiamo fare tanti bei corsi di formazione, incitare le persone, usare parole luccicanti, avere capi «ispirati», ma se non c’è fiducia tutto crolla.
 
Ferrero ha successo perché ha come valore fondamentale quello della fiducia e come lui le imprese o le nazioni di successo: creano valore prima di prodotti.


Fiducia che le parole coincidano con i pensieri di chi le esprime, fiducia che siano tali anche i fatti, fiducia che non ci sia uno scopo dannoso verso chi si fida.
 
La fiducia è legata alle convinzioni che noi ci facciamo rispetto al comportamento degli altri, e spesso le nostre convinzioni rispetto al comportamento degli altri sono negative.
 
La sfiducia è diffusa, è cresciuta ed è diventata maestra di vita, la prassi e l’esperienza l’hanno resa dura e tenace. Sguardi attenti e un po’ bassi, espressioni corrucciate, cuore in allarme permanentemente. La minaccia è sempre presente, non si può abbassare la guardia.
 
Sembrerebbe quindi che le condizioni per agire bene siano rese impossibili: ma siccome dobbiamo vivere e agire pur non avendo, nella prevalenza dei casi, informazioni o percezioni sufficienti né per fidarci né per fare l’opposto, spesso “ci fidiamo” ma con bassa cooperazione.
 
La fiducia serve per partire e solo la fiducia può generare fiducia e quindi cooperazione.
 
La fiducia è dunque un prodotto potenziale della cooperazione e non una sua pre-condizione inevitabile (anche se quando c’è è un vantaggio).
 
Spesso la fiducia data in avvio di una relazione è leggera, incerta, debole, e piano piano si consolida pur rimanendo leggera; e quando diventa forte è ancora più «rischiosa» perché il tradimento di una fiducia che si è alimentata di fiducia è dolorosissimo.
 
I grandi professionisti della sfiducia sono esperti di questo gioco. Nel film La casa dei giochi si vede come il grande truffatore aveva come suo strumento base proprio la creazione della fiducia. Ma si vede ovunque,  questa perversa abilità.


Tale considerazione determina, quindi, la legittimazione del proprio scorretto comportamento perché fondata sulla percezione negativa del comportamento dell’altro o sulla valutazione della percezione negativa dell’altro su di noi, confermata poi, reciprocamente, dal risultato! “Faccio bene a non fidarmi perché vuoi danneggiarmi”.
 
L’alibi è quindi impeccabile e il gioco delle opportunità diventa subito quello della droga del conflitto, in cui a un certo punto l’obiettivo diventa «far fuori quel nemico».


Poter collaborare, cooperare, o addirittura vivere con gli altri, richiede, quindi, non solo che noi ci fidiamo di loro ma che siamo convinti che loro si fideranno di noi.
 
Anche se può essere di cruciale rilevanza avere motivi per cooperare (in aziende, con conoscenti, ecc.) è un errore pensare che ciò avverrà certamente, così come può esserlo pensare che se non avverrà è perché si preferisce il conflitto.
 
Come far capire che la cooperazione, spesso, può essere attraente e vantaggiosa al punto tale che valga la pena di investire un po’ di fiducia? Ecco la sfida!  Bisogna essere affidabili: tutto qui!
 

E bisogna che gli altri lo riconoscano. Se vuoi averla, la fiducia, devi darla. Poi devi confermarla con comportamenti che la aumentino.
 
Il contributo che una persona può dare nel far crescere ulteriormente la fiducia riguarda la sua capacità di fidarsi (non ciecamente) ma anche, se non soprattutto, di suscitare negli altri questo sentimento verso di sé.
 
Un aspetto che è presente spesso nel nostro tempo e nella nostra nazione esprime una variante rispetto a questo ragionamento: accade quando ci sono vantaggi elevati a operare con qualcuno (o costi elevati a non farlo) ma il livello di fiducia è basso. In questo caso, le relazioni vanno avanti ugualmente perché i soggetti in gioco, pur non fidandosi, hanno un alto vantaggio nel mantenere la relazione. È un’apparente paradossalità: «Non mi fido di te ma son sicuro che non mi tradirai perché farlo non ti conviene». È un gioco pericoloso, dove entrambi sanno che alla fine l’altro tradirà, e «vincerà» chi lo farà per primo neutralizzando la possibilità dell’altro di reagire.
 
Giochi velenosi riempiti di miele. Conferme verbali di lealtà e trucchi sommersi d’inimicizia. Giustificazioni morali sul proprio comportamento che senza le ali dell’ipocrisia striscerebbero nel fango. Ma fino allora (quando si dovrà sferrare il colpo) le carezze raffinate, le danze d’amore, i modi delicati saranno abbondanti e impeccabili.


Concludendo, voglio dire che la fiducia è un bene scarso e, come altre virtù sociali, aumenta con l’uso: quindi la sfida non è di presupporla ma di generarla e fare in modo che chi ci è vicino, chi lavora con noi, per effetto anche del nostro contributo aumenti la fiducia in se stesso.
                                                                          
                                                                                                                                                                (Ugo  Righi)
 
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